3/I giorni della Libertà e della Ricostruzione
19 Giugno 1944-19 Giugno 2021
Intorno alle 21, l’ordine: Preparatevi!
Mi siedo su di un blindato, il motore acceso: Luigina con la madre ed il nonno arrivano. Il vecchio mi bacia la mano. La ragazza mi dà una bottiglia di vino e frutta e poi un’immaginetta sacra con la Madonna, “Dio vi guarda, tedesco”.
Viaggeremo di notte su strade cattive fino alla strada principale che conduce da Città della Pieve a Chiusi.
Una strada in perfette condizioni.
Nel cielo, una luce di fuoco, rosso ovunque, esplosioni. La valle si allarga sempre di più.
Una colonna di artiglieria di almeno 15 pezzi ci viene incontro. Improvvisamente si balla vicino a noi, rumori, schianti, per 6 volte cadono [proiettili] successivamente in mezzo alla nostra colonna.
Davanti a noi è la parte moderna della città etrusca ed antica di Chiusi
Poco prima che ci arriviamo, a sinistra ed a destra, siamo presi di mira con dei tiri. Mentre rotoliamo, i proiettili fischiano e le schegge si infrangono contro le pareti sottili del blindato. Sono abbastanza calmo ed in realtà insensibile a ciò che sta accadendo. Tuttavia, vorrei urlare.
Andiamo alla Stazione. Quasi tutte le case stanno bruciando, Ci muoviamo sempre sotto il tiro dell’artiglieria. La strada è a malapena praticabile. Un cavallo morto è nel mezzo della strada. Possiamo evitarlo e ci passiamo semplicemente sopra. Sono atroci tutti questi scricchiolii! Una salita conduce alla parte vecchia della città. Qui brucia meno, ma un fetore di decomposizione aleggia. La Feldgendarmerie ci ferma. Una lunga disputa è scoppiata in mezzo alla città in fiamme. Abbiamo sete, ma non c’è acqua…
E’ la notte del 18 giugno 1944 ed i temuti Diavoli Verdi del 1° Fallschirm-Jager Regiment, a cui il 18enne Gerd Halm fa parte, hanno appena ricevuto il segnale di ritirata da ciò che rimane di Città della Pieve, tenuta per giorni con accanimento e ferocia di fronte ai reiterati attacchi dei reparti dell’8° Armata britannica.
Retrocedono verso Chiusi, ennesimo caposaldo di questa Campagna d’Italia, verso un’altra, l’ennesima, drammatica battaglia con la quale contendere palmo a palmo la penisola ad un nemico superiore in termini materiali, ma a cui non sono secondi per sagacia tattica e, purtroppo, ferocia.
Ora il tempo, che era stato così bello, cambiò completamente e cadde pioggia battente per rendere la vita più difficile e scomoda. Così, sotto il diluvio, gli Squadroni B e C si spostarono verso Monteleone con il B in copertura della strada di Piegaro dove erano stati segnalati carri armati nemici, in modo errato come si scoprì. Nel frattempo il 3° Ussari con la sua Fanteria era stato bloccato a Città della Pieve.
Il Reggimento stabilì il contatto con il nemico a nord di Monteleone, dove si combatté una concitata azione nella quale furono messi fuori combattimento 4 cannoni anticarro nemici a fronte della perdita di 4 carri armati inglesi.
In questa azione il Sergente Woodman venne decorato con la Military Medal.
Ci fu un pesante cannoneggiamento da parte del nemico non appena lo Squadrone A si mise in movimento ed il veicolo dell’Ufficiale Comandante ricevette un colpo: il pilota Chittock venne ucciso e tutto l’equipaggiamento del Colonnello Lloyd rimase distrutto .
Una pattuglia di 30 uomini con 2 mortai da 30 pollici, al comando del Ten. Manson, era entrata a Monteleone.
Continuata l’avanzata verso Città della Pieve, ad 1 Km. dal paese i blindati di accompagnamento vengono fatti segno di colpi d’artiglieria.
Manson dispose i soldati ai lati della strada ed i blindati al centro e procedette alla neutralizzazione di diversi capisaldi tedeschi: in particolare, uno di questi era annidato in alcune case che vennero personalmente attaccate dal Tenente, con la cattura di 12 nemici.
Successivamente, per difficoltà nelle comunicazioni tra i tank, Manson balzò su uno di essi e ne diresse personalmente il fuoco.
A 200 metri dal paese venne neutralizzata dagli uomini del Caporale Patton una MG, consentendo di avanzare fino alle sue mura.
Qui si trovano di fronte a ben due mitragliatrici pesanti.
Patton, preso una Bren Gun, alternando lo strisciare a terra con la corsa, raggiunse un muro, da cui sparò riuscendo a neutralizzare il punto di fuoco.
Alla periferia di Città della Pieve un colpo d’artiglieria centrò un carro e, così, la fanteria, protetta da una Browning, venne fatta avanzare da sinistra ed entrò, alle 11,30, in un paese apparentemente abbandonato.
Appena insediatisi, i soldati vennero richiamati indietro per allinearsi ai blindati.
Nel retrocedere, un Ufficiale dell’East Surrey comunicò che il suo battaglione li aveva quasi raggiunti e Manson decise, a questo punto, di recuperare le posizioni appena abbandonate.
Purtroppo una MG ne bloccò il ritorno, mietendo diverse vittime.
Nonostante questo insuccesso, l’avanzata della pattuglia di Manson aveva prodotto complessivamente 6 morti e 30 prigionieri fra i tedeschi
Il 17 giugno il Royal Wiltshire Yeomanry aveva preso il posto del 3° Ussari davanti a Città Della Pieve, ma non riuscì a penetrare all’interno della città, che era saldamente tenuta dai Tedeschi. Il 18 l’attacco venne ripreso con lo Squadrone C in prima linea e metà dello Squadrone A, sotto il comando del Capitano Bell, che tentò un aggiramento sulla destra del paese.
Erano ostacolati dalle demolizioni e l’avanzata risultò lenta, c’era un pesante fuoco di mortaio, ed il Tenente Wareham, ufficiale di collegamento, venne ferito. Quella sera il Quartier Generale della 78° Divisione intercettò un messaggio radio del nemico, che comunicava l’ora alla quale si sarebbe ritirato.
A quell’ora più 5 minuti l’intera artiglieria divisionale bombardò le uscite della città per 2 minuti.
La mattina successiva i “Buffs”, che prendevano il posto degli East Surreys, trovarono le periferie cosparse di corpi di soldati tedeschi. Città della Pieve, difesa per parecchi giorni da 100 paracadutisti esaltati, aveva seriamente ostacolato l’avanzata dell’intera Divisione. Durante queste operazioni, le perdite ammontarono a 2 soldati uccisi ed 1 ufficiale e 11 soldati feriti. Il bilancio comprese il Caporale Mount M.M., ucciso mentre conduceva l’ambulanza militare, chiaramente contrassegnata da ogni lato con una grande croce rossa, all’interno di Città della Pieve.
Paracadutisti esaltati che non avevano solamente ostacolato il nemico preponderante, ma avevano sfogato la propria ferocia ed il proprio accanimento anche contro la popolazione inerme, contro quel popolo italiano colpevole, ai loro occhi, dell’ennesimo tradimento, dell’ennesimo voltafaccia.
Uomini e donne inermi privi di ogni tutela e di ogni protezione.
Gina ed Enrico erano usciti di casa per andare a prendere i figli che si trovavano presso un’altra famiglia, per poi accompagnarli al rifugio.
Nel tragitto, vennero fermati da una pattuglia tedesca in razzia.
Alla richiesta di 10 uova, tentarono di soddisfarla.
Purtroppo l’averne trovate 3 in meno costò loro la vita.
Il mattino seguente i loro cadaveri vennero rinvenuti dal padre di Enrico.
Il soldato bussava e strepitava alla porta.
Giulio chiamò l’Iris, affinchè essa aprisse la porta della grande casa a quel tedesco dalle intenzioni poco amichevoli.
Si buttò all’istante a perquisire la casa, buttando all’aria ogni oggetto e suppellettile, passando successivamente a perquisire i presenti.
Non avendo raggiunto l’esito che sperava, estrasse la sua Luger, minacciando tutti di morte se, entro 2 minuti, non gli fossero state consegnate 2.000 lire.
L’Iris e la Palmira, che l’aveva coraggiosamente accompagnata, si diresse all’istante verso il gruzzolo nascosto, ma, fatti pochi passi, l’uomo mise tutti i presenti in fila e dalla pistola partirono 5 colpi che uccisero all’istante suo zio e suo padre Giovanni.
“Essere grandi capitalisti”, gridò quella belva, continuando nelle sue minacce e nelle sue pretese.
Iris e Palmira, con un balzo, riuscirono a riguadagnare la via del rifugio, lasciando il soldato a continuare la sua razzia.
Era il tramonto e la città ribolliva di esplosioni e colpi d’arma da fuoco. D’improvviso qualcuno bussò insistentemente alla porta del rifugio in quel vicolo un po’ fuori mano.
“Aprite, per favore…”, qualcuno gridò in perfetto italiano. Come non farlo, di fronte ad un compaesano certamente in difficoltà?
Dietro quell’uscio spalancato, stava, sì, “uno di noi”, ma accompagnato da 2 tedeschi intenzionati a perquisire tutti i poveretti che avevano cercato protezione nei sotterranei del palazzo. Terminato ogni controllo, Ezio, Enrico ed Edoardo vennero costretti a seguire i militari, con la promessa che sarebbero tornati dopo 3 o 4 ore, giusto il tempo di caricare e scaricare benzina e munizioni.
Le ore diventarono giorni, la battaglia aveva lasciato il paese per dirigersi in quel di Chiusi, la gente era uscita dai rifugi ed era tornata alle proprie case, ma di loro non si era saputo più nulla. Finchè, un mattino un contadino portò in paese i documenti di Ezio ed Enrico, rinvenuti insieme a quelli di un altro sventurato, Alberto, addosso ad alcuni cadaveri uccisi giorni prima dalle truppe in ritirata.
Una decina di giorni dopo, spinto dall’angoscia e dal dolore, il padre di Edoardo scese fino al luogo del ritrovamento.
Lì rimaneva solo un tumulo sormontato da una croce con la scritta “soldato sconosciuto”.
Rimossa la terra a mani nude, emerse il corpo del figlio, ucciso alla stressa stregua dei suoi compagni di sventura.
Sante fuggiva dalla guerra, dai suoi pericoli per mettere in salvo ciò che aveva di più prezioso, i suoi cari.
In fuga dal suo paesino adagiato sulla Majella ed orrendamente sventrato dal fronte di guerra, aveva trovato rifugio, insieme ad altri familiari, a Città della Pieve.
Ma anche qui il rombo del cannone era destinato a perseguitarlo ed in quei giorni orrendi aveva trovato rifugio nelle cantine di una famiglia amica.
All’improvviso, ecco materializzarsi dal nulla alcuni soldati che, finalmente, non parlavano il temuto idioma tedesco.
Gli inglesi, finalmente!
Fattasi spiegare sommariamente, e per quel poco che sapevano, la disposizione del nemico, la pattuglia decise di partire in perlustrazione. E Sante volle andare con loro, per indicare il luogo dove alcuni nemici si erano asserragliati.
Il giorno dopo, alcuni rivennero il suo corpo riverso all’interno del magazzino di una macelleria.
Aveva portato a termine il compito prefissosi al prezzo della vita.
La libertà aveva preteso il suo obolo, fatto di lacrime, sangue, lutti e sofferenze.
Vite spezzate, famiglie distrutte e macerie che la pioggia, in quel 19 giugno di 77 anni fa tentò, inutilmente di lavar via.
Un paese ridotto a brandelli, i cui segni rimarranno come sinistro monito fino ai successivi anni ’60.
Ricominciare, ma come, con chi…
Un paese liberato, ma in cui un ufficiale di un esercito straniero decide chi e cosa può avere, un paese da dove non puoi uscire se non sei in possesso di un pass, dove persino rimettere in servizio la corriera è severamente vietato.
Ma questo è il prezzo di una dittatura durata un ventennio e culminata in una guerra sbagliata con l’alleato sbagliato.
Farina e pasta sono stati distribuite fino a tutto luglio, ma manca olio, lardo, sale, conserve, zucchero, formaggi e tabacchi.
Per ciò che riguarda i trasporti, la corriera Fiat 626 della Società Anonima Pievese è fuori uso e gli Inglesi non hanno intenzione, per il momento, di dare il permesso di recupero.
Sono disponibili solo un camioncino da 10 quintali e 2 Fiat Balilla private.
La Pretura ha una motocicletta disponibile, ma manca di camere d’aria e copertoni
Per ciò che riguarda la salute pubblica, in paese imperversa un’epidemia di enterocolite fra i bambini e mancano disinfettanti, medicinali, sieri e vaccini.
Nel settore dei pubblici servizi, l’acqua viene distribuita al minimo per una perdita fortissima dell’acquedotto (servono 2 km. di tubi d’acciaio, 12 quintali di piombo per saldare da Terni e 100 quintali di cemento da Magione) e l’energia elettrica manca del tutto.
8 fabbricati sono completamente distrutti e l’80% delle case danneggiate.
Il 90% delle strade sono in pessime condizioni, per il danneggiamento di ponti e chiavicotti.
Il Municipio ha un deficit di 160.000 lire e, per l’anno 1944, verranno spese ulteriori 428.558 lire per riparare Palazzo ed immobili comunali, scuole del capoluogo, il Macello e, per il 70% dell’importo, le strade.
Nel territorio comunale sono presenti 62 sfollati da varie parti della penisola che, almeno sull’immediato, non hanno intenzione di rientrare
Intanto e nonostante ciò, lo stesso giorno della Liberazione, al seguito delle truppe arrivarono i Monuments Men, guidati dall’architetto statunitense Norman Thomas Newton e dal Soprintendente ai Monumenti e alle Gallerie dell’Umbria Achille Bertini Calosso…
La città ha sofferto molto dai bombardamenti e dalle mine tedesche [brecce sulle mura perimetrali], ma i suoi monumenti storici se la sono cavata relativamente bene.
S.Maria dei Bianchi: la chiesa più importante è illesa ed il suo splendido affresco del Perugino è in buone condizioni.
L’Oratorio di S. Francesco, contenente un affresco di Niccolò di Bonifacio, è intatto, pensando che la chiesa è stata duramente colpita in parti non monumentali.
Cattedrale: il tetto è danneggiato è il campanile è colpito [a scopo di rafforzamento 2 arcate del campanile vennero subito chiuse con un muro di mattoni ]. La pittura del Perugino dietro l’altare è tagliata, ma può essere riparata.
Salvio Savini: gli affreschi nel Palazzo Mazzuoli sono intatti.
Biblioteca Comunale: questa biblioteca era in 2 sezioni, ecclesiastica, intatta, e civile, che è stata ospitata nella parte del Municipio che è stato minato e distrutto dai tedeschi. Gran parte del materiale è stato recuperato, ma le perdite sono nondimeno pesanti.
Non è forse l’aiuto che una popolazione impaurita, ferita e stremata si aspettava, ma, intanto, si riparte e si cerca di salvare ciò che sarebbe potuto andare irrimediabilmente perduto.
Quello per cui, oggi, andiamo orgogliosi e fieri.
Come orgogliosi e fieri, ma anche grati ed eternamente memori, andiamo per quella settantina di uomini e donne che, loro malgrado, han donato la vita per un’era di pace, libertà e sviluppo.
Quella che oggi viviamo quotidianamente, anche grazie a quei 4 tragici e, ci auguriamo, irripetibili giorni.
Grazie. Eternamente grazie.
Massimo Neri