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Cose scritte tra noi: “Oltre l’infinito”

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Esistono parole che fanno vibrare l’emotività comunicando un senso di bello-buono-giusto, al di la di credo religioso, estetica, ideologia politica o livello culturale. Lo stile un po’ fiabesco realizza con efficacia questa condizione rivolgendosi senza intermediari al “fanciullino pascoliano” sempre attento ai palpiti del cuore. Se poi si è stati in un reparto di oncologia pediatrica, più a fondo potrebbero andare le parole che seguono.

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“Voglio uscire mamma, voglio andare lontano. Tanto lontano. Sono stanco di stare qui rinchiuso.”

“Non è ancora possibile, Luigino. Presto usciremo. Presto tutto sarà tornato come prima.”

L’ospedale si trovava di fronte al mare. Le camerette dei bambini che “ dovevano guarire”…sì guarire, perché tutti i bimbi hanno diritto di ridere, giocare e correre incontro a quei sogni che si chiamano futuro. Tutte le camerette dicevo, avevano la finestra sul mare. Quella sconfinata distesa di acqua si perdeva in lontananza e confondeva l’azzurro delle onde con il celeste del cielo. Quando poi faceva buio si vedevano le barchette dei pescatori con le lampare e più distanti grandi navi che salpavano per paesi lontani. Le navi però, illuminate, sembravano cattedrali, cattedrali pagane che portavano in giro l’allegria.

Quante nubi in cielo. Come montagne. Verso destra invece parevano enormi grappoli di bambagia e in fondo, quasi all’orizzonte, davano l’impressione del mare in tempesta. Un mare di candida schiuma. Altre volte invece le nubi erano proprio uguali ad un gregge di pecorelle. Di rado poi si trasformavano in enormi bianchi fantasmi. Di rado per fortuna…i bambini hanno paura dei fantasmi… Comunque quando questo si verificava, e gli spettri si preparavano per la loro terrificante processione, non mancava una schiera di immacolati e vaporosi angeli che diffondeva una musica dolce come una ninna nanna che rasserenava tutti i bimbi. Questo lo si capiva perché sui quei volti delicati e vivi di speranza ritornava il sorriso. Ma di che cosa erano fatte le nubi? Chissà. La maestra aveva detto che si formano dall’acqua, ma a Luigino sembravano zucchero filato. Zucchero filato senza il bastoncino per reggerlo. Forse il bastoncino era dall’altra parte, non si vedeva.

Arrivò un infermiere: “Ciao Luigino, lo scopri il braccio? Ti devo fare una puntura piccina picciò. Non ti faccio male. La puntura ti fa guarire, sai!”

Il bimbo restò fermo. Ormai era abituato, ma non riuscì a sconfiggere del tutto un fondo di paura, come se l’ago di per se rappresentasse l’ignoto.

“Che bravo sei stato” disse l’infermiere quando ebbe finito. Con la mano fece una carezza al bimbo, poi scherzosamente gli scompigliò i capelli.

“Senti” disse il bimbo “posso avere un foglio di carta? Mi serve per fare un gioco”.

“Va bene, te lo porto insieme a delle matite colorate….”

“No, non mi servono i colori, devo costruire un aeroplanino”.

Il foglio di carta arrivò. Bello ampio. Era buona carta, candida, robusta. Il bambino la rigirò tra le mani… per un attimo scivolò in un’altra dimensione, rimase trasognato, fissò un punto inesistente: inesistente per tutti ma non per Luigino.

Ritornando in se, dopo quella momentanea fuga attraverso l’immaginazione, iniziò “il gioco serio al pari di un lavoro”.

Piega di qua, poi di là, stira con il palmo della mano quella scanalatura, rigira con precisione quel risvolto. Ripiega ancora quei due angoli…la carta crepitava e quasi come fosse viva si trasformò in un bellissimo aeroplanino. E l’aeroplanino era lì candido e faceva bella mostra di se poggiato sul letto dove, bianco il lenzuolo e bianche ahimè, troppo bianche le manine di Luigino, si creava una visione diafana attraversata da una luce come sacra, dove a tratti si coglieva un vago profumo di mare. Nella cameretta di Luigino entrarono i dottori: camice bianco e quell’apparecchio buffo appeso al collo. L’aveva visto tante volte, aveva un nome difficile e strano. I medici lo allargavano e lo appoggiavano alle proprie orecchie. Dall’altra parte di un tubicino “l’arnese” finiva con una specie di medaglione che spostavano sulla schiena e sul petto. Da lì si sentivano i battiti del cuore, una volta li avevano fatti ascoltare anche a Luigino: bum bum, bum bum, che buffo verso faceva il cuore. Aveva uno strano linguaggio, un ancestrale tamburo che propagava il suo tonfo ovattato nella foresta del suo corpicino martoriato.

“Che bell’aeroplano!” esclamò uno dei medici, “tu sei il costruttore o il pilota?” aggiunse.

“Tutt’e due” rispose Luigino “e tra poco l’aereo partirà dalla finestra, andrà lontano lontano, sarò io a guidarlo”.

Appena i medici furono andati via, il bimbo saltò giù dal letto: aprì la finestra e avvicinò la prua dell’aereo alle labbra, alitò come tutti i bimbi fanno in questo frangente. Ma il suo gesto chissà perché, ricordava quello compiuto da nostro Signore per infondere la vita al pupazzo di fango da lui stesso modellato…

L’aereo cominciò il suo viaggio. Non accennava a perdere quota, si librava, volteggiava. Eseguì anche due spericolate giravolte, infine imbroccata la rotta giusta prese ad allontanarsi.

Il bambino seguiva con lo sguardo quella forma nell’aria che diventava sempre più piccola; guadagnava quota e si rimpiccioliva fino a quando, diventata un puntino in lontananza, sparì.

Il bimbo stanco e pallido tornò a letto: sorrideva, era contento.

L’aereo di carta era sparito dalla vista, ma il viaggio continuava…e già le stelle apparivano più grandi e scintillanti. Il sole aveva il colore dell’oro fuso e campeggiava maestoso come un enorme sorriso nel volto dell’universo. Anche la luna fece capolino, pulita e candida come il seno che aveva allattato Luigino: sembrava un enorme catino di latte appena munto.

Il viaggio procedeva. L’aeroplanino era stanco stremato, ma continuava. A volte sentiva una scossa, un fremito nelle piccole ali di carta.

In lontananza cominciò a scorgersi qualcosa sì, ed era una forma umana… Mancava un piccolo sforzo ancora e si sarebbe concluso il viaggio.

La forma umana, da principio come il pupazzo di fango che ricevette l’alito divino, mostrò più definiti contorni. Era il bambino. Era Luigino. Tese le braccia bianche attraversate da sottili vene azzurrine. L’aeroplanino si adagiò in quella sorta di abbraccio…così bimbo e aeroplanino varcarono insieme le porte del paradiso.

Nunzio Dell’Annunziata