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Malandrino “19 Giugno 1944. Il passaggio del fronte a Città della Pieve. Il contesto militare e gli scontri tra eserciti”

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1/I giorni della Libertà e della Ricostruzione

19 Giugno 1944-19 Giugno 2021

Circa 80 anni fa, nella seconda guerra mondiale, l’Italia ha vissuto due guerre.

Una, dichiarata il 10 giugno ’40, comportandosi come paese occupante in Francia, Grecia, Russia e Jugoslavia e un’altra diametralmente opposta, dopo la resa incondizionata chiesta e ottenuta dagli alleati l’8 settembre, subendo l’occupazione del precedente alleato – la Germania – e diventando territorio di scontro tra eserciti in battaglie lunghe e feroci.

Nella prima guerra il territorio e la popolazione aveva subito, sì, gli effetti di una guerra moderna come bombardamenti con vittime, distruzioni di parti di città e impianti industriali, privazioni e razionamento, feriti e morti di giovani ragazzi al fronte in paesi lontani.

Nella seconda guerra, territorio e popolazione ha conosciuto direttamente le distruzioni e le conseguenze di un passaggio di una guerra fatta di soprusi, violenze, terrore con un maggior numero di vittime. Ma anche popoli diversi che hanno portato la loro cultura e le loro abitudini, cambiando il nostro modo di pensare e di agire.

Due esperienze, diverse, che hanno modificato, entrambe, la vita, le certezze, i concetti di socialità e la visione del mondo che avevamo sul finire degli anni quaranta.

L’occupazione tedesca fu quella di un esercito che difendeva la propria nazione da una distruzione inevitabile e per questo spietata: eccidi, rappresaglie, distruzioni, deportazioni, furti, sono i ricordi principali che hanno lasciato.

Ma entrambi gli eserciti anteposero le loro esigenze primarie alla salvaguardia delle città e delle loro popolazioni.

E’ questo il contesto nel quale fu vissuta questa guerra, dopo la resa italiana dell’8 settembre 1943.

Dopo una relativa calma nelle nostre zone del Trasimeno,

la liberazione di Roma, avvenuta il 4 giugno del 1944, avvicinò le forze alleate all’Umbria nell’inseguimento dei tedeschi in ritirata verso il nord Italia.

Nei mesi precedenti si erano svolti sanguinosi scontri a Salerno, nella valle dell’Itri, Cassino e Anzio.

Lo scontro tra alleati e tedeschi avvenuto tra settembre del 1943 e il maggio dell’anno successivo fu tra i più cruenti della seconda guerra mondiale simili, per alcuni aspetti, a quello di Stalingrado che é il simbolo della ferocia raggiunta dalla guerra moderna.

Un’altro aspetto della guerra combattuta sul territorio, italiano, fu la partecipazione di soldati appartenenti a numerosi paesi e popoli contrapposti:

tedeschi, austriaci, cecoslovacchi, turkestani, nordeuropei, cosacchi, russi e italiani di Salò da una parte;

statunitensi, inglesi, sudafricani, australiani, canadesi, indiani, nepalesi, polacchi, francesi, marocchini, algerini, ebrei, greci, brasiliani e italiani del ricostituito esercito Cobelligerante del Sud, dall’altra parte.

nessun altro fronte di guerra ha visto questa moltitudine di etnie, popoli, culture.

L’occupazione tedesca di Roma fu caratterizzata da deportazioni di ebrei, rastrellamenti, eccidi, fucilazioni e torture nei confronti dei patrioti e civili, razzie e trasferimento al nord e in Germania di beni, materiali di ogni tipo, strumenti, impianti e opere d’arte, ritenuti utili alla causa militare, compreso l’archivio cinematografico del Centro Sperimentale a Cinecittà (per l’utilizzo della cellulosa nell’industria bellica, che distrusse per sempre film e documentari) e l’oro della Banca d’Italia.

Ma Roma, i suoi ponti, i palazzi storici e le sue vestigia romane furono, in compenso, risparmiate dalla totale distruzione, come avrebbe voluto Hitler. Questo per gli accordi segreti, e come tali rimasti, tra il Vaticano e il generale delle SS Karl Wolff.

L’abbandono di Roma da parte dei tedeschi attraverso le vie Cassia e Flaminia avvenne mentre i reparti americani entravano nella capitale dalla via Casilina e dalla via Appia.

Nei giorni successivi i tedeschi proseguirono la ritirata, mantenendo il loro fronte formato dalla 10° Armata (a est) e dalla 14° Armata (a ovest) compatto e applicando il concetto elastico di “difesa in profondità”.

Un concetto di difesa che consisteva nella creazione di varie linee difensive con funzioni diverse tra loro. Le linee tedesche create nella campagna d’Italia, infatti, erano composte da:

una linea avanzata con posti d’osservazione e centri di fuoco occupati da pochi soldati;

la seconda linea costituiva la cintura più robusta e fortificata da contrapporre all’assalto con le truppe riparate con bunker, trincee, tunnel sotterranei, protette dal fuoco dell’artiglieria e preparate a resistere in attesa dei contrattacchi;

la terza si configurava come una linea di supporto e di massima resistenza, con ricoveri protetti per riparare le truppe di riserva, utilizzabili per sferrare eventuali contrattacchi.

La ritirata tedesca a nord di Roma, fu organizzata dal Maresciallo Albert Kesselring, comandante delle truppe tedesche in Italia, creando apposite “linee” di difesa intermedie per consentire l’allestimento di una linea difensiva, la linea Gotica, sull’Appennino tosco-emiliano, con le stesse funzioni e caratteristiche di quella predisposta a Cassino. Una linea che doveva sbarrare, come di fatto avvenne, il superamento degli Appennini da parte degli alleati, garantendo alla Germania il controllo del nord Italia e delle sue industrie, indispensabili alle esigenze belliche tedesche.

Una di queste linee fu la “Albert” che da Castiglion della Pescaia attraversava la toscana, Chiusi e il Trasimeno, , fino a Civitanova Marche. Quindi una linea che attraversava l’Umbria e proprio la nostra zona.

Per l’allestimento della Gotica occorreva tempo e mano d’opera, principalmente coatta e di prigionieri. Per consentire questo i reparti tedeschi avevano il compito di ritardare l’avanzata alleata distruggendo ponti, minando strade carrabili, creando posti di sbarramento con reparti di combattimento appositamente creati, i kampfergruppe, che obbligarono ad aspri scontri le formazioni alleate contendendo loro ogni metro di territorio e rallentando il loro procedere.

La risalita della penisola da parte degli alleati proseguì con la 5° armata statunitense,- Gen. Mark Clark-, sul versante tirrenico e con i reparti dell’8° armata britannica, -Gen. Oliver Leese- che aveva sostituito dal gennaio 1944 il Gen. Montgomery, al centro della penisola e sul versante adriatico.

Contemporaneamente, negli stessi giorni, gli alleati sbarcarono in Normandia, aprendo un ulteriore fronte di guerra, con l’obiettivo di liberare Parigi e procedere velocemente verso il cuore della Germania (il 15 agosto sbarcheranno anche in Provenza).

Ma i rapporti politici tra i tre grandi alleati, Stati Uniti, Gran Bretagna e L’Unione Sovietica, stavano cambiando velocemente e le prime avvisaglie di quello che sarà, di lì a pochi anni dopo, “la guerra fredda” iniziarono a influire nelle decisioni militari dei rispettivi eserciti.

Una parte delle truppe alleate che avevano operato in Italia, acquisendo esperienza e capacità combattiva contro l’esercito tedesco, furono trasferite in Francia e sostituite con truppe “straniere” per la prosecuzione della campagna italiana.

L’Italia divenne immediatamente un fronte secondario, ma il rallentamento dell’avanzata non avrebbe comunque influito sull’esito della guerra. Un esito che tutti gli alleati ritenevano già decisa a loro favore, come di fatto avverrà. Un fronte “secondario”, che costò, complessivamente, la vita a 95.000 soldati alleati compresi 6.000 italiani dell’Esercito Cobellingerante del Sud, e oltre 120.000 tedeschi e italiani della RSI.

                       45.469         britannici e dell’Impero Britannico

                            32.000         statunitensi

                            7.800         francesi, marocchini e algerini

                            5.950         italiani

                            3.955         polacchi

                                 580         brasiliani

                                 114         greci

                                   30         ebrei della brigata ebraica

E’ in questo contesto che si inserisce l’avanzata alleata che raggiungerà l’Umbria il 10 giugno, liberando tutta la regione dalla presenza nazifascista entro gli ultimi giorni di luglio.

Nei cinquanta giorni di guerra combattuta sul nostro territorio, avvengono la maggior parte di eccidi e stragi, eseguiti da parte dei soldati tedeschi in ritirata: Gubbio, Umbertide, Tuoro sono i luoghi con il maggior numero di vittime e si aggiungono a quelli commessi nei mesi precedenti, quali Calvi dell’Umbria, dove, nel mese di aprile, militari delle SS fucilarono 16 persone nel corso di un rastrellamento. In totale le vittime umbre furono 376 uccise in oltre 18 stragi.

L’Umbria era stata fino ad allora, un retrovia relativamente tranquillo ad eccezione dei bombardamenti sulla linea ferroviaria Orte-Ancona, iniziati a partire dall’agosto 1943 e proseguiti fini al giugno 1944, che colpirono le città di Foligno, Spoleto e Terni.

Un territorio con limitata presenza di reparti militari e destinato principalmente al rifornimento alimentare per l’esercito tedesco occupante, data la sua vocazione di territorio agricolo.

E’ l’8° Armata Britannica, che dopo Roma riceve l’ordine di liberare Viterbo, Orte e l’Umbria, per poi proseguire verso Firenze e Forlì.

Dopo l’entrata della 4th Divisione Indiana a Norcia il 10 giugno, anche Narni, Amelia e Terni sono liberate dai reparti inglesi.

La strategia alleata di far avanzare un fronte compatto, si erano delineate tre colonne: la prima diretta verso il territorio a occidente del lago Trasimeno; la seconda che puntava su Perugia e le colline a ovest della città; la terza, si sarebbe occupata del terreno tra Assisi e la zona orientale della valle del Tevere.

Il 14 giugno reparti corazzati britannici e sudafricani raggiunsero Orvieto, abbandonata sì dai tedeschi che però ostacolarono il passaggio del fiume Paglia provocando forti perdite tra le file britanniche.

Dopo aver combattuto aspramente per il presidio di Ficulle il 16 giugno fu la volta di Montegabbione.

La 78 ° Divisone di fanteria britannica, “Battle-Axe”, supportata da un reggimento della 9° Armured Brigade, si diresse verso Montegabbione.

In questo comune, i reparti britannici si scontrano con una sostenuta difesa tedesca a presidio di quella che rappresentava la loro linea Montarale, linea parallela alla linea “Albert”.

Lo scontro, molto duro, avvenne sotto una pioggia torrenziale e durò l’intera giornata ma a tarda sera i britannici liberarono Montegabbione.

Contemporaneamente, inglesi del 1° Regiment East Surrey, anch’essi appartenenti all’11^ Brigade della 78° Infantry Division, supportati da squadroni della 9^ Armoured brigade, risalirono da Santa Maria per Monteleone di Orvieto, e proseguirono verso Città della Pieve. Nodo viario di congiunzione tra l’Umbria, la Toscana e il Trasimeno

Il primo scontro, con i paracadutisti del 3° reggimento della 1° FallschirmJäger Division, i “grüne teufel” (i diavoli verdi), i veterani delle battaglie di Cassino, appostati dentro la nostra Città, fu all’altezza della Madonna delle Grazie e proseguì fino a notte fonda, con i tedeschi appostati tra le abitazioni collocate a sud e gli orti adiacenti. L’obiettivo dei paracadutisti era di tenere lontano i britannici i quali, a loro volta, cercarono di forzare le mura entrando in città. Alcuni ci riuscirono e vi furono scontri durissimi tra i vicoli, ma poi furono respinti fuori del centro abitato.

I paracadutisti tedeschi avevano sistemato, anche, un cannone anticarro – probabilmente un PAK 40 da 75mm con una canna da 3,7 m- sulla curva davanti la chiesa di San Pietro controllando, così, l’accesso alla città per chi proveniva dalla statale 71. Il primo assalto britannico fu, quindi, respinto e si combatté tutto il giorno successivo sia nel capoluogo sia nella frazione di Ponticelli, presso la chiesa di San Bartolomeo, dove i sudafricani della 6th South African Armoured Division supportati da reparti della 78° si dirigevano verso Chiusi.

Oltre 10 morti tra i tedeschi e 30 tra i sudafricani

Poi, nella notte tra domenica 18 e lunedì 19, i tedeschi decisero di abbandonare il capoluogo di Città della Pieve facendo saltare, prima, degli edifici del centro, in Corso Vannucci, in via Vittorio Veneto e nel Vecciano, ostruendo così il passaggio e ostacolando l’avanzata alleata dentro il paese.

La mattina del 19 giugno, giorno dei patroni San Gervasio e Protasio, i reparti britannici entrarono in Città accolti dal suono delle campane che annunciarono alla popolazione la conclusione dei combattimenti e la liberazione di Città della Pieve dall’occupazione tedesca.

I tedeschi abbandonarono anche, gli osservatori posti in alcuni cascinali situati nelle colline adiacenti e quello di San Biagio, dove esisteva un centro di fuoco che controllava la provinciale. Abbandonarono anche il comando di zona posto a Capozucca e si posizionarono sull’asse Chiusi, Vaiano, Gioiella, Castiglione del Lago.

Nel primo pomeriggio i britannici della 78^ Divisione raggiunsero Po’ Bandino, Maranzano e Moiano, liberando, così tutto il territorio di Città della Pieve.

Il nostro Territorio fu affidato provvisoriamente, come era avvenuto in precedenza con l’Italia già liberata, al A.M.G – Allied Military Government per essere poi restituito definitivamente all’amministrazione italiana il 10 maggio del 1945.

Importante in questi scontri, avvenuti a partire del 16 giugno e che si protrarranno anche oltre la liberazione di Città della Pieve, è il ruolo svolto dei partigiani.

La “Brigata Risorgimento”, operante tra Monte Pausillo, Monte Arale, e i comuni circostanti, costituitasi nel marzo 1944 con la fusione di varie “bande partigiane” respinse la controffensiva tedesca contro i britannici dalla posizione strategica del  Monte Pausillo, dove la brigata aveva il suo quartier generale, evitando l’accerchiamento delle forze britanniche dal versante di Piegaro e dalla Pievaiola che sarebbe stato disastroso per gli alleati.

Il passaggio del fronte avvenne, purtroppo, con un prezzo alto di vite pievesi. Furono 14 le vittime di uccisioni da parte dei tedeschi compiute in quei tre giorni. Oltre a Don Pompeo Perai, ucciso mentre tentava di prestare soccorso a dei feriti, furono uccise persone per rapina o dopo essere state prelevate per scopi lavorativi.

La battaglia per il Trasimeno continuò e per molti giorni risuonarono ancora le cannonate, le bombe e lo scambio di armi da fuoco. Lo scontro armato si trasferì di pochi chilometri. A Chiusi la battaglia si concluse solo il 26 giugno e fu violenta quanto quella per Castiglione del Lago che fu evacuata dai tedeschi solo il 29 giugno, dieci giorni dopo Città della Pieve.

I tedeschi abbandonarono la linea Albert e risalirono lentamente lungo la statale 71. Il 3 luglio fu liberata Cortona e solo il 16 luglio Arezzo. Città di castello dovrà attendere l’arrivo della 4° Divisione Indiana il 22 luglio e San Giustino il 5 agosto, anche se il resto del suo territorio sarà liberato solo il 13 agosto.

Contemporaneamente, in quei giorni di agosto, i partigiani della Brigata Garibaldi “Vittorio Sinigaglia” liberavano Firenze.

La guerra in Umbria era passata, lasciando lutti, distruzioni, eccidi e un difficile cammino di ricostruzione.

Ma la guerra per il resto dell’Italia non era ancora finita. Proseguirà sulla linea Gotica e al nord. Ci vorranno altri otto mesi prima che il 25 aprile del 1945 segnasse, la liberazione di quei territori –con il grande contributo della Resistenza- e la definitiva ritirata tedesca dall’Italia. La guerra, poi, finì ufficialmente il 2 maggio da noi e il 7 maggio successivo la Germania nazista si arrese agli alleati consentendo l’avvio a una nuova vita e di un nuovo mondo.

Città della Pieve il suo 25 aprile lo aveva vissuto dieci mesi prima.

Massimo Malandrino