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Crisi Regione. La partita del rinnovamento finisce ai supplementari

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Rassegna stampa  dal Corriere dell’Umbria di Anna Mossuto (direttrice del giornale)

La crisi in Regione si è risolta, è esplosa la pace tra le due parti, mariniani e bocciani, l’ex assessore alla sanità Luca Barberini è tornato a fare l’assessore alla sanità, il segretario regionale del Pd Giacomo Leonelli ha espresso soddisfazione da ogni poro e in ogni luogo, fisico e virtuale. Tutti contenti, tutti felici. Sembra il quadretto da réclame del Mulino Bianco. Ma c’è un ma grosso come una casa e c’è un interrogativo che arrovella la gente comune.

E cioè che cosa è cambiato da metà febbraio a oggi? E soprattutto quale è stato il “prezzo” dell’accordo? Perché un qualcosa ci deve essere pur stato altrimenti quello che è accaduto risulta non solo incomprensibile ma addirittura fuori dalla più elementare logica. E quindi le novità che hanno fatto addivenire alla pace? Non pervenute. In concreto non è accaduto un bei nulla, è rimasto tutto come prima, l’orologio è fermo a più di quattro mesi fa, quando la presidente Marini nominò i vertici della sanità senza la condivisione dell’assessore al ramo. I fatti andarono così: Barberini pretendeva il cambiamento dei manager e non accontentato infilò la porta di uscita della giunta.

Ebbe quindi inizio un braccio di ferro che si è trascinato tra polemiche, veleni, nervosismi e dispettucci vari. E anche tra annunci di tregue e passi indietro clamorosi. Fino al giorno di San Pietro e Paolo, quando le due parti contrapposte sono state illuminate e hanno trovato la strada della riconciliazione. Il percorso è stato tortuoso perché nessuno dei due litiganti voleva abbassare la cresta e darla vinta all’avversario, pena il proprio indebolimento politico e l’altrui rafforzamento. In compenso la brutta figura, voce messa in conto da entrambe le parti e forse divisa esattamente a metà. Tornando ai termini dell’accordo in un linguaggio politichese degno della migliore vecchia politica, in un paio di passaggi del documento sottoscritto, scarso una decina di pagine, si coglie la sostanza della riappacificazione.

Il primo laddove si parla di processo riformatore e quindi di “forte ricambio delle classi dirigenti” che valorizzi competenze, merito e sfida del doppio mandato con l’introduzione di modelli di rotazioni. Detto in altre parole tutti si impegnano per un rinnovamento. Il secondo inserisce la scadenza dei sei mesi dalle nomine per una definizione complessiva dei livelli direzionali con l’ipotesi di una nuova figura, quella del segretario generale con funzioni di raccordo delle aree e di chi li dirige.

Ecco, in questi due punti gli impegni delle due parti per decretare la fine delle ostilità. Un’altra domanda sorge spontanea: ma per trovare questo accordo ci sono voluti quattro mesi e passa? Il tutto, secondo l’opinione dell’uomo della strada, si poteva mettere nero su bianco prima per evitare perdite di tempo e spreco di energie e soprattutto per impedire l’impasse amministrativo in cui si è inevitabilmente piombati. E anche per rispondere a un dettato di buon senso. Invece no, si è andati avanti con le impuntature perché forse era più importante mostrare i muscoli che la testa.

Ora non resta che augurarci che quanto scritto sia rispettato, che coloro che hanno firmato il documento siano persone d’onore e mantengano la parola. E che entro ferragosto avvenga questo benedetto rinnovamento. Per il bene di tutti, della politica ma soprattutto dell’Umbria. In conclusione, visto che siamo in pieno Europei, mutuiamo il gergo calcistico e diciamo che la partita della crisi si è conclusa, per ora, con uno zero a zero, un pari e patta. Ma per i nostri politici ci sono i supplementari, chissà se uno dei due violerà la rete dell’avversario, segnando il gol della vittoria (alias del cambiamento).