Home Rubriche Cose scritte tra noi Vita via etere

Vita via etere

Condividi

Le immagini che si presentavano nella mente di Giovanni, frugando tra i ricordi dell’infanzia, non erano della sua casa, del lago, dei pescatori di S. Feliciano che rimagliavano le reti. Non erano nemmeno di corso Vannucci con il normale via vai oppure del vicolo Baciadonne. Erano televisive.  Per prima cosa era stato attratto dalla luminosità, dai colori, poi dal movimento delle figure vere e finte allo stesso tempo. I colori, nella caleidoscopicità del frequente taglio delle immagini, lo rapivano consegnandolo ad un mondo immaginifico eppure a portata di mano. Attraverso lo schermo la realtà appariva magica. E sembrava dare risposta a qualsiasi esigenza.

Appagava tutti i desideri. Bastava cambiare canale e tutto il mondo cambiava. Il tempo meteorologico si stravolgeva. Trasmettevano immagini di un uragano? Se si desiderava il sole e il vento placido sulle onde del mare, bastava cercare un altro programma. Il canale giusto si trovava e magari si poteva ammirare il sole splendente. Eppoi non mancavano mari in tempesta  e silenziosi fiumi e rapide. Oppure una spiaggia rovente piena di ombrelloni e bagnanti rumorosi con marmocchi sul bagnasciuga che costruivano castelli di sabbia. Se questo non bastava si poteva trovare financo il ghiaccio: la banchisa con lunghe file di pinguini che andavano a tuffarsi oppure orsi bianchi con orsacchiotti simili a candidi pupazzi di peluche. Anche nel campo dei sentimenti non c’era che da scegliere: il ridere, il piangere e tutti i chiaroscuri dell’umore, dei sentimenti. Bella la vita attraverso lo schermo. E bella la vita del popolo televisivo: i presentatori, i cantanti, le conduttrici, le ballerine, i comici, i politici: tutti uomini e donne di successo, tutti sempre allegri, ammiccanti, disponibili.

In effetti un ricordo al di fuori di questo mondo di “elettroni” ci sarebbe stato, sì, di quando bambino fu portato a Palazzo Corgna dove una compagnia di pupari siciliani avevano allestito lo spettacolo di Orlando che impazzisce d’amore per Angelica. E Astolfo, cugino di Orlando, a cavallo dell’ippogrifo si reca fin sulla luna per recuperare il senno del pazzo. Questo lontanissimo ricordo però era confuso con le trasmissioni televisive. Forse perchè il minuscolo palco dei pupi era troppo simile allo schermo.

Quando Giovanni imparò a parlare, le prime parole ripetute le aveva udite dal televisore. I genitori avevano notato questa tendenza del bambino… ma tanto per cominciare faceva comodo che restasse lì senza disturbare. Poi che male c’era? Anzi imparava, i programmi erano istruttivi, adatti ai bambini. Intuivano che c’era anche una forma di dipendenza ma la avallavano. Quasi tutti i bambini trascorrevano tempo davanti al televisore. Meno di Giovanni, d’accordo, ma non era il caso di preoccuparsi. Man mano che cresceva Giovanni, imparò ad interagire con le immagini dello schermo. Non riusciva a cambiarle o a condizionarle, riusciva solo a prendervi parte. Non considerava questo, però, una eccezionalità o un evento straordinario: semplicemente, l’immagine, l’inquadratura televisiva era la sola realtà alla quale sapeva relazionarsi.

Data l’età prediligeva spettacoli d’animazione, cartoni animati. Ebbene insieme a quei simpatici amici poteva giocare, imparare, e anche soffrire. Quando morì la mamma di Bambi ad esempio, Giovanni pianse insieme al piccolo cerbiatto e poi cercò di consolarlo con amorevoli carezze. In altre storie agiva diversamente: a volte, al momento opportuno, passava a Braccio di Ferro il barattolo di spinaci, così da risolvere in favore del suo amico marinaio le contese con Bluto. Un’altra volta aveva distratto gatto Silvestro per dare più tempo a Titti di mettersi in salvo.

Crescendo, Giovanni cominciò ad appassionarsi ad altri programmi. Il proprio modo di essere comunque non mutava, anzi la sua dipendenza dallo schermo aumentava, diventando più completa. Era una simbiosi tra se e quello che scorreva sul meraviglioso quadro luminoso.

Verso i quindici anni si appassionò alla natura. Cercava tutti i programmi di tipo documentaristico e così si immergeva tra i fantastici colori della barriera corallina. Oppure esplorava savane e foreste tropicali. Di tanto in tanto si librava nel cielo aggrappato alle zampe di grossi volatili, acquile, albatri e si faceva condurre in cima alle più alte vette per poi planare dolcemente lungo scoscese scogliere sorretto da gabbiani. Quando lo schermo offriva scenari di natura selvaggia, Giovanni aveva la sensazione di varcare la soglia della vera vita che fluiva via etere. Se il televisore era spento la vita sembrava scorrere nel sonno: un sonno senza sogni, un sonno scuro, una morte.

In una vita siffatta, dove poteva, Giovanni, incontrare l’amore, il primo amore?  Aveva il volto dai lineamenti marcati ma non duri, sotto ciglia, sopracciglia e capelli d’ebano. Il corpo era pieno e sodo, e quando appariva sullo schermo Giovanni era lì: interferiva nelle scene tutte le volte che ella appariva. Tutte le inquadrature erano buone per essere accanto alla sua amata.

Lei era più grande di lui. Si innamorarono. Quando c’è amore la differenza di età non conta niente. Poi tra una scena e l’altra, fecero l’amore. Fu la prima volta di Giovanni. E questo cementò  più saldamente il loro rapporto. Con il tempo però questa esperienza si esaurì. Anche per mezzo di una giovanissima attrice alle prime armi, protagonista di una soap. Aveva gli occhi leggermente a mandorla, il colorito bruno e labbra e naso disegnati da morbidissime e sensuali linee che mantenevano la stessa armonia anche lungo il resto del corpo. Fu un amore travolgente, appassionato, profondo come pochissime volte succede nella vita.

 Giovanni contava numerosi amici e amiche, nell’ambito di trasmissioni di più vario genere. Tutte le tele-esperienze che aveva fatto lo portavano verso le tappe, conseguite le quali, ogni persona ritiene di esser vissuto in modo pieno. Paradossalmente Giovanni aveva una vita normale: rideva piangeva, gioiva, soffriva, addirittura pensava. Ma tutto nell’ambito della programmazione televisiva: una specie di vita via etere.

Una volta fu coinvolto in un inseguimento di automobili, seguì una sparatoria. Lui era accanto a degli agenti americani sulle tracce di un pericoloso terrorista. Erano stati attimi pericolosi, tuttavia nel corso della fiction tutto fu sistemato. Gli anni passavano e Giovanni viveva la sua personalissima avventura terrena. Non rimpiangeva nulla. Tutto quello che aveva fatto lo avrebbe ripetuto se fosse rinato.

A casa sua gli altri membri della famiglia non seguivano con assiduità  le vicende televisive. Intanto erano indaffarati, la quotidianità si snoda attraverso mille rivoli di faccende che vanno sbrigate e poi il tempo libero lo dividevano tra computer, tablet, cellulari, si anche un po’ di televisione. Giovanni invece rimaneva indifferente verso le altre apparecchiature che non fossero la sua scatola magica. Sì perchè erano macchine che non vivevano di vita propria, anzi erano asservite a chi le manovrava. Lo schermo televisivo invece si lasciava guidare solo in parte, dal telecomando, ma dopo proseguiva a vivere in modo autonomo, personale diremmo se non si trattasse di un apparecchio.

E Giovanni in questo mondo fatto di elettroni eppur vivo, attraversato da corrente elettrica eppur quasi umano, aveva trovato la sua dimensione. E interagiva prendendo e dispensando ne più ne meno di qualunque altra persona sulla terra. Talune volte giocando con i ricordi in trasmissioni rievocative, con ospiti che erano vecchie conoscenze, gli si conformava nella mente una sequenza di immagini che delineava una sorta di bilancio della vita. Su i piatti della bilancia, innumerevoli piatti sospesi sull’ineluttabile meccanismo dell’esistenza, metteva le esperienze vissute, cioè quanto aveva dato e quanto aveva ricevuto, poi quello che gli era mancato e quello che aveva rifiutato. Ebbene il conto era pari. I piatti della bilancia erano tutti allineati orizzontalmente. E se si fosse guardato intorno, non tutti potevano affermare di aver ottenuto un risultato equilibratamente positivo dell’esistenza.

Certo anche filtrati attraverso lo schermo televisivo, gli anni passavano. I film, i documentari, i telegiornali, i programmi musicali, i talk show, i dibattiti e poi: telefilm, sceneggiati, festival, reality show, olimpiadi, e altri ancora, rappresentavano una marea di ricordi che si affastellavano nella memoria di Giovanni mentre i capelli cominciavano a diventare argentei. Comunque era soddisfatto, in migliaia di trasmissioni si era sempre inserito con soddisfazione, e con un bagaglio di positività nel luccichio dello schermo.

Un giorno  sentì nel profondo del suo essere che l’ora della partenza era giunta. Si rese conto che bisognava al più presto trovare un film o una trasmissione attraverso la quale poter far compiere il destino. Senza la trasmigrazione nelle immagini, come faceva a morire? Così puntò lo sguardo sullo schermo del televisore che ormai, teneva perennemente in funzione. Trasmettevano un film di quelli vecchi, gli attori erano amici di lunga data: lo avrebbero accompagnato volentieri nell’ultimo viaggio. Si inserì quindi nelle immagini: l’attore protagonista in quel momento sbatteva la porta e usciva…Giovanni aprì quella porta ed entrò, era vecchio e non ricordava tutte le scene…dentro alla stanza immersa nei singhiozzi, come previsto dal copione, c’era il suo primo amore. Era molto tempo che non la vedeva. Ovviamente era identica a quando si innamorarono. Si intrecciarono gli sguardi ma lei nell’immenso affetto che traspariva lasciò sfuggire una nota di compassione verso la figura di Giovanni pesantemente offesa dalla sferza degli anni. La bella attrice, col corpo vigoroso e seducente cristallizzato intorno ad un’anima di celluloide, prese le mani di Giovanni nelle sue, e vedendone lo sguardo a tratti spento, capì cosa era necessario fare. Il film scorreva, le scene si susseguivano incalzanti: l’attore protagonista era ferito, riparato dietro una mitragliatrice copriva la fuga dei compagni.

A questo punto l’attrice si portò accanto al protagonista conducendo Giovanni che respirava a fatica. Ormai era l’ultima scena del film, i nemici aprirono il  fuoco, Giovanni fece un enorme sforzo per rimanere in piedi, a modo suo indomito verso il destino, mostrando il petto e lo sguardo fiero ai nemici. Una pallottola lo colpì all’addome, quasi contemporaneamente altri colpi lo raggiunsero in varie parti del corpo: cadde sull’erba, digrignò i denti in una smorfia di dolore dopo ci fu solo uno schermo buio dove si poteva leggere la scritta: The end.

Giovanni fu trovato sulla poltrona privo di vita. “Guarda come è tranquillo, neanche si sarà accorto di passare dalla vita alla morte.” Questo fu il commento dei parenti stretti.

 Ma Giovanni si risvegliò ad un “clic.” E non era uno schermo, erano milioni di monitor. Ebbe inizialmente qualche difficoltà ma poi iniziò ad essere parte della nuova vita. Poteva essere ovunque e con chiunque contemporaneamente, e allo stesso modo dividersi in una sorta di infinita ubiquità. In effetti lo aveva sempre immaginato. Non questa sua nuova condizione, aveva immaginato che la vita non poteva esaurirsi in quello che vedeva giorno per giorno. Qualcos’altro doveva esserci in una eterna palingenesi.

 Nunzio dell’Annunziata