La storia degli esseri umani è stata una lunga ricerca, in principio per procacciare il cibo e di seguito per produrlo tramite l’agricoltura. Poi per conservarlo. L’esistenza, ridotta ai minimi termini è sapere che una dispensa anticamente tangibile, oggi “psicologica”, rimane sempre piena allontanando lo spauracchio della carestia, della fame. Ora non voglio dire che pensiamo esclusivamente al cibo, ma cosa succede quando vediamo nell’aria qualche fiocco di neve? Ci affrettiamo a correre al supermercato per fare incetta di prodotti che repentinamente prendono a scarseggiare negli scaffali mentre si propaga una sorta di vero e proprio panico. Questa è la prova tangibile che nel nostro inconscio qualcosa di atavico monopolizza l’istinto e ci spinge immantinente a ripristinare quello spasmodico interesse primario legato al cibo che vuol dire poi sopravvivenza. E fin qui il senso atavico e biologico del cibo. Quando però i brontolii insistenti dello stomaco non si incamminano sulla sconnessa strada della fame perchè subito placati, l’esigenza del cibo diventa una messa in scena, un “fottuto spettacolo senza senso”. Uso questa locuzione americaneggiante per sottolineare il senso dello show peculiare del popolo stelle e strisce che noi abbiamo ampiamente adattato alla ristorazione e al cibo in generale. In onore a questo sciagurato “palcoscenico” sacrifichiamo contenti: ideali, storia, tradizioni e portafoglio. Ci affidiamo all’apparenza, un’apparenza che se disgraziatamente non ci venisse offerta resteremmo delusi. Al tavolo del ristorante disdegniamo il fritto genuflettendoci alla “tempura”. Che sempre fritto è, sì la pastella con l’acqua ghiacciata…. di pastelle ne esistono mille tutte valide. Ma il fatto è che quasi sicuramente la pastella viene fatta allo stesso modo di sempre, c’è solo un adeguamento semantico, per l’ apparenza. E’ un passa parola: e il fritto diventa tempura. E del lardo vogliamo parlarne? Di Colonnata. Non c’è ristorante che non citi questo prodotto…e a me verrebbe da chiedere, mi fa vedere la fattura dell’acquisto? Mi dia prova di usare il prodotto autentico. No, è più comodo ed economico saziarsi di apparenza. Sarà un lardo qualsiasi, non importa, basta che l’illusione ci faccia sentire a posto con la coscienza consumistica e pseudoconoscitiva a discapito delle eccellenze delle quali andiamo fieri, ma che probabilmente della versione originale nemmeno abbiamo idea. Ad esempio, quanti hanno assaggiato l’aceto balsamico vero? Nella maggior parte delle cucine si usa un prodotto (un liquido scuro che non somiglia nemmeno lontanamente all’aceto balsamico) e ogni piatto si fregia dell’orpello: “all’aceto balsamico”.
Certo ci sono eccome ristoratori che usano materie prime di grande prestigio, per chi non si accontenta del fumo e quando va a ristorante vuole lo spettacolo autentico. Almeno però si gioca a carte scoperte. In questo caso nulla da eccepire. E forse si prova una sensazione psicologica e sensoriale all’altezza delle aspettativa e della spesa. Inoltre, in alcuni casi si sperimenta attraverso il gusto e gli altri sensi, uno scenario, una visione, su nuove tendenze e su come si evolve la cucina. E fin qui tutto normale ed interessante. Ma dovrebbero essere alcuni cuochi particolarmente dotati, con autentica ispirazione, senso estetico, conoscitori dei prodotti e della storia della cucina a sperimentare, proporre, far riflettere. Fatto stà che chiunque davanti ai fornelli scimmiotta un ipotetico grande artista cuciniere-inventore di ricette, rivoluzionario esteta di forme e colori. E questo è uno spettacolo subdolo e di cattivo gusto. Una sorta di omologazione al ribasso del glorioso percorso millenario della cucina italiana.
Mi si obietterà che queste tendenze fanno bene al PIL. Ma il Prodotto Interno Lordo sale anche quando siamo fermi nel traffico di agosto andando al mare. Per cui non sempre economia florida coincide con qualità della vita, o con felicità. Ma un po’ di liturgia pagana non si nega a nessun prodotto nella ristorazione e anche il vino viene posto sul palcoscenico dell’assurdo. Intanto i bicchieri sono ormai trasformati in gigantesche ampolle. E c’è stato un periodo che nemmeno si pensava di accostare alle labbra un “nettare” senza che fosse stato “ossigenato, areato” nel “decanter”. Adesso i camerieri sono occupati in nuove gestualità nuovi numeri del grande spettacolo e i decanter, negletti, non sono nemmeno più spolverati. Sostano sulle mensole delle sale relegati a rappresentare una improbabile specie di soprammobile.
Non vorrei dimenticare la rucola…ora vive una pacata presenza sobria e controllata nei piatti e risulta anche piacevole, ma c’è stato un momento in cui qualsiasi preparazione doveva finire con: “e rucola”, altrimenti lo spettacolo non era completo.
Ora è il momento della polvere, ogni portata deve essere circondata da un qualsiasi elemento ridotto in polvere: buccia di arancia, noci, ghiande, frutti di mare, tutto essiccato e polverizzato. Poi trovatemi un forno o una pizzeria che non dichiari con solennità e orgoglio di adoperare il lievito madre. Altro passa parola: tutti lievito madre. Ma come mai il lievito di birra si consuma a quintali?
A consacrare e diffondere questo esasperante continuo spettacolo ci pensa la televisione. Con grandi chef a recitare. Sì ognuno ha scelto (o gli è stato affibbiato dalla regia) un “personaggio” e recita. C’è chi poi con aria seriosa esamina la preparazione, si accorge che un petalo di qualche fiore di chissà quale roccia dell’Himalaya, è stato spostato muovendo accidentalmente le posate, pardon le pinzette da chirurgo, e senza più degnare di uno sguardo l’autore del piatto, il piatto stesso e la telecamera lo prende tra le dita e con un’aria sprezzante, spiegabile solo in chiave di follia, fa scivolare il contenuto nella pattumiera. Che orrore per quelle persone che ancora considerano sacro il cibo, perchè inconsciamente memori di quel senso atavico, biologico, sacrale che è l’anima stessa del “mangiare”. Ma ormai in cucina tutto deve essere spettacolarità. E tutti noi dovremmo cancellare il senso profondo, storico, motivato, del cibo, a favore di uno show? Ricordiamo che “siamo quel che mangiamo”.
Nunzio Dell’Annunziata