Tanti tanti tanti anni fa anch’io sono stato un bimbo, con trasparenza e profondità negli occhi, con desideri e giochi sospesi dentro una fantasia che sbocciava nell’innocenza…voglio dire come ogni bambino di questo mondo.
Tutti i Natali della mia infanzia si confondono in una specie di sogno che trabocca di tepore, lucine colorate e cibo, buone cose da mangiare che spuntavano quasi da ogni angolo della casa. Su tutto questo però una sorta di mano invisibile, divina, (per lo più ignorata) aleggiava su tutto e invitava alla morigeratezza dell’esteriorità e ad un calduccio come nuvola d’amore, da custodire tra cuore ed anima. E sì … tutti così i Natali, più o meno … Uno però lo ricordo distintamente. Ed è associato a mio padre e ad un cagnolino. Il babbo è sempre un maestro per ognuno di noi. E quindi, mio padre appunto, svegliò il presepe che sonnecchiava sotto un involucro di cellofan a sua volta ricoperto da una “coltre” di polvere. Lo posizionò nel solito angolo, e poi rivolto a me che ero il più piccolino dei figli disse: “Intanto l’abbiamo messo al suo posto poi metteremo le statuine dei pastori.” Infatti il giorno dopo con colla e statuine iniziammo la “composizione”della natività per eccellenza. Mio padre mi spiegava le “figure” classiche che animavano il presepe. La lavandaia che lavava i teli adoperati per il “parto”, la locanda a fianco della stalla con la mangiatoia, era il male perché lì avevano negato ospitalità alla “famiglia” in cerca di riparo. E poi su alla “stalla con la mangiatoia” si vedevano le colonne diroccate del tempio pagano: “Vedi queste colonne” diceva mio padre “sono le colonne del paganesimo che si sgretolano con la nascita di nostro Signore. Oltre a queste spiegazioni, per quel retaggio religioso così presente nelle famiglie di un tempo, e del quale prima facevo accenno, il suo raccontare prendeva una nota mistica attraverso la quale trovava spazio e si diffondeva una latente cristianità oggi quasi scomparsa.
Io nei momenti di silenzio, in solitudine fissavo a volte le statuine che brillavano nei riflessi delle lucine e le immaginavo viventi e le accostavo a figure reali che incontravo solitamente per strada.
“Babbo ma Gesù Bambino?” chiesi quando il presepe era ormai terminato. “Ma Gesù Bambino non ancora è nato. Lo metteremo nella mangiatoia alla mezzanotte del 24 dicembre”. Intanto mia mamma tornava a casa dal mercato con sacchetti ricolmi di cibo e su i mobili si allineavano panettoni, pandori, torroni e altri dolci natalizi. In un enorme cesta poi, alla rinfusa c’era la frutta secca: noci, nocciole, mandorle e vari tipi di castagne essiccate. E spuntavano, da questo paniere, infilzate, alcune confezioni oblunghe di fichi secchi e datteri. Più che i sapori però, risalgono dalle memoria profumi, forme e colori che disegnano il quadro dell’opulenza… E brillavano intorno le lucine di varia cromatica iridescenza e tutto sfociava nella magia. Sembravano due mondi paralleli, quello delle statuine e quello reale che a momenti si confondevano.
Intanto passavano i giorni: “Babbo ma il Bambinello?” chiedevo. “Ma siamo al venti, devono ancora passare quattro giorni”. A quel tempo quattro giorni sembravano un’eternità. Poi sempre per quella insita religiosità latente, mio padre aggiunse. A Natale bisognerebbe essere buoni, bisognerebbe esserlo tutto l’anno, ma se anche a Natale non si fanno opere buone, il Bambinello si rifiuta di ritornare nel mondo. Io un po’ per scherzo, un po’ sul serio prendevo per buona questa sorta di parabola empirica ed essenziale. Per essere certi che il Bambinello nascesse, proposi a mio padre di uscire e compiere opere buone. Sorridendo, lui acconsentì. Per strada mi fermai davanti alla chiesa e mi segnai con la croce. Poi proseguendo misi (non ridete) un po’ a malincuore, quindici lire nel cappello di un mendicante lì vicino. Soddisfatto per le buone opere fatte proseguii insieme a mio padre che sorrideva della mia ingenuità. Tornati a casa andai a guardare nella mangiatoia: magari le mie opere buone avevano indotto il Messia ad anticipare la sua comparsa annuale sulla terra… Ma nulla, dentro la mangiatoia spiccava il colore giallo che rappresentava la paglia nuda e vuota. Vabbè allo scoccare della mezzanotte il Bambinello sarebbe stato al suo posto come ogni anno. Quando fu il 24 dicembre, la mia mamma era tutta intenta a preparare il cenone, rigorosamente di magro. Ma non per questo meno superbo di quello che includeva la carne. Semplicemente sostituiva la carne con il pesce.
Ad un certo punto della serata origliai distrattamente di uno scambio di battute tra i miei genitori: “Senti ma che fine ha fatto il bambinello dalla scatola del presepe?” cominciò mio padre. “Ma sei tu che ogni anno ci metti le mani. Proprio non saprei cosa dirti.” rispose mia mamma. “A quest’ora non si può più nemmeno comprare accidenti.” concluse mio padre. Verso le otto di sera giunsero a casa i parenti con i quali avremmo passato la vigilia. L’atmosfera prese quel tepore che solo a Natale si sparge nella casa. Fu aperta una bottiglia di prosecco per un primo brindisi di augurio, di ben esserci ritrovati. Sorseggiando prosecco qualche occhiata distratta sfiorò il presepe. “E il bambinello?” chiese qualcuno. “Ma senti, per l’appunto nella scatola dei pastorelli non l’ho trovato.”
Tutti prendemmo posto, il cenone ebbe inizio e tutto quello che non era cibo, risate, chiacchiericcio, passò in secondo piano. Perfino Nostro Signore che secondo la tradizione, da lì a qualche ora, avrebbe dovuto nascere.
Via via si susseguivano le portate e tutti mangiavamo contenti, di gusto. Mia mamma aveva perfino preparato tra gli antipasti le tartine con il caviale…vabbè aveva preso al supermercato un barattolino con uova di lompo…ma per noi era caviale… questa era stata l’unica trasgressione alimentare, per il resto della cena tutto era rigorosamente rispettoso della tradizione popolare. L’unica che conoscevamo per fortuna. Sul tardi il cenone terminò e anche alcune bottiglie di vino. La tavola venne sparecchiata da piatti e vassoi affinché fosse tagliato il panettone e serviti gli altri dolci. Io avrei mangiato il torrone e mio padre si accinse a spezzarne un po’ aiutandosi con un coltello sul quale batteva il palmo della mano. In quel frangente sembrò che alla porta ci fosse stato qualcuno. Una specie di bussare. “Ma chi è alla porta?” disse mia mamma. “Ma nulla, sono io a far rumore.” rispose mio padre. Con una certa ostinazione mia madre volle accertare questo mistero: c’era qualcuno o no fuori dalla porta? E aveva ragione, meraviglia… c’era un cagnolino, un cucciolo. Sentendone i guaiti corsi anch’io alla porta: un cagnolino infreddolito, tremante e affamato era stato spinto dal caso, dall’odore di cibo chissà, alla nostra porta che dava sul cortile e il cortile in strada… “Oh mamma….teniamolo con noi!” esclamai “c’è freddo fuori.”
Così aggiungemmo un posto a tavola…metaforicamente. E confortati da questo piacevole “contrattempo” proseguimmo il cenone gettando di tanto in tanto un’occhiata al cagnolino che mangiava tutto quello che io gli mettevo in una ciotola. Il Natale dovrebbe essere anche condivisione (al di là della religiosità) infatti fummo tutti più contenti. Presi ancora un pezzetto di carne e lo portai al cagnolino. “Basta” intervenne mia mamma “lo farai scoppiare”. Ma io sordo ai richiami mi avvicinai ancora a quello che ormai era diventato il mio amico e gli lasciai ancora un boccone. Ritornando al mio posto gettai un’occhiata al presepe: “Babbo!! Ma il bambinello è al suo posto!! “Eggià disse mio padre prendendo la palla al balzo. Abbiamo fatto una buona azione accettando il cagnolino e Nostro Signore ha deciso che valeva ancora la pena di farci visita.” Io gli credetti. Poi crescendo mi convinsi che, chissà come, la statuina era risaltata fuori ed era stata posizionata da mio padre nella mangiatoia….Ora che sono vecchio però, non sono più tanto sicuro su chi abbia messo il Bambinello nel presepe…
Nunzio Dell’annunziata