Voto in Umbria. Covino «Stesse scelte, addio diversità»

by Gianni Fanfano

Dal GIORNALE DELL’UMBRIA di Pierpaolo Burattini

Dopo Roberto Segatori, Claudio Carnieri, Ruggero Panieri di Sorbello, Alessandro Campi e Luca Ferrucci, continua la serie di interviste a sociologi, storici, economisti e intellettuali per dare una lettura, sotto diverse angolazioni, di quanto avvenuto in Umbria in occasione delle ultime elezioni regionali.

Oggi è la volta del professor Renato Covino.

L’astensionismo come frutto della mancanza di riconoscimento di valori e interessi materiali; destra e sinistra dentro un medesimo sistema di scelte e valori e la sinistra radicale che resta al palo per troppo opportunismo e poco coraggio. Renato Covino, professore ordinario di Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia, va subito al punto senza preamboli perché certe cose sembra averle maturate nel corso del tempo e dalle ultime elezioni regionali gli arrivano più conferme che dubbi.

 

Professore, il dato molto alto relativo all’astensionismo cosa ci dice di queste ultime elezioni regionali?

«Ci dice che ormai, per una larga fascia di italiani e umbri, la politica viene considerata qualcosa di inservibile e questo riguarda una larga fascia di cittadini».

Inservibile per cosa?

«Inservibile alla tutela delle idealità e degli interessi economici. Mi sembra chiaro che il meccanismo si è ormai inceppato e la scelta dell’astensione è secondo me un voto politico».

Secondo lei, anche le stesse categorie di destra e sinistra sono finite dentro questo imbuto?

«Quando ti trovi ad agire dentro un sistema di regole e scelte in gran parte obbligate, le distinzioni in base a cosa risultano evidenti? In questo destra e sinistra hanno finito per sovrapporsi».

E l’Umbria? Come sta dentro questo quadro?

«Da ormai venticinque anni la nostra regione cresce molto di meno rispetto alle altre regioni del Centro e questi sette lunghi anni di crisi hanno portato an- cora di più allo scoperto certe debolezze che ormai sono strutturali».

Che significa?

«Significa che abbiamo una struttura industriale decotta e che fino ad oggi ci si è mossi sul versante del comparto dell’edilizia e su quello delle public utility, ma venuta meno l’edilizia a causa della crisi siamo restati con un solo “spazio” a cui applichiamo sempre le stesse ricette, vedi le privatizzazioni».

Quadro a dir poco sconfortante?

«Sconfortante ma reale, anche se va detto che alcuni settori come quello della chimica verde, della meccanica fine e del cachemire: certo siamo una piccola regione di 900mila abitanti e questo rende tutto più difficile, ma poi credo che tra non molti anni non si andrà più a votare per la Regione e il problema sarà affrontato sotto un altro punto di vista».

E la dicotomia tra innovatori e conservatori di cui parla il professor Ferrucci? «Non mi convince, il problema è che ormai c’è un pensiero unico che taglia in maniera trasversale i partiti al di là del loro stare a destra o sinistra».

Dunque, è perfettamente inutile parlare di contendibilità politica dell’Umbria? «La contendibilità implica la differenza in base a scelte concrete e qui è proprio quello che manca».

Anche quella sinistra portatrice di un pensiero per così dire radicale, esce malconcia dalle urne. E anche questo è un segnale o no?

«Su quel versante si pagano le troppe cose accettate in passato e le rotture troppo tardive: gli elettori non sono così ne stupidi ne disinformati».

Come giudica la novità del Movimento Cinque Stelle?

«Loro, come la Lega, penso che si metteranno fuori dal circolo consociativo andato in scena fino ad oggi, ma poi credo che sulle scelte di politiche di fondo si accoderanno».

Fotografia della nuova Giunta e del nuovo consiglio regionale?

«Guardi, non mi aspetto nulla e credo che sia la composizione del Consiglio che della Giunta non mostri segni veri di discontinuità».

(6/continua.

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