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Sbarra (Cisl) «Per il lavoro più territori meno regione»

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dal Messaggero Umbria del 29-12-2015 di Luca Benedetti

II sorriso è in fondo al cassetto. La ripresa? Al massimo è il secondo tempo di una partita. E per Ulderico Sbarra, appassionato di pallone ed ex bomber, quando si paria di Umbria, la ripresa non c’è. Anzi, siamo fermi ancora al primo tempo, quello giocato dentro al tunnel della crisi.

Il segretario della Cisl Umbria ne è straconvinto. Ed entra con una tackle che fa male:

«La povertà rimane e le diseguaglianze si ampliano».

Segretario Sbarra, Istat e Censis disegnano l’Italia in frenata e stanca. La Cisl Umbria, qualche settimana fa, pur senza quei microscopi, non c’era andata lontana. Come stanno le cose?«Per parlare di cose così serie si deve uscire dalla propaganda e dall’imbonimento. E guardare le cose per quelle che sono. Mi spiego: su reddito e lavoro bisogna essere corretti».

La Cisl che Umbria vede?

«Da tempo proviamo ad analizzare la situazione guardando il mondo dal fondo del bidone in cui siamo caduti. E dal fondo del bidone che sono le fabbriche, gli uffici sindacali, le sedi della Caritas, il film non ha alcun effetto speciale».

E che effetti si girano?

«Innanzitutto il problema più grande di questa regione è più grave che nel resto d’Italia. Per esempio al Nord qualche cosa è successo. Il film che si gira è quello dell’occupazione che manca e quella che c’è, che resiste, peggiora. Oggi chi ha la fortuna di essere occupato rischia di avere un’occupazione con meno diritti, meno qualità, meno sicurezze e meno salario. Accettando condizioni di ricatto dovute a un mare di persone disoccupate e male occupata».

Come mai siete quasi soli a disegnare questa situazione? Iper pessimisti?

«Tutt’altro. È la visione dal fondo del bidone che di da credibilità, C’è un mondo che annaspa, vive di fatica. E ce ne è un altro, che è quello della politica e delle istituzioni, che non percepisce in pieno la situazione e ancora si affida molto alla propaganda. A qualcuno forse fa comodo dire che siamo usciti dalla crisi e siamo in rispesa e siamo ottimisti. Nei luoghi di politica e istituzioni viene proiettato Star Wars, cioè gli effetti speciali. Dal nostro osservatorio, invece, guardiamo Accattone».

Si riferisce alla Regione quando dice istituzioni?

«Lo ha detto anche la Regione che c’è occupazione. In Umbria, invece, si scontano importanti ritardi accumulati negli anni e diventano di difficile soluzione perché l’attenzione al manifatturiero e al lavoro produttivo e alla qualità della produzione erano una tema che dovevano stare all’ordine del gior no anni fa. Ora i ritardi diventano difficili da recuperare».

E le imprese?

«Da Confindustria Umbria sono arrivati segnali interessanti che portano a misuraci con quello che è stato detto al Lyrick: dall’innovazione ai valori, dall’economia cir- colare alla responsabilità sociale dell’impresa. Ma evitiamo che l’annuncio sfoci solo in un becero paternalismo».

Quali sono gli elementi che vi preoccupano di più?

«L’invecchiamento della popolazione in termini economici è un’indicatore che l’economia va male. Ridisegna in basso la qualità della vita».

Sbarra, quando l’Umbria è rimasta indietro?

«Quando, nel 2007-2008, non è stato messo al centro della discussione il lavoro produttivo, cioè come rialzare la qualità del lavoro produttivo piuttosto che preoccuparsi della spesa pubblica. La Germania ha vinto la sfida investendo sul lavoro produttivo venti anni fa. Uno dei limiti è di non aver consapevolezza di cosa sia stata e cosa sia la globalizzazione. La Germania ha alzato il livello di produzione, noi abbiamo fatto ricorso al debito pubblico. Non sono state fatte grandi riforme e non è stato riqualificato il sistema produttivo».

Segretario, stavolta che film citiamo?

«Nessun film. La Germania ha fatto l’Audi, l’Italia la Duna. Noi siamo condannati da dinamiche nazionali e europee. L’Umbria non può fare miracoli neanche con i fondi europei, ma deve sforzarsi di rileggere i sistemi economici locali. Significa non avere più una visione generale per cui tutto viene tarato sul sistema regione, ma stare più attenti alle diverse dinamiche di sviluppo territoriale e alle diverse eccellenze e competenze territoriali. Dove è evidente che Foligno ha specificità diverse da Perugia come Perugia da Castello e da Terni. I territori che ridiventano determinanti anche per lo sviluppo produttivo ed economico hanno specificità diverse che devono essere colte».

E questo schema che vantaggi può portare?

«Se si lavora bene sul territorio, se si riscoprono specificità e non genericità, si possono concentrare risorse e investimenti e diventare attrattivi verso i capitali».

Segretario, facciamo qualche esempio

«Perugia potrebbe pensare a una riconversione culturale da mettere a sistema e per la competenza della lavorazione del cacao che potrebbe diventare un distretto produttivo. Foligno è evidente che debba continuare a investire su alta innovazione tecnologica e ricerca avanzata che in quel caso gli viene data dal polo aereonautìco. È la città che, investendo su ricerca e innovazione, ha creato posti di lavoro di qualità e ha un indotto di qualità che gli consente di sentire meno la crisi. Questo non è riproducibile ovunque. A Terni gli acciai speciali rimangono una specificità importante da sviluppare meglio, ma la chimica verde può essere l’altra grande opportunità da cogliere. Spoleto è una città da reinventare e va fatta una riflessione più profonda. Dopo Perugia è il centro che di più sente più la crisi. Si tratta di scappare dalla visione regionalistica che può andare bene in ambito agricolo e ambientale. Può essere più funzionale ragionare su assi. Che ne so Gualdo-Fabriano oppure Orvieto- Viterbo, piuttosto che rimanere in Umbria»

Sbarra, ma questo basta per creare lavoro?

«È la preoccupazione più grande. I nuovi lavori, l’industria 4.0 cambieranno la fisionomia del lavoro riducendo quelli tradizionali. Noi dovremmo creare nuovi ambiti. La filiera turismo, arte e cultura deve essere meno marginale, così come i beni comuni e l’economia civile dei servizi possono generare nuovi lavori dignitosi, equi e in sicurezza. Per dare una risposta al problema vero: l’identità delle persone è legata al lavoro dignitoso. Frenare l’emorragia dei giovani e preoccuparsi degli ultra 45enni espulsi dal ciclo produttivo che entrano in una spirale di disagio sociale assolutamente pericoloso. Rispetto a questo, che è una vera emergenza, bisognerebbe da subito mettere in campo anche soluzioni emergenziali. Parliamo di crisi e invece è in atto un cambio epocale. Il paese si sta impoverendo e senza politiche nazionali l’Umbria può fare poco. Vogliamo rassegnarci al reddito di cittadinanza o a un reddito minimo di 500-800 euro?».