Home Rubriche Cose scritte tra noi Ricette e cronache dalla cucina. “L’ imbrecciata umbra”

Ricette e cronache dalla cucina. “L’ imbrecciata umbra”

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La prima volta che mi condussero in cucina ero un giovanotto. Direte di belle speranze…io direi senza speranze…Non ero convinto di lavorare nel settore perché avevo frequentato (senza successo) tutt’altra scuola. Poi ero stato assunto come facchino e con tutto il rispetto non ero felicissimo. Ma d’altronde bisogna pur iniziare e prima di esprimersi bisogna farsi quelle che si chiamano: “le ossa”. Mi mostrarono la postazione dove erano ubicati due enormi acquai: il mio regno. Era un vecchio ristorante e mi colpì l’odore che persisteva in cucina quand’anche fosse pulitissima. Era un sentore piuttosto sgradevole: allora non c’era tutto l’acciaio scintillante che le attuali norme igieniche prevedono negli ambienti professionali, dove anche una adeguata areazione contrasta con efficacia ristagni di aria pesante.

Bisogna riconoscere che questa evoluzione igienico-tecnologica è stata assolutamente una benedizione tuttavia, a distanza di anni, non mi dispiace aver annusato quegli odori. Forse anche per certi versi un po’ nauseabondi. Eh! Sì perché ritengo che nell’anima mi sia entrata un’aria carica di fatiche, fantasie, dedizioni, colpi di genio, impegno, professionalità di intere generazioni di cuochi.

Presi servizio e mi ritrovai con montagne di tegami da strusciare, mentre gli addetti al cibo erano costantemente indaffarati nelle preparazioni. Al momento del servizio poi…sempre una guerra…arrivava di tutto da lavare: padelle, pentole, tegami, stoviglie da cucina, fruste, contenitori di plastica, zuppiere…

Trascorse qualche settimana: ero sfinito, ma allo stesso tempo non potevo lasciarmi sconfiggere. Strinsi i denti. Poi venne anche a me un minuscolo colpo di genio. Mentre lavoravo non mi lasciavo sfuggire le operazioni, le procedure che vedevo eseguire ai cuochi. Che allora non si affollavano intorno ad un piatto con pinzette da orologiai o chirurghi. Preparavano, impiattavano e servivano senza troppe liturgie. Ma io avevo seguito attentamente alcune preparazioni così una sera, misi a mollo fagioli, ceci, lenticchie di Castelluccio, farro e granoturco.

La mattina seguente, sbrigate le faccende che mi competevano, chiesi: “Chef, posso preparare qualcosa per la cena del personale?” “Sì sì fa pure” fu la risposta. Cominciai con il lessare i legumi insieme ad un rametto di rosmarino e uno spicchio d’aglio. Misi sul tagliere un pezzetto di lardo, ancora uno spicchio d’aglio e del pepe. Con un coltello cominciai a batterli fino a ridurli in una pasta. Preparai un battuto anche con una carota, una cipolla e una costola di sedano. Feci un soffritto con la “pasta” di lardo e le verdure tritate. Quando il fondo della zuppa fu rosolato e appassito perbene a fuoco lento per non far bruciare il grasso, aggiunsi dei pomodori privati della pelle. Allungai con un po’ di acqua e lasciai cuocere dolcemente. A sera, mezz’ora prima dell’ora di cena del personale, aggiunsi la salsa di pomodoro ai legumi lessati, portai a bollore e lasciai cuocere la mia zuppa per circa mezz’ora affinchè gli ingredienti fondessero in maniera corretta i sapori. Sentii il sale e al momento di scodellare non feci mancare alla zuppa una generosa irrorata di olio umbro. Inutile dire che la mia preparazione fece come si suol dire il fumo.

Arrivò con comodo lo chef: sempre almeno un’ora dopo tutti noi. Mi raggiunse all’acquaio e mi chiese:” Ma che zuppa avevi preparato? Volevo assaggiarla ed è tutta finita…”
“’Imbrecciata umbra risposi prontamente.”

Il giorno dopo lo chef mi tolse dall’acquaio: aiuto cuoco…Il mio viaggio professionale era iniziato.

Nunzio Dell’Annunziata