Home Rubriche Cose scritte tra noi Qualche vago ricordo di un aspirante scrittore

Qualche vago ricordo di un aspirante scrittore

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(Il primo che venne a farmi visità fu il buon vecchio Ernest. Tornava da una battuta di pesca nel mare di Cuba, o da un safari nel Serengeti, chissà. Era abbronzato e mi raccontò di un vecchio e di un pesce e poi il vecchio aveva il viso di Spencer Tracy. Mi disse che nella vita nasciamo perdenti, l’unica condizione che può riscattarci donandoci una esistenza degna di questo nome, è lottare senza darla vinta al destino. Aveva uno spirito avventuroso e negli occhi, la vita e la morte che riviveva in ogni forma di combattimento: corrida ,caccia, pesca, boxe. Come metafore dell’esistenza. Il suo stile asciutto e telegrafico è rimasto insuperato.)

Aveva smesso di piovere ma il mese di febbraio restava nelle sue gradazioni di grigio. Come al solito tribolai per mettere in moto il mio vecchio scooter che liberava nell’aria monossidi vari aggrovigliati ad un rumore rotante e spompato. Proprio non voleva saperne di prendere il ritmo tamburellante che precede l’accensione. Comunque alla fine come per miracolo andò in moto, così mi avviai nel freddo tra la nebbia. Per la strada, anche per non pensare ai brividi che percorrevano la pelle, vagliavo questa possibilità che mi si presentava: un giornale locale era disposto a pubblicare alcuni miei racconti. Che emozione, che bello, che soddisfazione. Lo sapevo che prima o poi qualcuno avesse apprezzato la mia scrittura. Avevo appuntamento col direttore presso un bar. Arrivato, lasciai lo scooter a debita distanza. Avevo un po’ vergogna di farmi vedere a cinquant’anni suonati su quel rottame, senza nemmeno un catorcio di macchina che mi riparasse almeno dal freddo e dalla pioggia.

Facemmo le presentazioni poi io provai a mostrare alcuni miei scritti: “Sì” dissi “ la roba è questa, sono brevi racconti, potrebbero interessare…” “Il giornale è mensile, generalista, una pubblicazione al mese costa circa…” “Ma io veramente pensavo…”

I racconti furono pubblicati senza che io pagassi nulla. Pe fortuna qualche brava persona si trova, altrimenti sarebbe finito il mondo. Era talmente una brava persona che pagò anche il conto del bar. Aspettavo con ansia l’uscita del giornale, ricordo la prima novella stampata con sotto il mio nome. Ebbi una sensazione magnifica nel pensare che qualcuno sfogliando le pagine del giornale si soffermasse a leggere i miei racconti.

( Con quell’aria da brava persona, padre di famiglia, senza vezzi strampalati da artista, varcò la soglia della mia casa, Dino. Aveva l’aspetto da giornalista serio, con sotto il braccio una copia del Corriere. Mi ribadì che i Tartari non sarebbero mai arrivati: e chi li attendeva più… gli risposi che me lo aveva già detto. E lo ringraziai anche per tutte le altre informazioni e per la maestria con la quale si era espresso. La vita è un cammino a volte accidentato. Qualche ragguaglio da chi è riuscito a guardare nei crepacci dell’anima, o nelle sterminate e bizzarre vallate della vita, fa comodo. Mi salutò con cordialità e mentre si allontanava, come una grande nuvola lo seguivano i dipinti, i costumi, le scene, le parole scritte. Tutto allineato come note sul pentagramma. Era tutta la sua creazione nell’armonia del cosmo.)

Seppi in seguito di un’altra redazione di giornale e casa editrice in un paese qui vicino. Prima telefonai: “Pronto, verrei parlare con il direttore”. Mi fu passato: “Si mi dica”. “Senta volevo fissare un appuntamento per mostrarle alcuni miei scritti. Mi piacerebbe collaborare con il suo giornale.” “Bene le ripassso la mia segretaria che fisserà l’appuntamento.”

Comprai una cartellina nuova, misi dentro alcuni manoscritti più sostanziosi insieme ad una ventina di fogli sparsi. Giunsi in redazione, dietro una scrivania c’era una donna sui venticinque anni, con due appariscenti occhiali da vista che insieme alla pettinatura e all’abbigliamento definivano assolutamente la segretaria nell’immaginario collettivo: “Sì, mi dica.” “Senta avevo un appuntamento col direttore.” “Ma è in agenda?” A me, queste formalità fanno ridere…

Essì, quando servono a creare un alone di importanza, un’impressione di innumerevoli impegni, un’aura di esclusività, un’illusine di professionalità.

Fui introdotto nell’ufficio del direttore. Guardava distrattamente il Corriere dello Sport, non faceva un bel nulla e aveva tutta l’aria di non aver nessun impegno. Aveva un cognome che suonava come una specie di “prostata”. Era un uomo minuto, vestito con una certa ricercatezza tesa a voler mostrare originalità. Questi esaminò con una occhiata i miei fogli leggiucchiò qualcosa e senza esitazione accettò che io collaborassi col giornale. Mi spiegò che aveva alcuni progetti editoriali, di riviste. E che la sua attività preminente era l’editoria, inoltre aveva creato una specie di polo multifunzionale che allargava il raggio di azione dalla carta stampata, alla pubblicità, a pubblicazioni strettamente correlate al territorio e perfino ad una attività immobiliare.

Ma non era finita qui e animava nel suo giornale, oltre naturalmente all’informazione, perfino un mercatino per mettere in contatto chi voleva vendere o acquistare oggetti. Accipicchia quanta carne al fuoco….ma ero capitato nel posto giusto. Io avevo chiuso da poco la mia attività alberghiera e volevo vendere: non erano anche agenzia immobiliare? Poi avevo rimanenze di attrezzature, così lasciai un messaggio da pubblicare sul “mercatino” e naturalmente, da casa, tramite mail i primi pezzi da pubblicare. Morale della favola nel mese successivo e negli altri non comparve mai il mio annuncio di vendita, i miei pezzi e nemmeno ebbi risposta su la messa in vendita del mio immobile…Ecco come campano alcune persone, si presentano al pubblico con una mano di vernice data da un pennello intinto dentro una ipotetica tinta di integerrimo professionismo militante. Figure di cartone che giocano a fare le persone in carne ed ossa. Mica perchè la mia scrittura valesse qualcosa…semplicemente lui non se ne era nemmeno accorto, nemmeno aveva letto gli articoli… perchè non era un editore…del resto non era nemmeno un immobiliarista e tanto meno un pubblicitario….forse non era nemmeno una persona, era una sorta di ectoplasma che si spacciava per uomo. Una nullità. Anzi sua maestà il “Viscidume.”

(Un pomeriggio, proprio non me lo aspettavo, si presentò a casa mia Bukowski. Era vecchio e malandato. Ma non era ubriaco come ad Aphostrophes. Mi lesse alcune poesie. Quando arrivò a Blu bird si sciolse in lacrime. Ma io non mi stupii, lo sapevo che era capace eccome di emozionarsi e piangere al suono e al significato delle parole. Per questo le scriveva invece di ascoltarle soltanto come fanno quasi tutti quanti. Gli preparai un caffè, poco dopo ci stringemmo la mano e andò via. Solo dopo che fu andato capii tante cose di lui).

Poi c’erano le case editrici. Così dette. Tutte uguali. Con l’avvento del digitale chiunque se l’era inventata. Pubblicitari, tipografi, agenti di commercio. Un bel po’ di gente aveva esteso la propria attività in questo campo. Mandavi un “manoscritto”, poteva essere qualunque cosa, anche sgrammaticata, stupida, incompiuta oppure di grande qualità: dopo un po’ ti arrivava a casa la solita risposta prestampata, risposta che consisteva nel prezzo della stampa e della pubblicazione. Nemmeno loro, come “il direttore”, avevano letto il materiale da pubblicare. Sarei stato più contento mi avessero detto: “Guarda, abbi pazienza, robaccia simile noi non la pubblichiamo”. Avrei potuto non essere d’accordo…ma almeno sarei stato trattato da persona, da aspirante scrittore, e non da soggetto, entità informe ed incolore dal quale spillare qualche soldo. Ora non voglio dire che non ci siano case editrici serie però il quadro da me descritto è la situazione preponderante.

Ogni volta mi convincevo che ero stufo e che era inutile lottare contro i mulini a vento. Ero consapevole di non aver un particolare talento, non volevo stupire nessuno e non avevo velleità. Volevo solo poter esprimermi nella maniera che ritenevo più consona al mio carattere e alle mie passioni. E forse anche per sentirmi meno solo nell’isolamento che mi creavo intorno, che qualche volta risultava eccessivo.

Poi partecipavo a qualche concorso letterario: un racconto, una poesia e inaspettatamente vincevo…e si riaccendeva la voglia di mettermi sulla tastiera e scrivere qualche storia: fatti realmente accaduti. Oppure togliere alla fantasia il freno e tuffarmi nel sogno e nell’invenzione totale. Tutto naturalmente secondo i miei rudimentali mezzi: uno scampolo di fantasia aggrappato ad una grammatica approssimativa. E devo dire che quando qualcosa solletica o brucia dentro, non c’è niente di meglio della scrittura. E questo in barba ad editori, direttori, lettori e in barba perfino a colui che scrive.

Una sera ero a casa, la mia casa polverosa da scapolo, dove poche donne erano entrate, ed erano poi sparite. Accesi il televisore: tutt’intorno alla “scatola parlante” si affollavano i libri. Molti li avevo letti, molti no. E certo mi avevano fatto buona compagnia.

Poi inaspettatamente, dopo anni, riuscii a trovare un editore che pubblicò un mio libro di racconti a sue spese: si avverava un sogno?

(Sentii bussare alla porta, andai a vedere: nessuno. Poi bussarono alla finestra, sì come nel “Corvo”, The Raven, e proprio dalla finestra entrò tenebroso, imperterrito, Edgar. Nessun busto di Pallade nella mia casa e dovette accomodarsi su di una normale sedia. E tutti i suoi sogni, le sue fantasie lo assediavano. Mi fissò negli occhi ed io mi persi nel suo sguardo liquido. Con un movimento rapido fece roteare una sorta di mantello annodato stretto alla gola, che riscese lungo le gambe ricoprendole fin sotto il ginocchio. “Non proferì parola” ma la sua visione di morte, in quel gesto del pastrano, mi si impresse nell’anima con teatralità e raffinatezza di concetti. Sotto il sangue vivo e spumeggiante dei suoi racconti, la trama sottile già dalle prime parole si incammina per viuzze e vicoletti indefiniti fino ad arrivare nell’oscuro paese del delirio, della follia, e si riconosce in quell’alterata percezione tutto il bisogno di affetto che non conosce ragione, motivo, razionalità. Quel negato bisogno di essere amati così ultimativo da lasciare un baratro. Per sempre. Nel mistero dal quale era arrivato si allontanò, e anche a grande distanza un’ombra lievissima lo avvolgeva affinché restasse celato il segreto “della nube che forma di demone assumeva al suo sguardo.”)

La pubblicazione avvenne con soli contatti online. Mi affrettai ad aggiungere qualche racconto per raggiungere un minimo di pagine, corressi io le bozze, scelsi una copertina, tutto in fretta e furia. Il libro fu pronto e uscì.

Ma tanto non serve a nulla, è giusto la soddisfazione di aver trovato qualcuno che ti riconosce un lavoro, un impegno.

Da quel momento lasciai perdere editori e presunti tali. I miei modestissimi inutili libricini, li stampo in tipografia e li distribuisco a qualche libreria, quei quattro soldi che rimedio li uso per ristampare vecchia roba oppure qualche altro nuovo assembramento di parole che corrono in mezzo ad un drappello di sogni un po’ sgangherati e inseguiti da qualche idea che in dette parole non trova dimora….

(L’aspettavo, era l’unico che attendevo da anni. Ma forse non amava andare in giro per la cecità che lo affliggeva. E infine approdò nella mia casa, e sembrava sfuggente come un’ombra. Inafferrabile come le anime che passavano accanto ad Ulisse nell’Ade, come il mistero della sua vita e della sua opera. Alla fine era lì davanti a me: disse che tutto era cominciato con un tradimento d’amore. La nostra cultura, la nostra tradizione letteraria si enucleava da quel tradimento: la bellissima Elena moglie di Menelao, sedotta da Paride e condotta nella città di Troia. I greci armarono una formidabile flotta che attraversò il mare per riportare indietro l’infedele fascinosissima moglie. Nell’occidente gran parte di quello che saremmo stati nasceva da lì. Ma il gran vate, il poeta per eccellenza, il gran burattinaio di affabulazione e canto mi spiegò che sì, era tradimento ma tradimento per amore. Ed è l’amore a muovere il mondo. L’amore che pur di essere sfida guerre, assedi, carestie e perfino gli dei. E mentre la fiamma del sentimento si alza nella passione e nelle bellezze dell’arte, anzi proprio fino a quando persiste questa condizione dell’amore, la vita può svolgersi con battaglie, alleanze, nobili sentimenti, sotterfugi, tradimenti, amicizia. Tutta la potente e variegata girandola dell’esistenza ha ragione di vorticare nell’universo, alimentata dall’amore. Ecco da dove nasceva la nostra cultura. Ecco dove ricercare l’origine delle nostre debolezze e delle nostre virtù. Ma non in senso generalizzato. Nella sua opera Omero aveva narrato la vita di noi nella diversità dei singoli individui. Vale a dire, tutto quello che c’è di buono o di cattivo in ognuno di noi nella sua singolarità e dopo anche nella relazione del singolo con una moltitudine e poi ancora dell’individuo nei confronti di un altro individuo e via dicendo per ogni interazione che intercorre nel cosmo. Tutto aveva saputo trasmetterci spiegandolo parola per parola affinchè fosse chiaro ad ognuno il proprio cammino così terribile e fascinoso.

All’improvviso il grande vecchio sparì ma da quel momento ho imparato a riconoscerlo ovunque. In me e negli altri, da qualunque direzione: quello che vedo, che sento, che provo, sempre si rifà a quell’humus di umanità nel quale il grande cantore, ignaro come lo sono le cose autentiche, piantò il nostro futuro).

 

FATALITA’

Nella notte

tra la solitudine del mistero

in fondo all’anima incontrai per caso

parole che ballavano

era la scrittura che mi attendeva

non feci domande né a lei né al mondo

non chiesi nulla nemmeno a me stesso

semplicemente mi tuffai e fui

suo per sempre

 

Nunzio Dell’Annunziata