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Perché con “Civici per l’Umbria”

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“Civici per l’Umbria”. Questo soggetto politico che è stato presentato lo scorso venerdì 30 maggio, con il suo manifesto e le prime 12 proposte, 12 azioni per i prossimi 100 giorni, nasce da un percorso avviato, ad inizio febbraio, dal Patto Civico per L’Umbria, guidata dal consigliere regionale Andrea Fora ed una parte delle liste civiche, delle associazioni e delle personalità che hanno fatto riferimento ad Umbria dei Territori.
Andrea Fora è stato per qualche settimana il candidato presidente del Pd nelle ultime elezioni regionali. Come Umbria dei Territori, al di là della valutazione sulla persona, la sua candidatura non fu condivisa per il modo del tutto unilaterale e sprezzante per le realtà civiche esistenti, che quel partito scelse per la individuazione. Stessa cosa, avvenne quando fu presentata la seconda proposta, quella di Bianconi, che fu scelta solo allargando la platea dei decisori al M5stelle, nazionale, più che umbro. Umbria dei Territori, ritenne poi che non ci fossero le condizioni per partecipare in modo innovativo e significativo alle elezioni. Poi le elezioni sono andate come tutti sappiamo. Pochi giorni prima dello svilupparsi del virus, una delegazione di liste, associazioni e personalità riconducibili a Umbria dei Territori, avviarono un confronto con Fora e la sua lista, che nel frattempo aveva preso le distanze dal Pd e si era costituita in gruppo autonomo, all’interno della nuova minoranza. Ed aveva avviato un modo di lavorare teso ad incidere il più possibile nel governo regionale, al di là delle collocazioni.
La quarantena ha colpito in pieno questo percorso, ma grazie soprattutto al lavoro della segreteria del Gruppo Patto Civico per l’Umbria, a Marco Regni, allo stesso Andrea Fora, ed al lavoro di tanti altri, di Franco Barbabella e Leandro Pacelli per l’altra componente, non sono stati giorni persi, anzi hanno consentito di presentare questa nuova formazione politica regionale, con una sua manifestazione di intenti ampia e una sua identità già sufficientemente delineata.
Io non ho partecipato attivamente, ma seguito, tramite la chat dedicata, tutto il percorso. Non ho partecipato perché impegnato in un progetto imprenditoriale nel settore della ricettività, insieme a mio figlio, prima in Umbria e poi nella Toscana confinante. Ho partecipato, a differenza del mio carattere, più da osservatore che da protagonista. Anche perché riconosco che la “mia scelta civica”, ha delle caratteristiche abbastanza particolari, che inizialmente soprattutto, non credo possano essere fatte proprie da molti altri.
Si tratta, per quanto mi riguarda,  di una posizione radicale, autonoma dalle attuali destre e sinistre politiche, propedeutica ad una riclassificazione di queste aree storiche in un contesto completamente diverso da quello otto-novecentesco, in cui sono nate. Dove sono nati quei valori del liberalsocialismo, del cattolicesimo democratico, del cooperativismo, insiti nella nostra costituzione, cui si fa giustamente riferimento, ma che restano parole vuote , come è accaduto spesso anche nel recente passato, se non diventano comportamento quotidiano del governare e dell’amministrare, fino al comportamento quotidiano del vivere di ciascuno voglia rappresentarli.
La spinta decisiva all’adesione è venuta quando nel Manifesto, sono comparse tre opzioni progettuali a me particolarmente care. La prima quando pur assumendo la “globalizzazione” senza aggettivi, come valore di riferimento, si delinea un contesto dove inserirla, che è l’esatto contrario di come la globalizzazione si è storicamente affermata, in questi ultimi decenni. La seconda “il rovesciamento della piramide” concetto di “scuola Barbabelliana” che significa realizzare una rivoluzione copernicana nella prassi della politica sia a livello di analisi che di proposta. Facendo del territorio il primo livello di origine dell’azione politica. Il terzo momento è stato il riferimento ad una regione, ad una Umbria che si fanno promotrici di nuove aggregazioni territoriali e livelli istituzionali, al di là degli attuali angusti confini, per ricercare quelle dimensioni progettuali in grado di competere con l’evoluzione dei processi economici, politici ed istituzionali, propri di questo primo quarto di secolo che stiamo vivendo, facendo un preciso riferimento all’”Italia di Mezzo”, che tanto ci sta a cuore.
Confesso che c’è stato un momento anche di esitazione. E’ stato quando mi sono chiesto se valeva ancora la pena, dopo avere cominciato ad interessarsi di politica fin da tredici anni, con il feroce e spettacolare assassinio di Kennedy a Dallas. Mi sono chiesto se non era il caso di mettersi da una parte. Gente che spinge per farsi largo, in politica, c’è sempre stata e non si può dire che anche oggi non ci sia. Ma di che gente stiamo parlando? Lo vediamo purtroppo, da tempo e tutti i giorni. Questo anche perché le nuove generazioni, che si sono affacciate alla politica, non si può dire che abbiano avuto grandi maestri. Anzi. Ed allora, in una situazione dove la capacità principale di fare politica e di dirigerla sta nell’unire e nel valorizzare tutte le risorse, in una posizione defilata, forse, tentare un modesto contributo, da “vecchio insegnante” di buona politica, nella mia area di confine, in tutti i sensi, me lo posso ancora ritagliare.

Gianni Fanfano