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M5S umbro: sulla crisi delle banche e contro la fusione fra BCC

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Sul tema della crisi di alcune banche riportiamo una nota del portavoce del M5S umbro che contiene anche una presa di posizione preoccupata e contraria alle ipotesi di fusione fra Banche di Credito Cooperativo umbre di cui si parla e di cui sono state avviate le procedure.

“In questi giorni il tema degli scandali finanziari è tornato di triste attualità. A casi recenti tristemente famosi, come Argentina, Parmalat, Giacomelli Sport, Pollo Arena, si è aggiunto il discutibile decreto legge del Governo Renzi, il piano per il (cosiddetto) salvataggio di Banca Etruria, Banca delle Marche, CariFerrara e CariChieti che si è trasformato in un bagno di sangue per migliaia di piccoli risparmiatori, anche umbri, i quali hanno perso tutti i propri risparmi di una vita dalla sera alla mattina.

Si tratta per la maggior parte di piccoli risparmiatori a cui impiegati delle banche in questione facevano sottoscrivere (su ordine dei vertici) queste obbligazioni, non di avidi speculatori e investitori istituzionali, come molti vorrebbero far credere.

Questo disastro finanziario, che il governo sta cercando da giorni di minimizzare senza successo, non è un “cataclisma naturale”, ma la conseguenza prevedibile di anni di malagestione e mancati controlli (costati ai vertici della Banca Etruria, tra cui il padre della ministra Boschi, anche sanzioni da parte della Banca d’Italia).

In questi giorni stanno emergendo numerosi dettagli sulla gestione delle banche coinvolte nello scandalo: “spese pazze” e prestiti fatti ad “amici” da parte dei vertici della banca, che hanno peggiorato negli ultimi anni il già allarmante aumento dei “crediti deteriorati” (prestiti concessi dalle banche e non restituiti dai debitori), un fenomeno che sta mettendo in fortissima difficoltà tutto il mercato creditizio.

Oggi in Consiglio regionale sul tema del c.d. “decreto salva banche” e dei suoi effetti in Umbria si terrà una audizione con Marco Ambrogi,  Direttore della Filiale di Perugia della Banca d’Italia, e con Pietro Buzzi, Presidente della Commissione regionale ABI Umbria. Ma una indagine seria sulle responsabilità di questo scandalo, seguita da sanzioni serie per i responsabili, deve anche affiancarsi a misure atte ad impedire che un disastro così possa ripetersi a breve.

Un quadro trasparente della drammaticità della situazione del credito in Italia ci è fornita dalla stessa Banca d’Italia, il cui Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria, Carmelo Barbagallo, in occasione di una audizione del 9 di dicembre dinanzi alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati affermava che: “La eccezionale gravità della recessione ha inciso significativamente sulla qualità degli attivi delle banche italiane, divenuta il principale fattore di vulnerabilità del sistema. A fine giugno i prestiti deteriorati ammontavano a 360 miliardi di euro, pari al 18 per cento del totale; all’interno di questo aggregato, le “sofferenze” ammontavano a 210 miliardi (10,3 per cento degli impieghi). Nel 2008, prima della doppia recessione, l’incidenza dei crediti deteriorati era del 6 per cento, quella delle sofferenze del 3,8”.

La soluzione non può certo essere quella di far pagare queste più o meno colpevoli “inefficienze nei processi di allocazione del credito e le prassi distorsive nel governo dei rischi” ai depositanti ed ai risparmiatori, prima di tutto per una questione di giustizia (ribadita dalla Costituzione all’articolo 47 che impone allo Stato di tutelare il risparmio), e poi perché non sarebbe comunque possibile azzerare il rischio, come ricorda infatti lo stesso Barbagallo nell’audizione: “è bene tuttavia fugare ogni illusione riguardo alla possibilità di evitare del tutto crisi di banche, specie in contesti di eccezionali difficoltà economico-finanziarie. L’esperienza di tutti i paesi mostra che le norme, i controlli di vigilanza, i meccanismi di intervento e i poteri sanzionatori possono ridurre – ma non azzerare – la probabilità delle crisi e il loro impatto sulle funzioni critiche svolte dagli intermediari, sulla stabilità complessiva, sull’economia reale”.

Questa consapevolezza non deve generare allarmismi, ma certamente deve imporre a tutti gli attori politici di impegnarsi per poter impedire quelle dinamiche che hanno portato all’attuale disastro delle 4 banche “salvate” a spese dei piccoli risparmiatori. Del resto, per avere conferma che i grandi investitori già sono ben coscienti di questa situazione basta guardare i prezzi di Borsa di banche come Monte dei Paschi e Banco Popolare che hanno quasi azzerato il loro valore. Tutto ha delle conseguenze e le perdite di denaro vanno a braccetto con scandali e malagestione.

In quest’ottica, siamo fortemente contrari alla volontà, pubblicizzata anche in sede nazionale, di agevolare le fusioni tra banche di credito cooperativo umbre, oggetto della mozione presentata in Consiglio regionale da alcuni membri della maggioranza.

E’ certa l’importanza del credito cooperativo nella realtà umbra come lo stesso Rapporto Euricse sull’Economia Cooperativa sembra confermare. Infatti il “localismo virtuoso” creato dalle piccole banche di credito cooperativo, le quali “al contrario delle banche di grandi dimensioni (in primis i gruppi bancari che hanno razionato il credito) si sono mosse in controtendenza, subendo tuttavia un peggioramento più marcato della qualità dei crediti a cui hanno risposto continuando a sostenere le imprese a date, anche rivedendo le condizioni pattuite e/o allungando i tempi di pagamento”.

L’evidenza ha dimostrato i danni causati dalla concentrazione bancaria, con grandi gruppi di “banche universali” che raccolgono risparmi, li investono nei mercati finanziari, prestano questi soldi alle imprese ricevendo informazioni riservate e sfruttano questo vantaggio informativo per investire e speculare nei mercati finanziari.

Questi fenomeni di “confitto di interesse” e di “azzardo morale” dopo il crollo finanziario del 1929 ispirarono in tutto il mondo leggi (in Italia fu la legge bancaria del 1936) per evitare che le banche divenissero troppo grandi e che una banca fosse al contempo “commerciale” e “di investimento”. Dagli anni ’90 del secolo scorso, le de-regolamentazioni hanno eliminato qualunque vincolo, portando alle recenti crisi, mai risolte.

A differenza delle grandi banche che utilizzano i soldi dei depositanti per fare speculazioni finanziarie, la piccola dimensione delle banche di credito cooperativo le obbliga a fare veramente ciò che un istituto di credito commerciale dovrebbe fare: utilizzare cioè i soldi dei depositanti per prestiti a privati e imprese nel territorio, non avendo i mezzi e la struttura di Risk Management per speculare nei mercati.

L’esperienza di questi giorni, con la Banca delle Marche (con oltre 300 filiali) e Banca dell’Etruria e del Lazio (con 183 filiali), purtroppo, dimostra che “più grande non significa più solido”, semmai il contrario. Quando la banca è più grande è più difficile gestire il rischio, mentre è più facile incorrere in mala gestio, magari con laute sponsorizzazioni, altissimi stipendi ai dirigenti oppure con prestiti ad “amici” e “amici dei politici”.

E’ la stessa Banca d’Italia nella Relazione annuale sul 2014 ad affermare che “l’andamento negativo [dei prestiti erogati]… è stato più ampio per i cinque gruppi maggiori (-5,6%), mentre i prestiti delle altre grandi banche sono diminuiti del 2,5… Emerge tuttavia come le banche di minori dimensioni siano riuscite a contenere questo andamento negativo, registrando un valore di -0,7% nel 2013”.

Ecco perché riteniamo che future fusioni tra banche di credito cooperativo rischierebbero di far venire meno proprio quelle caratteristiche che rendono queste banche un vero supporto all’economia locale fatta di piccolissime, piccole e medie imprese.

Struttura organizzativa e attivo di bilancio più ridotti possono sembrare un punto di debolezza, ma in realtà sono punti di forza, almeno in termini di esternalità positive che le banche creano nell’economia e nel territorio. I benefici, infatti, anche se non quantificabili in termini di “utile di esercizio”, si concretizzano in un supporto alle imprese umbre.

Una minore disponibilità di liquidità costringe poi la dirigenza ad una gestione più efficiente ed oculata, a ricorrere una struttura organizzativa più snella e ad una migliore selezione della qualità dei debitori, tornando finalmente a finanziare le idee imprenditoriali e le imprese. Le grandi banche invece sono più facilmente in grado di investire nei mercati finanziari internazionali o riescono più facilmente a finanziare operazioni anti-economiche (magari per fare favori a singole persone, danneggiando la banca stessa).

Alla ricorrente obiezione che una fusione può creare “sinergie”, “economie di scala” ed “economie di scopo”, rispondiamo facendo notare che le BCC possono comunque organizzare strumenti di condivisione di alcune strutture (ad esempio, il Credit Scoring), senza bisogno di fondersi.

Senza voler fare slogan vuoti, oggi serve veramente più credito e meno finanza e le banche devono tornare a fare le banche, non gli speculatori, soprattutto in Umbria.”

Maria Grazia Carbonari,

Portavoce M5S

Consiglio regionale Umbria