Home Rubriche Latenti e malinconici. Gli italiani quest’anno secondo il Censis.

Latenti e malinconici. Gli italiani quest’anno secondo il Censis.

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Uso come titolo di questo articolo che riporta alcuni dei contenuti del Rapporto del Censis del 2022 sulla situazione dell’Italia, la sintesi che ne ha fatto in una sua rubrica Stefano Rolando, un ricercatore che ho conosciuto nel mondo civico del nord.

Di Rolando pubblicheremo anche l’intera riflessione che dedica al rapporto presentato il 4 dicembre a Roma.

Facciamo uno strappo alla regola che ci siamo dati di trattare solo temi locali del nostro territorio.

Questa regola sarà ancora l’asse portante, ma con sempre più frequenti incursioni su temi e problemi generali. Per evitare rischi di un localismo sterile. Ovviamente usando un filtro, quello della indipendenza intellettuale e critica. A seguire il capitolo delle considerazioni generali. (g.f)

Considerazioni generali

1.Dove siamo? Affrontare di nuovo la domanda con la quale la nostra cultura occidentale ci interpella fin dalle origini sembra essere un bisogno profondo della società italiana. Tre anni, quattro crisi profonde e diversi improvvisi cambi di direzione giustificano la necessità di ritrovarsi, di ridisegnare vie confluenti di risalita dei consumi e del benessere, di riempire i vuoti lasciati dal mancato sviluppo. Il mondo è diverso, l’embrione di una fase nuova non ancora si è messo in moto. Da qui un interrogativo che esprime la consapevolezza che tutto è cambiato e la coscienza che, se la classe dirigente non sa affrontare il “dove siamo”, non potrà avere cura delle nostre cose e del Paese.

2. Tante rincorse, una rincorsa. Si può dire, con buona ragione, che siamo di fronte a sconvolgimenti veloci, inaspettati, difficili da metabolizzare; a un rimescolamento delle carte e a un ridisegno delle planimetrie sociali. In questi anni abbiamo visto il moltiplicarsi di rassicurazioni: da “andrà tutto bene” al “faremo tutti un passo avanti”, fino al più attuale “daremo risposte immediate ed efficaci ai problemi del Paese”. Le crisi veloci impongono reazioni veloci. Anche al costo di perdere di vista la capacità di responsabilità collettiva; tutto serve se rassicura: moltiplicare i decreti per necessità e urgenza, estrarre dai cassetti progetti di lunga data, favorire le dinamiche economiche sommerse, delineare programmi di ricostruzione o di sviluppo in ogni ambito possibile. Funziona, nell’emergenza; ma che cosa riunirà tutte le rincorse una volta compreso che le crisi non lasciano tempo alla risalita a passo svelto nel sentiero dello sviluppo?

3. La società non regredisce e non matura. Il nostro Paese vive in una sorta di latenza di risposta, in attesa che i segnali dei suoi sensori economici e sociali siano tradotti in uno schema di adattamento, funzionamento, mappatura della realtà e dei bisogni. Le riforme e il riposizionamento dei sistemi istituzionali, il rinforzo degli apparati pubblici e delle regole per il loro funzionamento, la riduzione delle iniquità territoriali e sociali faticano a declinare effetti concreti. Il nostro Paese, nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà, non regredisce grazie allo sforzo e al rischio individuale, ma non matura. Riceve e produce stimoli a mettersi sotto sforzo, a confrontarsi con le ferite della storia, ma non manifesta una sostanziale reazione, vive in una sorta di latenza di risposta.

4. Il futuro nascosto nel presente. Gli angoli ciechi delle incertezze future si moltiplicano e crescono senza sosta. Nell’urgenza di dare risposte, tutto si giustifica e in qualche modo tutto si tiene: ogni bonus, sussidio, promessa, intervento ha avuto le sue ragioni. Resta la realtà che l’Italia non cresce 56° Rapporto Censis 4 abbastanza o non cresce affatto. Non si va però concretamente avanti se non si esce dalla povertà dell’attuale dialettica sociale.

5. Non funziona più il solo far da sé. Nel codice genetico del Censis, e di questo Rapporto, vive la convinzione che la società cresce, si adatta, si trasforma continuamente, come l’argine ridisegnato dalla realtà del fiume che scorre. Grazie a una capacità, essenziale allo sviluppo, di combinare insieme soluzioni efficaci, anche se poco efficienti: un po’ di sommerso e un po’ di evidente, un po’ di sociale e un po’ di politico, una dose di furbizia con una di cinismo, una di fantasia per arrangiarsi e una di innovazione tecnologica e organizzativa per uscire dalla crisi, un po’ d’istinto e un po’ di competenza. Un far da sé per andare oltre se stessi che oggi, da solo, non funziona più, non ha più sufficiente spinta a generare il nuovo.

6. Risalire dalle foci alle sorgenti. L’attenzione alla qualità delle cose che abbiamo intorno, concreta base delle co-responsabilità del nostro futuro, richiede di rinegoziare il nostro modello di sviluppo, interrompere l’inerzia delle reti di rappresentanza e di appartenenza, spiazzare l’atteggiamento corrente della nostra cultura sociale e politica. La perdita di consapevole bisogno di orientamento collettivo e la rinuncia individuale al consolidarsi degli schemi proiettivi di media e lunga durata, che così significativamente ha caratterizzato gli ultimi anni, ripropone l’esigenza, fin qui sopita, di ritornare a sperimentare innovazione istituzionale, di ritrovare il gusto e il coraggio dell’inquietudine, di rilanciare una nuova fase dei meccanismi decisionali. Poco o nulla di tutto questo possiamo registrare nella cronaca e nella programmazione di questi tre anni di crisi.

7. La perseveranza come mezzo e come fine. Il tempo di uscita dalla pandemia, dalla guerra, dalla crisi energetica sembrava poter essere breve; la realtà ci ha dimostrato che dobbiamo allenare l’arte della pazienza, della ricerca di un inatteso fecondo che trattiene la vita nella vita, che non la lascia scivolare all’indietro. Che possiamo e dobbiamo esercitare la perseveranza, come mezzo e come fine, in una lotta lunga di uscita dalla latenza di risposta del sistema sociale, poiché è feconda nel suo operare ma pericolosa nel suo prolungarsi.

8. Non solo rassicurazione è la politica. Tra le affermazioni pubbliche degli ultimi mesi, dentro e fuori la vita politica, ricorre la convinzione che spetta alla politica e agli ordinari processi democratici il compito di regolamentare, promuovere, tutelare i diritti e i processi di sviluppo. Lo slogan dell’“uno vale uno” ha lasciato il posto alla competenza degli scienziati, degli strateghi militari, degli economisti dell’energia che, a loro volta, sembrano 56° Rapporto Censis 5 richiesti di cedere il passo, di nuovo, alla politica. Non per ridare vigore al processo di sviluppo o vie d’uscita dalla spirale del declino dell’economia e della struttura sociale, piuttosto per offrire la sicurezza che, grazie alla politica, i problemi sul tappeto di ciascuno saranno presto rimossi. L’anno che si va chiudendo porta la testimonianza di un intenso e fertile lavoro di ricucitura interna e di recupero di credibilità della politica italiana sia nello scenario nazionale, sia sul piano internazionale. La guerra, la crisi energetica, la carenza di materie prime e di componenti, il contrasto al degrado ambientale e al riscaldamento globale, sono esempi di un ritrovato campo d’impegno delle decisioni politiche e delle loro concrete attuazioni. Un tentativo di ritorno che corrisponde a un’ansia diffusa di ripartenza dello sviluppo sociale, ma che, nella prospettiva di rassicurazione a breve, perde di vista il medio e lungo periodo. Con una sovrapposizione a pendolo delle idee e dei programmi, la scelta politica si risolve in dibattiti di corto respiro e in un lavorio programmatico dibattuto in sedi ristrette, spesso ignaro della tradizionale costellazione di soggetti e culture di sintesi socio-politica della nostra storia. Solo che oggi la politica non ha un suo stile e li usa tutti; vede prospettive oscillare, tessuti lacerarsi, aspettative disattese e preoccupazioni crescenti, e ancora non affronta se e come diventare una sede proponente di sintesi e di convergenza sociale. La classe dirigente è chiamata a permettere alla società l’esercizio della pazienza, perché si sappia affrontare la domanda “dove siamo, tutti insieme, nel nostro tempo?”.