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La “stretta via” del Pd di Batino, di Chiodini e degli altri sindaci

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Circa una settimana fa Sergio Batino è stato eletto segretario del PD del Trasimeno. In molti hanno parlato di un segnale mandato a Perugia dal Pd del lago, il partito politico erede, dopo alcuni passaggi, della storia del PCI. Il partito ancora maggioritario nella zona, una zona dove amministra, come parte politica, i centri maggiori dal dopoguerra fino ad oggi.

Un segnale, si dice, non dl tutto gradito a Perugia, dove forse si sarebbe preferita una giovane leva dalla fede e dall’agire più dichiaratamente “renziano.”

Qualcuno dice che queste della zona del lago saranno gli ultimi fortini a cadere di fronte al vento del cambiamento. Per diversi motivi. Il Pd e i partiti antenati hanno perso, in questi anni in roccaforti  storiche come Bologna e Torino. Come Genova e Livorno. In Umbria hanno perso a Perugia e a Terni, ad Orvieto e a Bastia. Hanno perso spesso a Todi, culla della presidente Marini. Ma nel Trasimeno mai nessun centro è stato amministrato da partiti che non fossero il PCI o qualcuno del suo asse ereditario. Fa eccezione Passignano che però è sempre stato,  anche nei periodi di maggiore forza del partito di Togliatti e Berlinguer,  una eccezione.

Il segnale che il Pd ha mandato a Perugia è abbastanza chiaro. Il Pd nel Trasimeno sa che nei prossimi mesi si giocane partite decisive. Le elezioni. Gli atti concreti del tanto,  tanto,  atteso progetto ITI, l’operatività dell’Unione dei Comuni, le scelte fondamentali in tema di trasporti ed infrastrutture tecnologiche. Nei prossimi mesi, non nei prossimi anni.

Il Pd del Trasimeno sa che nei prossimi appuntamenti elettorali può essere battibile e non può più vivere di rendita . E allora risponde mettendo in campo i pezzi dell’artiglieria pesante. Mette in campo i sindaci. Cioè ciò che di meglio oggi riesce ad esprimere come gruppo dirigente. Perché una nuova classe dirigente in questi anni nessuno ha voluto o potuto costruirla. Resta in piedi un minimo di organizzazione e di capacità di iniziativa. E basta. Come si è visto anche nelle recenti primarie.

Resta una sola scialuppa ed è l’Unione dei Comuni del Trasimeno. Ma è ancora un progetto più che una realtà. Un progetto che se non si rafforza in fretta e in fretta dà qualche frutto, rischia di portare a picco tutti gli occupanti. Ed è da questa scialuppa, pur con qualche ritrosia,  che si prova a dare l’assalto a qualche risultato significativo.  La sola strada per reggere ancora, da queste parti, all’ondata del cambiamento, della rabbia, del rancore e della sfiducia, che prende le direzioni più diverse, anche discutibili, ma che fa fatica a prendere la strada  del Pd.

Batino non è stato votato da quasi la metà dei votanti, a cominciare  da chi voleva tenere separate le responsabilià di partito dall’amministrazione. Ma anche per i continui rigurgiti della divisone, vera specialità della zona, quanto l’anguilla al tegamaccio. Autonomia del aprtito dalle amminisrazioni, argomento giusto in una situazione perfetta o perlomeno ordinaria. Cioè non oggi. Argomento che in un’altra fase è da condividere, ma che oggi se non è strumentale  appare ingenuo. Il Pd ha scadenze ravvicinate cui dare risposta. Da chi sarà rappresentata questa zona alle prossime elezioni politiche? Come sarà recuperata la marginalità di questa zona nelle politiche regionali? “Chi chiede i soldi per la manutenzione del Lago e se non ci sono esce?” ha detto con forza Chiodini nel suo intervento a Passignano, rendendo bene l’urgenza e la concretezza del momento.

Per gli osservatori polituci il futuro di questa segreteria sembra una via molto stretta e con un risultato che non è affatto scontato. Ma è anche vero che agli osservatori non si offrono in giro altri percorsi seri e credibili , oltre che  subito praticabili.
C’ è verso il Pd, un calo di consensi, in parte determinata dalle scissioni ma non solo. C’è la crisi dell’immagine di Renzi. C’ il logorio del potere, ma non solo. C’è il senso di non essere considerati che spinge addirittura a pensare di passare alla Toscana. C’è ed è il problema principale una economia ed una imprenditoria deboli. Di conseguenza c’è lavoro scarso e spesso non regolato. C’è una fuga di giovani, c’è una fuga di cervelli e di professionalità. C’è una società civile attiva che spesso surroga la politica ma non ha risorse ed interlocutori per diventare anche ricchezza e pratica economica.

C’è una riduzione dello stato sociale che viene avvertita drammaticamente ed anche più che altrove perché questa zona negli anni settanta quando i servizi furono creati era all’avanguardia in Umbria e non solo.

Quale “stretta via” resta? E’ una via che non può essere più quella delle rivendicazioni o peggio ancora delle lamentele. E’ la via del confronto competitivo sui progetti e sui programmi. Ma non per il Trasimeno, o meglio non solo nell’interesse del  Trasimeno. Progetti e programmi per far reggere ancora un po’ l’Umbria. Per farla essere ancora per un po’ Regione. Via stretta, perché questa consapevolezza in Via Vannucci non fa nemmeno capolino. Ma l’ordinaria amministrazione, la pura continuità non serve più a nessuno e non porta da nessuna parte. E’ una via stretta per tutti. Per il Pd e per tutte le altre forze politiche. Guardate in altra parte del giornale il dibattito in consiglio regionale sull’alta velocità e sui trasporti. . Si può piangere o ridere a scelta. Certo non si può stare tranquilli. Le parole più sensate vengono dall’assessore, che fino a prova contraria dovrebbe considerarsi il primo responsabile dell’attuale deficitaria situazione.

Perché nell’anno di grazia 2018, in queste latitudini, se si può giocare qualche carta nell’incerto futuro e vincere qualche sfida , lo si può fare solo se l’ Umbria comincia a pensare e a lavorare per il dopo Umbria. Per quando lo Stato tornerà, o diventerà per la prima volta il gestore di servizi efficienti per il cittadino, il garante di una democrazia efficace, di sicurezza e di lavoro.  Solo se l’Umbria guarderà e sposterà il suo timone la sua attenzione  verso ovest. E costruirà insieme ad altri la regione europea del Centro Italia. Una grande regione europea dove la nostra civiltà si divertì a scegliere personaggi  e luoghi dove nascere. Solo se farà un vero piano delle infrastrutture che guarda all’Europa e non, con tutto il rispetto a Colfiorito. Che guarda alle aree metropolitane di Roma e Firenze e non all’aeroporto di Sant’Egidio.   Solo se in Umbria  peseranno meno il cemento, la cultura e la pratica dell’emergenza e del terremoto, le gestione dei rifiuti basata sulle discariche, il tutto coniugato con una storica dimestichezza con le logiche massoniche, che per decenni è stato il vero asse trasversale di governo. Solo se diventano pratiche  di moda, l’ambiente, in tutte le sue declinazioni,  la storia, la cultura, l’arte, in chiave di impresa, condite con la trasparenza e la faticosa democrazia partecipata può avere un futuro la politica.  Qualunque politica. Di sinistra, di destra o di centro. O più semplicemente può avere un futuro la “cosa pubblica”.

Gianni Fanfano