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Una luce in fondo al tunnel

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Una voce critica come quella della Agenzia Americana Moody’s, ha riconosciuto nei giorni scorsi che segnali di ripresa iniziano a vedersi anche in Italia affermando che nel 2014 ci sarà una crescita positiva compresa tra lo 0 e l’1%.
L’OCSE ha rivisto al rialzo il suo super indicatore, che anticipa di qualche giorno le stime ufficiali, ed ha affermato che la ripresa dell’Italia, continua a guadagnare slancio.
La stessa BANKIT nel suo settimo rapporto sulla “stabilità finanziaria” ha parlato di “segnali qualitativi di miglioramento del quadro macroeconomico”. Un modo per dire che qualcosa comincia a muoversi.
Sono bastati questi tre piccoli, micro, indizi, perché molti in Italia cominciassero ad affermare, ed a volte anche a gridare, che la crisi sia finita, che siamo in ripresa e che stiamo lasciando alle spalle il periodo più nero dal dopoguerra in avanti.
Finalmente una luce in fondo al tunnel!
E’ veramente cosi? Non voglio fare la cassandra di turno o il pessimista a tutti i costi, però non riesco a nascondere le mie profonde perplessità su tali “letture” entusiastiche.
Non vorrei presto scoprire che la”luce in fondo al tunnel” altro non è che quella di un treno che sta arrivando in senso contrario.

Nel corso degli ultimi 5 anni l’Italia ha perso oltre dieci punti di Pil, pertanto, anche ammesso che ricominceremo a crescere con tassi dello 0,5-0,7% all’anno serviranno almeno 15-20 anni per tornare ai livelli del 2008, che certo erano migliori di quelli di oggi, ma certamente non ci facevano dire che le cose andassero benissimo.
Tutti i dati economici continuano a certificare la disoccupazione oltre il 12%, quella giovanile oltre il 40%, la povertà  in costante aumento ha ormai aggredito anche fasce di popolazione che fino a poco tempo fa erano considerate classi medie.
La povertà è divenuta, a causa della disoccupazione strutturale, una malattia endemica. Rischia di trasformarsi in marginalità che è ancora peggio della povertà. La marginalità implica infatti un’esclusione sociale che può diventare definitiva distruggendo le persone e con esse la stessa organizzazione sociale, la stessa convivenza civile.
E’ necessario quindi non abbassare la guardia e continuare (in molti casi iniziare) a fare ciò che la contingenza richiede, in Europa ed in Italia acquisendo un dato di fondo: le politiche di rigore impostate in Europa dai mercati finanziari, che hanno trovato nella Cancelliera Tedesca la più audace interprete, hanno fallito!
E’ necessario che il governo italiano si faccia promotore di una forte azione diplomatica, unitamente, in primis, a Francia e Spagna per imporre all’Europa una politica di sviluppo cambiando una serie di regole che ci stanno affossando.
Mantenere il deficit Pil al 3% in una fase di recessione significa strangolare ulteriormente una economia già in sofferenza. Superare il patto di stabilità almeno per quanto attiene gli investimenti è un provvedimento ormai non più rinviabile
Programmare, con i necessari stanziamenti, interventi sulle grandi infrastrutture Europee. Insomma, un pacchetto di misure che favoriscano la crescita e non la recessione come sta avvenendo da 5 anni a questa parte.
Creare una diplomazia trasversale franco-spagnola-italiana per rinegoziare le regole europee è l’unica strada da percorrere se vogliamo, come dovremmo, difendere l’idea dell’Europa Unita, altrimenti sarà un gioco da ragazzi, per le varie forze nazionaliste, ad iniziare da quelle della signora Le Pen in Francia, gettare alle ortiche 60 anni di lavoro per la costruzione dell’Europa Unita.
Contemporaneamente va avviata una forte azione in Italia che si muova in alcune direzioni.

La prima nel continuare a tagliare le spese correnti eccessive, con molta più coerenza di quanto non è stato fatto negli ultimi due anni e con maggiore equità.
Avviare un programma straordinario di investimenti pubblici ad iniziare da quelli di piccola-media entità, penso innanzitutto a migliaia di interventi nei confronti degli edifici scolastici e nelle strade, favorendo il lavoro delle piccole imprese del settore edile che in questo momento più di altre stanno pagando la crisi.
Contemporaneamente procedere ad una radicale riforma della pubblica amministrazione non procedendo con ristrutturazioni e semplificazioni, che altro non hanno prodotto che ulteriori appesantimenti burocratici, bensì con abrogazioni di norme che prevedono autorizzazioni, pareri, licenze, e di enti ed organismi che in questo momento esercitano tali funzioni. Penso a tutte le procedure relative al settore urbanistica-lavori pubblici, mettendole esclusivamente in capo ai comuni, escludendo le Soprintendenze da ogni fase del procedimento.
Procedere ad una radicale riforma della giustizia civile ed andare al superamento di quella amministrativa, abolendo Tar e Consiglio di Stato.
Rendere operativo il principio secondo il quale è “tutto consentito tranne ciò che non sia espressamente vietato”, che pur è stato inserito in uno dei tanti provvedimenti approntati dal Governo Monti, ma che ad oggi non ha sortito effetti.
Il Paese ha bisogno di una terapia dirompente e non delle “camomille tiepide”, solo così, forse, potremmo continuare a sperare che la luce in fondo al tunnel diventi quella di un raggio di sole.

 

Palmiro Giovagnola