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Sulla crisi del Festival Orizzonti il direttore artistico Cigni “Io direttore artistico, non contabile”

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Continuiamo a interessarci ed occuparci della crisi che sta attraversando il Festival Orizzonti di Chiusi, non solo perché rientra nell’area di cui il nostro giornale si occupa, ma anche perché sono state diverse le persone che in questi ultimi anni, hanno guardato a Chiusi, nel settore culturale, come ad un comune che stesse sperimentando iniziative di rilievo e quasi pilota rispetto alle altre realtà territoriali. Una riflessione ed una valutazione sulle cause di questa crisi, che si evidenzia soprattutto di carattere economico, non può che essere interessante per tutti.

Dopo avere sentito e riportato il punto di vista di Possiamo Sinistra per Chiusi, dell’ex consigliere di opposizione Rita Fiorini e del responsabile di Chiusilog Paolo Scattoni, ora pubblichiamo il punto di vista di un protagonista importante della vicenda. Si tratta del direttore artistico Andrea Cigni, che per quattro anni ha diretto il Festival. Lo facciamo riportando integralmente l’intervista comparsa sulla rivista PAC a cura di Matteo Brighenti. (N.d.R)

Rassegna Stampa. Da PAC (Magazine di arte e culture) di Matteo Brighenti

“Non mi va di alimentare le polemiche, mi sento su un altro piano, quello del rispetto: mi dispiace per gli artisti, i tecnici, le persone che venivano a Chiusi e vivevano Orizzonti Festival come un’opportunità”.

Andrea Cigni risponde in esclusiva a PAC dal suo studio al Conservatorio di Musica di Cremona ‘Claudio Monteverdi’, che dirige dall’ottobre 2015. Il solito tono di voce squillante e deciso è venato di tristezza e malinconia: il Festival chiude a due mesi dall’inizio, il 28 luglio, della XV edizione, quarta dell’era Cigni, per un deficit nel bilancio del soggetto promotore, la Fondazione ‘Orizzonti D’Arte’, di cui l’attuale presidente è il sindaco di Chiusi Juri Bettollini (PD).

Con la direzione del 40enne regista d’opera, da rassegna di carattere più territoriale, Orizzonti è cresciuto fino a rientrare tra i 20 festival multidisciplinari riconosciuti e finanziati dal MiBACT.

“Bettollini è venuto con me dal ministro Franceschini – interviene Cigni – un amministratore deve essere orgoglioso di un tale progetto. Poi, si è sentito responsabile di dover far quadrare i conti, lo capisco, che devo dire?”.

Nel nostro dettagliato colloquio abbiamo cercato di mettere alcuni punti fermi.

Dalla vita alla morte

La nuova edizione di Orizzonti Festival si doveva chiamare #Vita2017.

“Dal tema #Vita2017 siamo passati alla #Morte2017. Si dica come si dica, ‘sospensione’ o ‘fermata provvisoria’, di fatto è la morte di un progetto, almeno per me”.

Come si è arrivati a chiudere il Festival?

“Per quanto mi riguarda ci si è arrivati con una comunicazione di stop. Ho mandato una mail all’indirizzo del Consiglio di Amministrazione della Fondazione ‘Orizzonti D’Arte’, nella quale mi rendevo disponibile a trovare delle soluzioni logistiche e artistiche proprie di una situazione economica abbastanza critica o drammatica come mi è stata paventata, affinché non si perdesse né il riconoscimento ministeriale né il contributo regionale, ma soprattutto non si abbandonasse il lavoro degli artisti, dei tecnici, e di tutti coloro che venivano a Chiusi. Ognuno ha fatto le sue scelte, io non biasimo nessuno”.

In un articolo di Andrea Pocosgnich su Teatro e Critica il sindaco Bettollini parla di una passivo della Fondazione che, al 31 dicembre, ammonta a oltre 308mila euro. “Se fosse stato autorizzato, il Festival avrebbe prodotto un’ulteriore perdita di 170mila euro”. Silva Pompili, presidente uscente della Fondazione, ha commentato che quello è un passivo lordo e non netto: “la situazione debitoria al 31/12/2016 non è 308mila euro che è il totale passivo, ma 205mila euro”. Lei era a conoscenza del debito oppure è stata una novità?

“È stata una novità fino a quando non mi è stato comunicato il deficit nell’incontro che ho avuto con il sindaco e i revisori contabili e nella stessa sede ho appreso la necessità di fermare il Festival. Io nella mia veste di direttore artistico del Festival, e in assenza di qualunque ruolo istituzionale all’interno della Fondazione, non ho mai avuto conoscenza dello stato finanziario della stessa, se non limitatamente all’approvazione che di anno in anno ricevevo, in merito a costi artistici e tecnici delle compagnie e dei singoli professionisti, che trattavo e sottoponevo alla Fondazione”.

Le risulta che la Fondazione abbiamo portato i libri contabili all’Università Bocconi, che avrebbe avanzato un possibile piano di rientro dal debito poi rigettato?

“Non lo so, sono considerazioni che riguardano l’Amministrazione, la Fondazione. Io ho prospettato una possibilità di piano di rientro per mantenere il progetto: grande disponibilità a fare un’edizione che andasse incontro al contenimento dei costi, senza snaturare il Festival. Per quanto riguarda l’intervento della Bocconi, ricordo che l’Università aveva scelto proprio Chiusi e dunque anche il Festival Orizzonti come argomento di un master gestionale per i propri studenti. Se l’Amministratore ravvisa che questo tipo di percorso non può essere seguito, cosa posso dire? In quanto direttore artistico non ho responsabilità economiche, non mi sento di attribuirle se non al fatto che aumentando l’attività, dalla compagnia all’orchestra giovanile, deve corrispondere uno sforzo generale, il reperimento di nuove risorse e di attenzione. Lo vediamo e l’abbiamo visto in tanti altri casi, non c’è bisogno che dica quali, occasioni dove tutti credevano al valore di un festival. La mia domanda è se davvero Orizzonti aveva un valore riconosciuto così forte per cui potevamo tutti metterci lì e salvarlo e renderlo davvero un patrimonio indiscutibile per la città. Cinque anni sono stati lunghi, sono stati belli, impegnativi per me, perché ero sulle spese, erano le mie ferie, ho tante persone care a Chiusi, con le quali mi sono trovato benissimo”.

“Ho chiesto ad Andrea Cigni – dice ancora il sindaco – di salvare il salvabile, di fare dieci serate utilizzando le nostre compagnie”. Perché ha detto di no?

“Non è che ho detto di ‘no’ a utilizzare compagnie del territorio per salvare il salvabile. Ho detto che non era più Orizzonti (con un programma presentato al Ministero). La mia responsabilità da direttore artistico è stata seguire un progetto che mi era stato affidato, per cui ho vinto un bando: perciò favorire la crescita del Festival, lo sviluppo a livello nazionale, il reperimento di risorse ministeriali e regionali. Tutti l’avete visto, vissuto, frequentato, praticato, recensito, discusso, è stata ampiamente dibattuta la forza di questo progetto. Così come, ad esempio, se mi si chiede di fare delle serate o dell’animazione (richiesta pure lecita, comprensibile in certe situazioni), forse io non sono la persona più adatta. Lo scorso anno, a chiusura del triennio, abbiamo dibattuto molto se trovare una nuova direzione artistica per dare la possibilità di un ulteriore rilancio del Festival. Poi, sono stato invitato dall’Amministrazione, dalla Fondazione, a rimanere e sono rimasto alle stesse condizioni di prima: lavoro gratis, è una cosa che ho visto nascere, ma evidentemente la volontà non è tutto”.

Non facendo Orizzonti quest’anno i contributi ministeriali e regionali che fine fanno?

“Il contributo ministeriale rimane al Ministero a disposizione degli altri festival multidisciplinari che hanno fatto richiesta. Il contributo regionale, allo stesso modo, resterà nel fondo regionale. Tra l’altro, Orizzonti ha ricevuto importanti finanziamenti in questi due anni”.

Di quanto parliamo?

“Il primo anno circa 80mila euro, il secondo 56mila, ma l’andamento ondulatorio dei contributi ministeriale va in base alla qualità e quantità indicizzata, al numero di spettacoli proposti, per cui magari quest’anno poteva esserci un miglioramento, non lo so, la sfera di cristallo non ce l’ho. So quello che è stato, so che lo Stato italiano ha investito nel Festival circa 130mila euro, più i 20mila euro della Regione”.

È vero che stavate lavorando per portare Orizzonti in un’altra città? Ci sono i contratti con le compagnie, Heretico de Leviedelfool, produzione Orizzonti Festival, ha da poco debuttato a Fabbrica Europa XXIV: come proseguiranno i rapporti con gli artisti?

“I rapporti con gli artisti credo si siano interrotti nel momento in cui il Festival si è fermato. Io sono libero, gli altri artisti sono liberi in virtù di questo stop. È tutto da vedere se ci saranno altri luoghi, altre situazioni o se si rifonderà il percorso in futuro”.

Ha rassegnato le dimissioni? Qual è ora il suo rapporto con la Fondazione e il Festival?

“Io non ho rassegnato le dimissioni. Oltre che gratuita, la mia prestazione al momento con il ‘rinnovo’ della fiducia dopo il settembre 2016 non ha visto una forma scritta di contratto. Che dimissioni do? È come se non esistessi”.

Questo significa deresponsabilizzarsi?

“No, le mie responsabilità artistiche ci sono, se sbaglio spettacoli, cantanti, se qualcosa non funziona da un punto di vista artistico me ne assumo la responsabilità. Da un punto di vista economico non mi sento di averne. Prendo atto del fatto che c’è uno stop, che ci fermiamo e con noi si ferma il progetto. Anche perché i problemi economici sono riferibili alla Fondazione e non solo al Festival. A creare un debito concorrono tutte le attività artistiche di una Fondazione, oltre al Festival Orizzonti. Quello che mi sento di ribadire è che con me la Fondazione ha ottenuto contributi pubblici statali e regionali che prima non aveva (e non si è trattato di poche centinaia di euro)”.

Il laboratorio con Roberto Latini

Fermandosi il Festival, si chiude anche l’esperienza della compagnia under35 guidata da Roberto Latini. Nell’intervista rilasciata ad Andrea Porcheddu su Gli Stati Generali a proposito delle suo rapporto con Orizzonti Latini afferma: “L’invito a me era quello di un laboratorio con esito finale, trasformato poi in “compagnia del Festival” da me diretta, con alcune sfumature sapientemente sfumate”. Cosa intende qui Latini?

“Va chiesto a Roberto. Vedere l’esito di un laboratorio è il frutto comunque di una compagnia, cioè di una compagine di persone che si ritrovano a lavorare su un tema, un testo, un materiale che poi deve essere rappresentato. Per cui, da lì, da questo laboratorio, la voglia, la volontà di vedere il risultato del lavoro e capire se poteva essere la nascita proprio di una compagnia, questo sì. Ho letto la sua intervista e la condivido, mi sono anche sentito con Roberto, la responsabilità in questo caso non è certo sua. Ha accettato un progetto che pensavamo potesse andare avanti. Non credo ci saranno occasioni per poter riprendere questo discorso, almeno in questi termini. Mi sento di condividere le sue riflessioni e di rispettare la sua amarezza”.

Dalle parole di Latini sembra che il suo coinvolgimento dovesse essere meno stringente di quanto si è rivelato nei fatti. Non vi aspettavate nemmeno voi 450 domande?

“Le domande pervenute per questo laboratorio sono state oltre ogni aspettativa, è bello, ma forse anche un po’ preoccupante, per una condizione generale in Italia. Probabilmente, c’è una voglia davvero molto forte di fare teatro, di lavorare, di condividere un momento culturale e performativo. Il dolore è ancora più grande perché c’è una sorta di avvilimento nel momento in cui pensi che tante persone hanno voglia di fare teatro, ma le occasioni per farlo sono poche e sempre più ristrette. Non mi va di fare polemiche, posso comprendere le decisioni, il coraggio, gli indirizzi di tutti, però mi dispiace, perché secondo me si è persa un’occasione importante. Forse, valeva la pena fare una riflessione più serena, meno spaventata, per capire come proteggere il Festival e rilanciarlo”.

Latini nell’intervista è molto duro e conclude dicendo: “Spero che ci si possa vergognare tutti fino in fondo e da quel fondo cominciare a scavare”.

“Comprendo perfettamente il senso, la riflessione da fare è molto forte per cercare di capire quelle che possono essere le responsabilità di ciascuno di noi quando si opera in questo mondo fatto prevalentemente non di numeri, ma di persone. Il valore personale passa sopra i numeri. Come ho già detto ho speso molto del mio, sia professionalmente che emotivamente, e mi si passi da ultimo, economicamente. Ho portato a Chiusi risorse pubbliche importanti, un riconoscimento statale del Festival e un ritorno di immagine, anche per la città, credo non proprio disprezzabili e dei quali certo non c’è da vergognarsi”.

Orizzonti, una favola interiore

Tornerebbe a dirigere Orizzonti se, appianato il debito, ricevesse una telefonata dal sindaco e presidente della Fondazione?

“Non sono in polemica con nessuno, non me ne frega niente di essere in polemica. Sono molto legato a Chiusi, il mio rapporto con la città passa non soltanto dalle persone che mi hanno voluto bene e mi hanno accolto in questi anni con un affetto incredibile, ma anche dalle critiche, e ne ho ricevute tantissime. Era questo il bello del Festival: portava sempre, comunque, una discussione. Sento un affetto molto grande che mi dà un po’ di combattimento: sto seguendo le prove de Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi e sento una sorta di conflitto dentro di me, per aver perso qualcosa nel luogo in cui ho messo tanto della mia vita, sentimentale, artistica, culturale”.

Quindi non esce sbattendo la porta.

“Io non ho sbattuto la porta, la porta l’hanno sbattuta a me, è diverso, mi dispiace sia stata sbattuta dietro le spalle. Nelle interviste le parole non hanno il tono, qualcuno potrebbe travisare, e allora preciso: vorrei ci fosse la consapevolezza che io non esco mai dalle situazioni sbattendo la porta, non è il mio carattere, non sono un isterico. Sono triste, mi sento un po’ morto e più povero di qualche mese fa, mi manca la possibilità di esprimere me stesso attraverso la direzione artistica di Orizzonti in cui ho creduto molto in questi anni”.

Intitolavamo la nostra intervista del 2014, anno della sua prima edizione: “Andrea Cigni: la mia favola con il Festival Orizzonti” [link a fondo pagina]. Questa favola, mi pare di capire, è in pausa, ma non è finita.

“È una favola interiore, intima, magari Orizzonti continuerà lo stesso a vivere nel mio pensiero, nei miei sogni, ho subito uno stop fisico a Chiusi, però non dentro di me. Mi porto dietro tantissimi ricordi belli, dal primo appuntamento che fu La sposa di carta, assolutamente eccezionale, fino all’ultimo, la consegna del Premio Orizzonti ad Arturo Brachetti”.

Nella nostra conversazione [link a fondo pagina] alla fine dell’edizione 2016 ricordava “un’Amministrazione comunale che mi segue e non fa ingerenze politiche. Mi sento libero e non mi riconosco in niente se non nella missione del teatro”. Alla fine, invece, è arrivata la pugnalata alle spalle?

“Le pugnalate mi sembrano cose un po’ melodrammatiche, che fanno comunque parte del mio mondo, perché sono un regista di opera lirica. Quando mi è stato dato lo stop (tu parli di pugnalata e posso condividere l’idea melodrammatica), non è stato dato a una scelta artistica, ma a un avvenimento, che poi ha contemplato anche le scelte artistiche”.

Che effetto fa vedere che un altro evento organizzato dalla Fondazione, il Lars Rock Fest, viene invece sostenuto e rafforzato?

“Sono due cose diverse, hanno obiettivi e strategie diverse. È quando muoiono le cose che dispiace, non quando vivono e prendono vigore”.