In una pagina facebook “Il Carro del Lucumone” che viene scritta a Chianciano è comparsa una intervista molto interessante per la storia di Chianciano, ma anche per quella pievese, in particolare per la storia di una sua storica frazione, Salci, e per quella del movimento contadino ed antifascista. Ve la proponiamo integralmente, ringraziando gli autori. (ndr)
INTERVISTA A ROBERTO BETTI, ricercatore di storia locale.
1.0 – CAPITOLO PRIMO – LA RINASCENTE
1.1 – ESODO DA SALCI DI CONTADINI PERSEGUITATI POLITICI, DESTINAZIONE CHIANCIANO
Una piccola frangia di popolo umbro trasmigra e si rifugia sopra una collina toscana, mantenendo intatta la propria identità. Umilmente, in punta di piedi, non osa invadere l’abitato, si adagia su un nudo colle periferico, la “Rinascente”, all’ingresso di Chianciano, costruisce minuscole case. Poi gli avamposti della colonia, che hanno creato la base per un’accettabile convivenza con i locali, sollecitano parenti ed amici a trasferirsi qui dal luogo originario, fino a ricostruire una propria collettività all’interno della più larga comunità chiancianese.
E’ così che
ha avuto inizio la favola, la leggenda, la poesia, chiamala come vuoi,
dell’Amba Aradam, che fin da piccolo mi ha suggestionato?
Più o meno così, sintetizzando. Se vogliamo scendere nei
particolari, lo farò attingendo alla testimonianza rilasciata nel 1984 da
Pasquino Pagnotta, uno dei protagonisti della vicenda.
Esattamente un secolo fa, nel 1919, Nazzareno Pagnotta, mezzadro di Salci,
frazione di Città della Pieve, socialista e fomentatore di lotte contadine,
viene arrestato a Fabro. Condotto in carcere ad Orvieto, successivamente
liberato, rientra nel suo podere presso Ponticelli, a pochi chilometri da
Chiusi. Ma le squadre fasciste gli rendono la vita impossibile, è costretto a
lasciare Salci, si trasferisce a Torino, dove muore nel 1939.
Non fu lui, dunque, l’avanguardia della piccola colonia…?
I familiari rimasti a Salci subiscono continue vessazioni da parte dei fascisti, il padrone li licenzia, decidono dunque di abbandonare il borgo. Una loro parente abita a Chianciano, sposata ad un chiancianese, Adamo Tistarelli.
Nel 1921 tutta la famiglia Pagnotta, quattro fratelli Geremia, Attilio, Luigi e Pasquino, due sorelle Carlotta e Giovannina, e la madre Giuditta emigrano nella nostra cittadina, trovando lavoro presso un podere dell’avvocato Checcucci. Ad Attilio, oltre al lavoro nei campi, viene offerto anche un posto di facchino nella pensione Paradiso (successivamente: Villa Paradiso, passata ai Lazzerini, oggi proprietà di una famiglia russa).
Dunque i coloni umbri non approdarono immediatamente alla Rinascente…
Alcuni membri della famiglia, uomini e donne, si maritano con cittadini chiancianesi. Altri provenienti da Salci, non graditi in patria per le loro tendenze politiche, seguono l’esempio dei Pagnotta. Stutildo Diamanti, Alfredo Zeppoloni, Nazzareno Giuliacci, con le loro famiglie si trasferiscono a Chianciano, dove trovano velocemente lavoro. Attilio, giovane intraprendente, costruisce una casetta (attuale Pensione Pagnotta) che va ad abitare, con la moglie Gina e i figli Elio ed Enrico, oltre al fratello Pasquino. Altri ne seguono l’esempio, in modo che viene a crearsi, alla Rinascente, la comunità di Salci, animata da grande spirito di fratellanza e di solidarietà.
Mi pare
curioso che in un periodo in cui tanti italiani s’imbarcano per Oltreoceano, la
gente di Salci trovi l’America a un tiro di schioppo da casa! Sono stati
sufficienti trentatré chilometri di distanza per neutralizzare le persecuzioni
dei fascisti a seguito della loro fama di sovversivi?
– No, si allentò la morsa, ma il fascismo dilagava anche a Chianciano. Anche
qui ebbe luogo qualche episodio di prevaricazione. Però la coesione e la
solidarietà che era alla base della piccola comunità l’aiutò a superare le difficoltà.
Quindi
accoglienza non eccessivamente cordiale da parte dei chiancianesi, che
affibbiarono, con intenzione denigratoria, alla località “la Rinascente” il
dispregiativo di “Amba Aradam”. Con evidente riferimento alle dune desertiche,
teatro della battaglia sostenuta dagli italiani in Etiopia nel 1936.
Ovviamente il contrasto c’era, ma fu di natura politica, non si
trattava di discriminazione razziale. E terminò, con la caduta del fascismo. L’appellativo
di Amba Aradam è rimasto nel gergo popolare, prevalendo su quello originario.
Meno male, perché personalmente io trovo questo nome molto più evocativo ed
anche più grazioso e meno banale di “Rinascente”, che sa tanto di grande
magazzino.