Piccola storia del Museo Don Oscar.

by Gianni Fanfano

 

Si, mi va di raccontarvi questa piccola storia. In questi minuti di pausa di questo sedici settembre del’anno di grazie 2014, mi va di dirvi qualcosa di noi. Di una cosa nuova che arricchisce Città della Pieve. I sapienti o i tecnici direbbero una prima tappa, un punto di partenza. Siamo partiti poco più di un anno fa. Mentre ragionavamo di come far fruttare il grande patrimonio acquisito con la pubblicazione del libro “Il Castello si racconta”. E mentre pensavamo a come potesse essere degnamente festeggiato il Cinquantennale della fondazione ufficiale del moderno terziere. Poi mi capitò tra le mani, quel bando del GAL del Trasimeno Orvietano, sulle tradizioni locali. Finanziamenti europei, che a volte vanno a finire nei posti sbagliati. Allora ci siamo detti “e perchè non proviamo a mandarli per il verso giusto”? Chi più di noi, chi più dei Terzieri, chi più di Città della Pieve? E così siamo partiti.

Più o meno eravamo la “solita sporca mezza dozzina”, lanciata verso un’altra impresa, sulla strada, in questo caso, della storia e della memoria. Il presidente/nipote, Michele Gorello, il paziente grande ex stopper della grande Virtus, Maurizio Tassino, la segretaria di sempre Michela Galletto,il sanpietrino acquisito, ma di lungo corso, Carlo Tiberti, la responsabile di un vanto, il Corteo del Castello, Nadia Manganello. Poi aggiungemmo alcuni professionisti, mie vecchie conoscenze, con tracce di sangue pievese nelle vene, Daniele e Alessandra Fadda.Che avevo conosciuto all’epoca del lavoro sulla fornace Frazzi. Infine il mio personale passpartout con la rete e le tecnologie David Fanfano detto “Cagge”.

Partimmo. Ma saremmo partiti se avessimo saputo tutti problemi e le difficoltà che abbiamo poi superato? Non lo so. Anche le sporche dozzine poi, a volte, si perdono per strada. Figuriamoci le mezze. Il primo ostacolo fu la sede. Cominciammo andando a vedere il locale dove il Terziere tiene una specie di magazzino, in Via Melosio, la mitica Via delle Pupe, uno dei luoghi “cult” del San Pietro.

Un posto che mi ha ricordato qualche location dei film di Indiana Jones, mura antiche, insetti mai visti, reperti preistorici. E’ stata una perizia veloce di un amico di Roberto, marito di Michela, a schiarire le nebbie di quei luoghi. Ci disse che per sistemare quei locali avremmo dovuto tirare fuori una barca di quattrini. La botta fu grande, ma ci fece subito accendere una lampadina. Eravamo sotto la taverna. Sopra la taverna c’erano le finestre del primo piano di Palazzo della Corgna, ex palazzo Marocchi Mazzuoli, il palazzo dei nostri presepi, il palazzo che Sergio Bassini, Rino Giuliacci, e Gino Porzioli, l’inventore di Pierino, andarono chiedere per fare il presepe.

Dietro quelle finestre del primo piano, c’erano le splendide sale cui si accede sia dalla Sala Grande, sia da una porta sulla destra alla fine della seconda rampa di scale. C’erano soprattutto quelle due ultime piccole sale unite da un corridoio, quella azzurra cielo e l’altra glicine, che in rarissimi casi sono state utilizzate.

Salimmo, quel giorno, una domenica, le sale erano aperte. Le rivedemmo, le battezzammo, erano le sale che ci servivano. Erano sale che degnamente avrebbero sposato il nostro museo.

Facemmo la richiesta ufficiale al comune andammo a a parlare con il sindaco di allora, Riccardo Manganello, i tempi erano stretti, la scadenza del bando incombeva. Manganello capi l’importanza del progetto e insieme alla giunta, condivise la nostra idea di lavorare perché ognuno dei terzieri realizzasse il suo museo.

Vincemmo la corsa contro il tempo. Presentammo il progetto. Facemmo poi nei tempi previsti una variante. Ci chiesero diversi chiarimenti. Il progetto fu approvato. Le graduatorie pubblicate. Facemmo i nostri conti. Andammo anche nella nostra capitale. Andammo a Siena, ci fidanzammo con i responsabili del Museo della Torre, che poi ci hanno affettuosamente seguiti. Poi siamo partiti. Lavorando il più possibile con risorse locali. Per far crescere elementi di imprenditorialità in questo settore, strategico, specialistico. Il tutto per la Pieve, per il Palio, oltre che per il Castello.

La mezza sporca dozzina ha in seguito superato ostacoli ed è andata avanti. Messi alle spalle i problemi che incontra qualsiasi esperienza nuova. Messi alle spalle i problemi dei tempi e quelli immani, indescrivibili, non augurabili nemmeno al peggiore nemico della burocrazia. Messi alle spalle i problemi di qualche preoccupazione e titubanza nel terziere. Legittimi data la mole dell’investimento. Messi alle spalle quelli di un progetto che poteva essere frainteso dagli altri terzieri o dentro il comune, il 28 giugno i nastri sono stati tagliati.

Alla presenza di due madrine di eccezione, la segretaria di queste due ultime imprese, libro e museo e attuale segretaria del terziere, Michela Galletto da una parte e Donata Pasquini, la monna che ha indossato e fatto ammirare ai pievesi e ai nostri ospiti, alcuni dei più bei costumi apparsi nelle rievocazioni storiche del Belpaese. Due nastri uno tricolore ed uno neroverde, tagliati dal nuovo sindaco Fausto Scricciolo, emozionato per essere stato anni addietro anche presidente del Castello e dal presidente Michele Gorello che insieme al consiglio ha coraggiosamente sposato l’avventura della sporca mezza dozzina.

 Non sono passati, da quel giorno, nemmeno i canonici cento giorni, di ogni primo bilancio. Ma noi abbiamo fretta. Una maledetta fretta. Per noi il tempo è più che denaro ed abbiamo cominciato a fare un primo bilancio.

Bene, questo primo bilancio è niente male. Forse ci sbagliamo. Forse siamo troppo coinvolti. Ma i primi risultati ci soddisfano. Ci danno qualche gratificazione e nuova forza.

Più di 1200 visitatori, senza contare la marea di gente presente alla inaugurazione. I giudizi dei visitatori sono stai entusiasti. Visitatori diversi, per target, per provenienza, per gusti, ma concordi nel dire “avete fatto una bella cosa, degna di questa bella città!”.

Già, di questa bella città, questa nostra Pieve, che sorprende, che piace, che è stata e continua ad essere la protagonista di tanti colpi di fulmine per chi la visita.

 Questa città che può, che deve, scommettere sulla sua storia, che può farla diventare una sua specialità. Storia antica e storia più recente. Quella artistica e quella artigiana. Quella religiosa e quella laica. Se solo riesce ad unire le forze.

Questi primi quasi tre mesi ci hanno detto una cosa. Noi mettiamo a disposizione il Museo Don Oscar. Si un museo intitolato ad una delle figure più importanti del novecento pievese. Un piccolo museo, per costruire un “sistema museale pievese” per poi spendere e vendere un ”un sistema museale cittadino”. Vivo, pieno di iniziative, antico e tecnologico insieme. Un mattone, che ne attende altri, un mattone come quelli delle nostre mura e dei nostri tetti. Un mattone come quelli della nostra fornace. Un mattone che viene dal passato, ma per costruire le mura del futuro della nostra Pieve.

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