Home Per fortuna che c'è Riccardo Per fortuna che c’è Riccardo. “Si diceva così anche nel 1980…”

Per fortuna che c’è Riccardo. “Si diceva così anche nel 1980…”

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Dalla pagina fb dello scrittore Riccardo Lorenzetti. 

Che vergogna… con quello che guadagnano.”

Si diceva così anche nel 1980, ai tempi dello scandalo di Paolo Rossi, Giordano e Albertosi, che un calciatore medio prendeva sette-otto volte lo stipendio di un operaio specializzato, mentre adesso navigano letteralmente nell’oro.

Ma non credo sia questione di soldi.

Non solo di soldi, almeno.

Penso sia, piuttosto, un problema di regole (che sono saltate) e di un singolare concetto di libertà che ci fa pensare come tutto sia permesso, e consentito. E anche, se vogliamo, un problema di gente: che prima si indignava e oggi scrolla le spalle, perchè non ci si meraviglia più di niente.

O magari, perchè i Fagioli, i Tonali, gli Zaniolo sono i nostri figlioli. Sono l’esatto risultato della nostra idea di mondo, e quindi ci sentiamo persino un po’ correi.

E non c’è nemmeno bisogno di guardare troppo in alto: a questa elite di bimbetti arrogantelli, plurimiliardari-pluritatuati-pluriaccessoriati… Basta dare un’occhiata ai loro omologhi, il sabato sera di una qualunque città, durante le cosiddette “movide”: o, più istruttivo, osservare gli atteggiamenti dei componenti di una squadra di calcio che gioca un anonimo campionato di allievi provinciali, la domenica mattina.

O, ancor meglio, basterebbe osservare i genitori, in tribuna, durante quelle insignificanti partite.

E si capirebbe tutto.

Si capirebbe, per esempio, come l’arroganza sia diventata un modus vivendi. Come alle regole si passa sopra con una disinvoltura persino compiaciuta e come l’idea che tutto è lecito sia una specie di pane quotidiano.

Si capirebbe, soprattutto, che questo andazzo è roba abbastanza recente.

E che lo abbiamo inventato noi.

Noi che mettiamo il like alle pagine nostalgiche, quelle che rimpiangono Carosello e Mike Bongiorno. Noi che ci commuoviamo quando Carlo Conti mette il sottofondo musicale, in tv, e recita: “noi che si mangiava pane e pomodoro…”.

Facendo finta di non sapere che siamo proprio “noi”, a un certo punto, che abbiamo cambiato direzione.

“Noi che” non ci saremmo mai sognati di inchiodare un babbo (o una mamma) ad una notte in bianco, perchè avevamo rispetto di lui e del suo diritto alla felicità, fosse anche una bella dormita dopo una settimana di lavoro. E adesso facciamo da chaffeur, fuori dalla discoteca, alle quattro di mattina.

“Noi che” prendevamo uno scapellotto per un brutto voto, ed oggi denunciamo gli insegnanti al Tar del Lazio… “Noi che” tenevamo ad un’etichetta e ad un’educazione (magari formale) e adesso consentiamo qualsiasi sciatteria, con un sorriso benevolo se non con compiaciuta soddisfazione.

E mi domando, allora, quando è che abbiamo smesso di essere “Noi che…”, e siamo diventati qualcos’altro.

Non più genitori, ma “amici” (pensa te) e, infine, addirittura “fan” dei nostri figlioli, ai quali consentiamo tutto: una società di gente “figliopatica”, che affronta la vita di tutti i giorni con un piglio persino ammirevole, disposta a qualsiasi compromesso, capace di ogni sacrificio ma non toccateci i figli, sennò diventiamo belve.

Figli da coccolare, da vezzeggiare, da giustificare, da esibire su Facebook ad ogni occasione: figli che sono esentati non dico da una punizione, ma persino da un semplice rimprovero. Figli che hanno capito come funziona il nostro mondo, e si regolano di conseguenza: nel migliore dei casi si adeguano, nel peggiore se ne approfittano

E allora, teniamoci i Fagioli, gli Zaniolo e gli altri trecento che verranno fuori. I rapper, gli influencer, gli imbrattatori di muri e tutto quel bestiario che i figli eleggono a modelli di vita.

Sono roba nostra.

Loro, e la finta indignazione per un mondo dove tutto è permesso, e che (senza girarci troppo intorno) abbiamo creato noi. A uso e consumo dei nostri favolosi figlioli.

“Noi che” … se non si trovava il passaggio per andare in discoteca, si rimaneva al bar a giocare a briscola.

E non era la fine del mondo.

Ma non ce lo ricordiamo più.

Riccardo Lorenzetti