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Poi arriva il Grande Torino. E capisci che nessun’altra storia sarà mai bella e struggente come quella

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 Perché è una storia che parla di sole e di vento. E poi, di pioggia e di sangue.

Oggi è una giornata di pioggia e di vento.
Ci sono giorni così, che non ti immagini in nessun’altro modo.
Come la notte di Natale: che deve profumare di arance e di agrifoglio, e poi di neve che cade. Che quando vedi che da qualche parte del mondo la festeggiano in spiaggia, con il costume da bagno, capisci che non può essere un Natale autentico. Una pioggia autunnale e cattiva. Nebbiosa e monotona.
Giornate che ti lasciano addosso un ricordo appiccicoso e triste, nonostante la natura stia esplodendo. E profuma di ciliegie che maturano; e ginestre, e papaveri, che sbocciano.
Perché c’è stato un giorno lontano, di maggio, che resterà per sempre pieno di pioggia. Anche se nessuno di noi lo ha vissuto: e chi l’ha vissuto ne ha un ricordo ormai sfuocato.
E’ stato un giorno dove il mondo ha dato l’impressione di fermarsi. E dove il cielo, per una volta, è realmente crollato sulla testa degli uomini.

Che poi, un campione, non serve mica a niente.
Non servono i ciclisti, nè gli schermidori e nemmeno gli assi del volante.
Però, con le loro imprese,aiutano a vivere meglio. Semplicemente. Come una bella canzone, il buon vino o i baci di una bella donna.
Ti disegnano un mondo particolare, e ti regalano le chiavi per entrarci. Anche se è un mondo fatto di sogni.
Ed è un mondo cavalleresco, popolato di storie che sono quasi sempre belle ed emozionanti: si racconta di Fausto Coppi e di Ayrton Senna. Dell’Italia che vince i Mondiali del’82 e dei pallavolisti di Velasco. Dei New York Yankees e degli All Blacks di Rugby.
Poi arriva il Grande Torino. E capisci che nessun’altra storia sarà mai bella e struggente come quella.
Perché è una storia che parla di sole e di vento. E poi, di pioggia e di sangue.

Bacigalupo, Ballarin, Maroso.
Penso sempre a questa piccola filastrocca quando, negli stadi, partono i cori più orrendi: quelli che inneggiano alle pulizie etniche e all’eruzione dei vulcani. O tirano in mezzo gli angeli che morirono all’Heysel (o a Hillsborough).
E penso a Bastian, il piccolo bambino che è il protagonista della Neverending story.
E che, per sconfiggere il “nulla” che avanza, deve pronunciare ad alta voce una parola. A patto che, però, sia una bella parola.
E la parola più bella che gli viene in mente è il nome della sua mamma. Che lui non ha più.

Riposa in pace, Grande Torino.

Riccardo Lorenzetti

Da Riccardo Lorenzetti blog

3 maggio 2021