Quando ti trovi tra le mani una vecchia foto, la prima sensazione è sempre quella della nostalgia.
Un sentimento talmente strano che, per descriverlo, hanno dovuto mettere insieme due parole antiche e misteriose: “Nostos” e “Algos”.
E che, unite, vogliono dire più o meno “dolore per la lontananza”. O, più struggente ancora “dolore per un ritorno”.
Che è di per sé una cosa tristissima. E definitiva.
Perché, in fondo, ognuno di noi sa benissimo che non tornerà mai.
La foto in questione riguarda la classe 1956.
Sono i nostri “fratelli maggiori”; quelli che guardavamo con venerazione, e che costituivano il modello più immediato per quando saremmo diventati “grandi”.
Erano quelli che già guidavano la vespa, e ballavano i lenti con le ragazze; che giocavano a pallone nella squadra del paese e potevano entrare al cinema quando c’erano i film con Edvige Fenech e Gloria Guida.
Noi si comprava le figurine da Duina e qualcuno di loro vantava già qualche esperienza con “la Luisa”, o al leggendario “Oppiello”, di Foiano… Quando lo raccontavano al bar, o nelle scale della Chiesa, li ascoltavamo a bocca aperta.
E d’altronde, quando fu scattata questa foto, eravamo una comunità numerosa, e le strade e le piazze erano sempre piene di gente. Avevamo ben quattro negozi di generi alimentari: adesso, nessuno.
I ragazzi della foto in questione hanno facce ingenue e curiose, tipiche di chi nacque nel famoso periodo del “baby boom”. Vestono il grembiulino d’ordinanza (che era obbligatorio) ed esibiscono l’immancabile fiocco azzurro o rosa… E siccome una fotografia era comunque un evento raro, si stringono un po’ impauriti accanto alla loro maestra.
Che è la “Signorina” Maria.
Ha insegnato anche a me. Dalla prima alla quinta elementare, in tempi di maestro unico, dove ogni classe aveva il suo riferimento (le altre si chiamavano Leda, Matelda, Marida e naturalmente Novaro)
Mi capita di pensarla abbastanza spesso, ultimamente: perché era, fuori da ogni retorica, una donna di prim’ordine. E un’insegnante favolosa: di una modernità addirittura unica, per quei tempi.
E mi domando come avrebbe reagito di fronte ai ragazzi che menano, o ai genitori che si rivolgono all’avvocato, se non il figlio non ottiene un bel voto.
Io mi ricordo di quella volta che feci un tema bellissimo, in quarta elementare.
Però, nell’entusiasmo, avevo scritto un po’ troppo “largo”, finendo per occupare ben tre pagine di quaderno.
La Signorina Maria mi elogiò, ma non volle premiarmi con quel voto alto che avrei probabilmente meritato.
“Perché i quaderni costano – mi disse- e tuo babbo, i soldi non li trova per terra.”
Sono passati quasi cinquant’anni.
Ma lo ricordo ancora adesso.
Riccardo Lorenzetti
da https://riccardolorenzettiblog.wordpress.com/