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In Umbria corsa ad ostacoli per abortire

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Rassegna Stampa. Dal Corriere dell’Umbria di Patrizia Antolini

Perugia.  Sembra sempre più una corsa ad ostacoli interrompere volontariamente una gravidanza in Umbria. Non solo due medici su tre sono obiettori, l’aborto farmacologico resta un tabù nella provincia di Perugia. Gli aborti in Umbria sono in calo del 13%, grazie a prevenzione e pillola del giorno dopo. Ma entrando nelle storie e nelle vite delle donne e degli operatori dei consultori, per altro sempre più ridotti all’osso per carenza di personale, si scopre dell’altro: non solo la presenza al 65% di medici obiettori garantisce un servizio ridotto, come spiega Wanda Scarpelli della Cgil, ma l’interruzione farmacologica, considerata da più parti meno invasiva per la salute della donna anche se applicabile solo nelle prime 7 settimane, è possibile solo negli ospedali di Orvieto e Narni. Questo perché il protocollo della Regione in materia è fermo da anni. Storie di diritti ancora troppo spesso negati e di un 8 marzo che in mezza Umbria resta solo a parole.

“Pensavo che in Umbria le cose funzionassero: è possibile che devo avere una persona che mi accompagni quattro volte a Orvieto per abortire?”. Anna, la chiameremo cosi, a 25 anni è entrata in un consultorio, decisa. Ha un bimbo che le cresce in grembo ma ha deciso di abortire perché sente che è giusto così. Per lei e per la sua vita anche se qualcuno sarà pronto a giudicarla. Anna è sotto le 7 settimane: piuttosto che un aborto chirurgico, potrebbe scegliere la strada dell’aborto medico meno invasivo ma in mezza Umbria non se ne parla. “Mi capitano due o tre donne alla settimana con questa richiesta – dice la ginecologa Marina Toschi del consultorio di Madonna Alta di Perugia – rispondo che possono andare solo a Orvieto e Narni perché il protocollo regionale al riguardo è fermo”.

L’interruzione farmacologica è possibile entro i primi 49 giorni dal concepimento. Tra la visita preliminare, la somministrazione in day hospital della prima pasticca che induce il distacco del feto dall’utero, dopo due giorni l’assunzione del secondo principio attivo che provoca le contrazioni, e l’ecografia dopo una settimana si tratta di quattro accessi ospedalieri complessivi.

Che in provincia di Perugia non puoi fare. Assieme alla legge 194 del ’78, il consultorio è l’unica porta aperta per le donne: un luogo che non ti giudica, che ti informa, che ti consiglia, che ti assiste dal punto di vista medico. Quelle isole nel deserto sempre più all’osso, alle prese con carenze di personale: dei 12 consultori perugini ne rimangono attivi sei, degli otto medici a settembre ne resteranno 2 e mezzo. Perché chi va in pensione non viene reintegrato ma chi lavora si fa in quattro.

Come la dottoressa Marina Toschi. “Con 35 anni in un consultorio ne vedi tante: vedi le bambine che hai fatto nascere avere dei figli. Vedi uomini piangere di fronte a una donna che non vuole tenere quel figlio che sente estraneo. Vedi ragazze adolescenti che sfidano i genitori con un figlio venuto troppo presto. Vedi donne che mettono al mondo figli generati nella violenza delle mura domestiche. Ve di ragazze nigeriane arrivate in Italia su un barcone e buttate sulla strada a Perugia per prostituirsi”. L’ultima vittima della tratta è arrivata da lei solo pochi giorni fa: “Sono di cinque settimane, mi ha detto – racconta la ginecologa Era di cinque mesi, ormai devi tenere tuo figlio, le ho spiegato. Lei mi ha risposto che il suo fidanzato non ne ha bisogno”.