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Ascensore per l’Infinito

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Era un ascensore comunissimo, di quelli che si trovano di solito nei condomini. Aveva le porte automatiche e non era molto ampio, anzi. Qualche volta era anche fuori servizio. Comunque lo stabile era di soli tre piani più uno interrato occupato dai garage. L’ascensore quindi percorreva nel totale quattro piani.

Come tutte le mattine alla solita ora Ulderico uscì di casa, la sua ventiquattrore stretta nella mano contenente scartoffie, appunti vari e documenti necessari al lavoro di ufficio che ormai occupava quasi tutta la sua vita. Era un clichè noioso: le solite facce, i plichi, dossier e poi le solite lamentele della clientela mai contenta, come se gli impiegati stessero tutto il giorno a scaldare la sedia invece di sbrigare le pratiche.

Avvicinatosi alla porta dell’ascensore Ulderico schiacciò il pulsante di chiamata: tutto il meccanismo si azionò innescando una specie di sibilo interrotto di tanto in tanto dal rumore di una enorme ruota attaccata al motore. Sì una specie di puleggia visibile tutte le volte che il tecnico della manutenzione controllava l’efficienza dell’impianto. L’ascensore arrivò al piano e poco dopo le porte, come fauci un po’ pigre, si spalancarono producendo un rumore alquanto ovattato. Entrato nell’ascensore , Ulderico pigiò il pulsante del piano terra perchè la sera prima aveva lasciato la macchina nel piazzale invece che nel garage. Con lieve sussulto l’ascensore si mosse, iniziò il suo “viaggio”, quando fu al piano terra però non si fermò. Ulderico fu un po’ infastidito da questo fatto. Ma evidentemente aveva pigiato il pulsante che portava in garage e non quello del piano terra. Questo comportava che avrebbe dovuto raggiungere l’automobile nel piazzale aggirando quasi l’intero edificio, ed era anche in ritardo. Attese i secondi necessari affinchè l’ascensore percorresse l’ultimo piano e si preparò a precipitarsi fuori, raggiungere la macchina: era in ritardo accidenti. E poi a volerla dir tutta l’ascensore dava ad Ulderico una sorta di disagio…sì era comodo ma quando si aprivano le porte e usciva…si sentiva meglio, come liberato.

Sempre così quando si ha fretta , deve capitare qualcosa che fa perdere ulteriormente tempo.

Eppure passati i secondi che bastava percorrere gli ultimi pochi metri di dislivello l’ascensore non si fermò. “Certo devo aver fatto una bella confusione con questi pulsanti” pensò Ulderico “appena l’ascensore si ferma vediamo se mi riesce di avviarmi in ufficio. Oggi sarebbe la seconda volta a fila che arrivo in ritardo e stamani proprio non ho voglia di sentire ramanzine.” Ordinò un po’ le idee e cercò di capire cosa stesse succedendo: concluse che l’ascensore fosse fermo, il meccanismo “inceppato” lo faceva vibrare, la vibrazione dava l’illusine di un movimento che non poteva esserci. Concentrò l’attenzione sul reale stato delle cose per confermare a se stesso l’ipotesi che aveva formulato. Il movimento? C’era eccome! E ora non capiva nemmeno se si salisse oppure si stesse scendendo. Nulla ormai conferiva razionalità a quello che succedeva. E l’ascensore andava, le vibrazioni proprie di questo mezzo erano anche sparite, non si avvertiva il minimo attrito, la velocità costante e d inesorabile prese a divorare decine e decine di metri, con una caparbietà quasi cosciente. Passarono una decina di minuti, cominciò ad essere freddo, l’aria diventò umida e in Ulderico, prima perplesso cominciò ad insinuarsi un senso di profonda paura. Ma che cosa succedeva? Era forse l’approssimarsi della morte? La sua vita finiva inghiottita da chissà cosa? La mente si ritrovò smarrita in una girandola di paure e sensazioni strane. E poi cominciavano a sovrapporsi all’ angusta visuale dell’abitacolo in folle viaggio, una sorta di allucinazioni e si rincorrevano scene della sua vita, ed erano chiare e nitide come un dipinto antico dal quale è stata raschiata la patina del tempo che opacizza i colori. Ulderico aveva anche perso la dimensione temporale e non si rendeva conto se fossero passati minuti oppure ore. Ad un certo punto si attenuò il freddo e un tepore cominciò a flitrare all’interno della cabina dell’ascensore. Il caldo aumentava sempre più, in breve diventò insopportabile. Ulderico ebbe la sensazione che stesse sfiorando il magma col suo “veicolo”. Cominciò a sudare e il viso gli si ricoprì di goccioline che sopraffatte dal proprio peso cominciavano a colare, sentiva il corpo fradicio, anche i vestiti erano bagnati. Era un caldo che dava idea dell’inferno nell’immaginario collettivo. La formidabile temperatura toglieva l’aria, altro che sauna finlandese, Ulderico si sentiva venir meno. Il gran caldo ottundeva i sensi così senza discernere tra sogno, allucinazione, realtà, vide dentro i suoi occhi scene della sua vita come fossero un film. Ad esempio rivide se stesso quando la prima volta si era appartato con una ragazza e lei aveva portato le mani di lui sotto un golfino azzurro di lana leggera e morbida, e così la pelle fresca e vellutata del seno si era rivelata alla meraviglia e al piacere di Ulderico. Poi rivide tutti i suoi amici e se stesso in mezzo a loro: erano tutti in macchina e con questa si offrivano alle fauci stradali della città e le luci intermittenti sfioravano con guizzanti bagliori i volti dei passeggeri. Volti giovani che si nutrivano di quei bagliori per squarciare il diaframma che li separava da quella che sarebbe stata la vita purgata dai sogni.

Poi il caldo passo, le immagini svanirono, Ulderico riebbe consapevolezza di se. E l’ascensore sembrava attraversare l’etere tanto aveva un movimento uniforme, costante, lineare, molle. Così, coscientemente questa volta, prese ad immaginare seguendo e gustando uno slancio di fantasia che fluttuava nella mente. Malgrado lo spazio ristretto nel quale si trovava si sentì un gabbiano placido tra il celeste del cielo e l’azzurro del mare e leggere folate di vento inclinavano dolcemente il volo. A questo librarsi al di sopra delle situazioni seguì un’indescrivibile sensazione di serenità e pace. Avrebbe potuto anche morire, non gli importava più di nulla, si sentiva parte dell’infinito. Non aveva bisogno di nulla nemmeno della vita, nemmeno della morte. Ulderico volava nelle alte sfere quando l’ascensore inaspettatamente cominciò a sussultare, poi di colpo si arrestò: che cosa ancora succedeva? Ulderico avvertì all’improvviso un gran mal di testa, il respiro accelerò, svenne e si accasciò sul ripiano dell’ascensore. Quando rinvenne sentì alcune voci intorno a sé: “L’ascensore si è bloccato, ci sono voluti più di venti minuti per riportarlo al piano.” Erano alcuni condomini. Quando le portiere dell’ascensore si aprirono e Ulderico potè uscire, aiutato, sorretto, fu ferito dal buio che si spalancava sotto l’ascensore come un baratro senza fine, poi alzando lo sguardo, uno spicchio di cielo straordinariamente blu come il cobalto lo ricondusse alla vita.

Nunzio Dell’Annunziata