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Aldo Sorci “I rischi della competizione tra le grandi potenze internazionali”

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Aldo Sorci, allievo di Federico Caffè, ex dirigente di società pubbliche nazionali ed ex sindaco di Monteleone, è uno degli storici insegnanti della Libera Università di Città della Pieve. Pubblichiamo una sintesi  della conferenza tenuta  il 25 maggio 2023 a Città della Pieve. Stiamo lavorando, con nostro piacere ed orgoglio, come già fatto in passato, ad una pubblicazione di altri suoi contributi. Anche perché ne condividiamo con convinzione, personalmente, i contenuti. (g.f)

Negli ultimi tempi sono stati realizzati alcuni studi sul passato e sulle prospettive relative alla popolazione e al reddito a livello mondiale, mettendo in risalto le modificazioni intervenute e quelle prevedibili a medio e lungo termine.

Ne è derivato uno scenario di cui qui mi limito ai tratti essenziali.

  1. L’espansione della popolazione si concentra in Africa con un aumento dell’incidenza sul totale mondiale che sale dal 17,7% del 2022 al 25,4 nel 2050 e al 37,8% nel 2100, con un aumento di 2,5 miliardi di persone;
  2. Anche l’Asia cresce fino al 2050 in valore assoluto, ma diminuisce in termini relativi dal 59,3% al 54,6 e al 45,5 soprattutto in relazione alla prevista consistente diminuzione della popolazione cinese;
  3. netta la flessione prevista per l’Europa per ben 157milioni di persone e in termini relativi dal 9,4% al 7,3 ed al 5,7 nell’anno finale;
  4. Da quanto sopra deriva che l’aumento della popolazione sarà concentrato nei paesi africani a reddito basso e medio basso (+ 3,107 miliardi). Un problema enorme in tema di disuguaglianze e di pressione nei confronti dell’Europa in declino.

Per quanto concerne le previsioni sul reddito, molto interessante lo studio di Goldman Sachs al 2075 che sottolinea quattro temi principali.

  1. Il potenziale di sviluppo globale diminuisce in quanto è frenato dalla debolezza relativa alla crescita della popolazione che negli ultimi 50 anni è scesa dal 2% all’1% ed è prevista scendere ancora e dopo il picco divenire negativa.
  2. Le previsioni mostrano che già nel 2050 le prime cinque economie del mondo sono Cina, Usa, India, Indonesia, Germania. Nigeria e Pakistan, con opportune politiche, possono successivamente entrare e altre uscire. Il tasso di sviluppo dei paesi emergenti e in via di sviluppo supera nettamente quello delle economie avanzate grazie in particolare all’andamento dell’Asia.
  3. I decenni di sviluppo eccezionale degli Stati Uniti è molto improbabile che si ripetano; il potenziale rimane inferiore in misura significativa a quello delle grandi economie emergenti Cina e India ed è prevedibile che la forza eccezionale del dollaro si riduca progressivamente nei prossimi decenni.
  4. Si prevede una diminuzione delle disuguaglianze globali fra paesi grazie soprattutto ai progressi della Cina, ma un sensibile aumento delle disuguaglianze all’interno dei paesi.

Per quanto detto si comprende che l’andamento del PIL è profondamente diverso fra economie avanzate e quelle emergenti e in via di sviluppo. Nel 2020 le prime incidevano per il 57% sul totale mondiale mentre gli altri coprivano il 43. Nell’anno finale la situazione sarebbe totalmente ribaltata con il 28% dei primi e ben il 72% ai secondi.

In termini di PIL espresso in dollari 2021, a fronte di un totale mondiale di 86.600 miliardi, 49.500 sono delle economie avanzate e 37.100 delle altre, in percentuale, 57,2 e 42,8. Ma nel 2075 i 402.500 miliardi sono per il 71,2% delle economie emergenti e in via di sviluppo, mentre solo il 28,3% sono delle altre.

Fondamentale ai nostri fini la graduatoria al 2075 dei primi 15 paesi in termini di PIL espresso in migliaia di miliardi di dollari costanti (2021).

Cina                   57

India                  52                                Germania             8

USA                   51                                Regno Unito        8

Indonesia           14                                Messico               8

Nigeria               13                                Giappone             8

Pakistan             12                                Russia                  7

Egitto                 10                                Filippine              7

Brasile                 9                                Francia                 7

Gli Usa scivolano al terzo posto con 51mila miliardi di dollari contro i 52 dell’India ed i 57 della Cina. Seguono a distanza notevole i “nuovi” grandi, Indonesia, Nigeria, Pakistan, Egitto e Brasile.

Le graduatorie dei 15 paesi in esame vengono nel tempo letteralmente sconvolte.

Altro studio molto interessante è stato pubblicato da Ray Dalio, economista ed imprenditore, che con il volume “I principi per affrontare il nuovo ordine mondiale”, sviluppa il tema delle successioni nel tempo degli imperi egemoni. La prima parte del libro ne esamina la storia nelle tre fasi del ciclo: ASCESA – PICCO – DECLINO. Vediamo in sintesi:

  • La Cina è stata in passato dominante per secoli con alti e bassi, a partire dal 1800 ha registrato un forte declino e ora è di nuovo in rapida ripresa dalle prime decadi del 1900.
  • L’Olanda, un paese relativamente piccolo, divenne nel 1600 l’impero dominante grazie soprattutto alla sua valuta di riserva.
  • Percorso analogo, ma molto più importante, fu seguito dal Regno Unito con un picco intorno alla metà del 1800 ed un declino molto rapido per il sorgere dell’impero Usa.

Gli Stati Uniti, il paese senza storia, sono diventati la superpotenza del mondo negli ultimi 150 anni e dopo la seconda guerra mondiale. Oggi, vivono l’inizio di un relativo declino soprattutto in rapporto ai progressi straordinari della Cina.

L’insieme delle tre fasi costituisce il modello di Ray Dalio chiamato BIG CYCLE con il quale inizia e finisce ogni ciclo i cui aspetti principali sono contenuti nelle tre fasi.

ASCESA – il paese è fondamentalmente forte e presenta queste caratteristiche:

  1. Indebitamento pubblico e privato mediamente basso.
  2. Divari relativamente ristretti di redditi, di patrimoni, di valori e di idee fra cittadini.
  3. Collaborazione efficace tra cittadini e istituzioni per ottenere prosperità.
  4. Realizzazione di buone infrastrutture e di elevati livelli di istruzione.
  5. Leadership capace e forte.
  6. Situazione internazionale relativamente pacifica.

PICCO – periodo di eccessi:

  1. Alti livelli di indebitamento.
  2. Forti divari di ricchezza, di idee e di valori.
  3. Declino dei livelli di istruzione e di infrastrutture del paese.
  4. Conflitti aspri tra diverse classi di cittadini e crescita dei contrasti internazionali fra potenze.

DECLINO – periodo di crisi:

  1. Crisi economica e rischi di default del debito pubblico.
  2. Inflazione e stampa di moneta.
  3. Aumento dei conflitti politici e non solo fra poveri e ricchi.
  4. Messa in dubbio del sistema capitalistico.
  5. Aumento della tassazione nei confronti dei ricchi.
  6. Fughe di capitali all’estero.
  7. Gettito fiscale in diminuzione.
  8. Crollo della produttività.
  9. Tensioni e rischi per la democrazia.

Dunque ognuna delle tre fasi ha le proprie caratteristiche specifiche.

Per quanto riguarda l’ASCESA sono fondamentali otto aspetti: forte leadership, inventiva, istruzione, cultura, buona allocazione delle risorse, alta competitività, alta crescita del reddito, adeguato centro finanziario.

Per quanto riguarda il PICCO: calo di produttività, eccesso di capacità produttiva, perdita di competitività, divari di ricchezza.

Per il DECLINO: crescenti debiti, stampa di moneta, perdita dello stato di valuta di riserva, crescenti conflitti interni, debole leadership, tensioni e scontri (rivoluzione).

A titolo puramente esemplificativo, esaminiamo lo schema dal vecchio al nuovo ordine mondiale da Olanda a Regno Unito e poi americano: crisi e ristrutturazione del debito, rivoluzione interna, pacifica o violenta con trasferimento di ricchezza dai ricchi ai poveri, crisi valutaria seria e grande disordine esterno.

Chiariti gli aspetti di carattere generale, ci soffermiamo ora su quelli relativi alle tre principali realtà del presente e anche del futuro, vale a dire: USA CINA INDIA nonché all’EUROPA, che comunque non sarà mai un futuro impero perché non è uno stato né una confederazione di stati. L’autore chiarisce giustamente che la sua analisi (informatica) è aggiornata al mese di agosto 2021.

USA – classifica 1, livello 0,87 (massimo1).

Gli USA appaiono come una potenza forte, al primo posto nel mondo ma in graduale declino. Permangono i principali punti di forza e cioè il suo centro finanziario, l’innovazione tecnologica e la tecnologia, l’istruzione, la forza militare e lo status di moneta di riserva. I suoi punti deboli sono la posizione economico finanziaria ed in particolare l’alto debito pubblico (quasi il 130% del PIL), il deficit di bilancio ed il deficit commerciale. Da sottolineare che il mercato azionario americano è oggi quasi il 60% del mondiale e le transazioni in dollari sono ancora il 55% del totale.

CINA- classifica 2, livello 0,75.

La CINA appare già una potenza forte, al secondo posto con un livello alto ed in rapida ascesa. I principali punti di forza sono la potenza dell’economia, le infrastrutture, il suo peso sul commercio mondiale, l’alto livello di autosufficienza, i livelli di istruzione e la forza militare. Da sottolineare l’importante etica confuciana del lavoro del popolo cinese. Le otto unità di misura del potere sono abbastanza favorevoli in particolare l’innovazione tecnologica e i livelli di istruzione. Il ciclo finanziario è moderatamente favorevole grazie ad un basso livello di debito pubblico, 48% (un terzo di quello statunitense). La Cina è il primo esportatore del mondo. Molto da fare sul rispetto dei diritti.

INDIA – classifica 6, livello 0,27.

L’INDIA è una potenza economica di livello relativamente modesto, con punti deboli, nell’istruzione e nell’innovazione tecnologica, nell’alta corruzione, nella criticità della burocrazia, nella fragilità dello stato di diritto con aspri conflitti interni, anche a sfondo religioso. Punti di forza, una buona posizione economica e finanziaria e la forza lavoro con elevata competitività di costo. Il disordine interno costituisce un alto rischio così come le diffuse disuguaglianze che potrebbero diminuire con la rapida crescita, ma solo con politiche economiche mirate e non in vista: Mumbay ha superato Pechino come capitale dei miliardari e le disuguaglianze sono oggi in tutto il paese ancora maggiori rispetto al periodo coloniale.

EUROZONA – classifica 3, livello 0,55.

L’ EUROZONA –  appare potenza forte in traiettoria stabile. Punti di forza il livello del commercio globale e lo status di moneta di riserva; di debolezza, la scarsa autosufficienza, l’allocazione relativamente inefficiente della forza lavoro e dei capitali, il debito pubblico mediamente elevato e molto elevato in alcuni paesi (Grecia e Italia), crescita reale medio bassa, stampa di moneta per finanziarizzare i debiti, alte disuguaglianze. Da sottolineare che lo studio comprende anche la Germania come paese singolo collocandolo al quarto posto dopo l’Eurozona e prima del Giappone.

Ciò premesso, non concordo del tutto con Ray Dalio, in particolare perché sottovaluta l’India non considerando i progressi  straordinari deli ultimi anni e per contro, attribuisce il terzo livello all’Europa con una classifica che è però basata sulla sommatoria dei vari paesi che non rappresentano una unità politica, né economica né militare. Inoltre l’Europa si può considerare parte integrante dell’impero americano, dal quale non si distingue sui grandi temi internazionali anche come conseguenza della comune appartenenza alla NATO.

Credo appaia chiaro che in prospettiva si configura un mondo tripolare con Stati Uniti Cina e India; i primi due in competizione diretta fin da ora; per l’India il problema della competizione è un po’ più a lungo termine.

A questo punto ricordo l’affermazione di Paul Kennedy: “Nessuna nazione può aspettarsi di rimanere per sempre leader”, che io vorrei collegare con quella scritta dal geopolitico Manlio Graziano: “Non è mai successo che nel lungo periodo le tensioni tra una potenza dominante ma in declino e una potenza emergente e in espansione si siano risolte con la decisione volontaria di una delle due  di farsi da parte, cioè la potenza dominante farà di tutto per continuare ad esserlo”. E la prova è costituita dal fatto che la competizione fra le due potenze è totale, abbraccia tutti i campi della ricerca e della tecnologia più sofisticate, dall’intelligenza artificiale ai computer quantistici, ai sistemi d’arma autonomi con possibilità di evolversi, che costituiscono applicazione di intelligenza quantistica.

Che cosa ci aspetta allora?

Ci aspetta un’ aspra contesa fra Cina e Stati Uniti che, per altro, è iniziata già da molto tempo. Ricordiamo, infatti, che gli Stati Uniti parteciparono attivamente, anche con sostegni economici, alla lotta fra i nazionalisti guidati da Chang Kai-Shek ed i comunisti di Mao Zedong, che vinse e nell’ottobre del 1949 proclamò la Repubblica popolare Cinese.

L’obiettivo statunitense era diverso e puntava alla nascita di un paese “anticomunista e cooperativo”. Non fu così e la politica americana reagì con il mancato riconoscimento della nuova Cina e con i continui provvedimenti e tentativi per fiaccare l’economia del gigante asiatico.

Poi, la politica cambiò con il riconoscimento avvenuto il primo gennaio del 1979, quando gli Stati Uniti scelsero Pechino e non Taipei e dai primi anni ottanta, l’America ha stretto un patto con la Cina che ha concesso al capitalismo americano di accedere ad un enorme bacino di manodopera senza diritti e a basso costo e al più promettente mercato del pianeta. In cambio ha però dovuto condividere la gestione delle imprese attraverso innumerevoli joint-venture, mezzo di una facile acquisizione (spionaggio secondo gli Usa) di conoscenze tecnologiche e di mercato. La Cina ha così creato, con grande abilità e spirito profondamente confuciano, un mastodontico sistema produttivo dal quale nessuno sulla terra può prescindere e che co-determina le sorti del capitalismo in modo conflittuale, ma senza timori reverenziali.

Inoltre la Cina è riuscita a controllare un processo di digitalizzazione diffusissimo e capillare inserendolo nel più generale piano di innovazione del paese che oggi si configura come una tecno potenza mondiale. “We chat, il mondo dei dati è il nuovo petrolio per la Cina!”, senza non si può fare granché, con si fa tutto: messaggi, navigazione, matrimoni, divorzi, dichiarazione dei redditi, pagamenti di qualunque cosa, anche di una banana dal fruttivendolo. Tik-Tok insidia gli Stati Uniti nello spazio digitale promuovendo contenuti che presentano quello Usa come uno stile di vita negativo, consumistico e individualista, influenzando il malcontento popolare. I giovani americani seguono Tik-Tok e molto meno la politica. Recentemente si è avuta notizia che una cordata Usa guidata da un politico amico di Trump, intende rilevare Tik-Tok dopo l’approvazione da parte del Congresso di una proposta di legge che ne ordinerebbe la cessione da parte della casa madre cinese. La Cina ha risposto protestando ed appellandosi al libero mercato!

I grandi brand internazionali guardano a ciò che fa la Cina e apprezzano i mille progetti di realizzazione di smart cites. Non a caso la via della seta digitale è entrata a far parte della nuova via della seta “Belt and Rod initiative BRI”  con l’obbiettivo di migliorare le reti di comunicazione, le capacità di intelligenza artificiale e in generale lo sviluppo delle città intelligenti.

Molti paesi hanno già firmato accordi di investimento collegati al progetto. Secondo un report di qualche tempo fa circa un terzo dei 138 paesi che hanno partecipato alla BRI, hanno dato via libera a progetti in ambito Digital Silk Road (DSR).

Insomma, ancorché criticate e ostacolate con tutti i mezzi dagli Stati Uniti, le due vie della seta, che interessano un’area enorme praticamente in tutti i continenti, costituiscono un aspetto fondamentale della politica estera cinese e della sua eccezionale espansione, in tutti i campi.

È notizia recente (11 aprile) di programmi di costruzione di una enorme flotta di navi per lo sbarco di automobili in Europa.

È attualmente in corso il “progetto del millennio” ovvero “la Città del futuro” a Xiong’an, distante 100 kilometri a sud della capitale, dove si sono già trasferite molte aziende di stato che hanno aperto più di 200 filiali. La città delle meraviglie, tutta automatizzata, sarà pronta nel 2035 e diventerà l’appendice ultramoderna che alleggerirà la pressione sulla metropoli di Pechino.

Quanto agli Stati Uniti, dopo la fine della globalizzazione, fenomeno tipico del capitalismo di mercato, che ha più giovato alla Cina che all’America, come abbiamo già detto, siamo in presenza di chiari sintomi di declino, che però verosimilmente non sarà breve e porterà con sé tensioni e disordine.

E ciò è tanto più pericoloso oggi e a medio termine in un contesto globale con centinaia di conflitti, un folle riarmo generalizzato, risentimento crescente e odio, crollo del ruolo e della fiducia nelle istituzioni sovrannazionali a partire dall’ONU. Oggi, parlare di pace, cercare il negoziato e il dialogo non appare frutto di lungimirante intelligenza, ma di codardia: il cavaliere apocalittico è sempre più in azione e la narrazione di un occidente senza colpe è fallace.

Nel 2023 gli investimenti globali in armamenti hanno sfiorato il record di 2.500miliardi di dollari ed i programmi dei paesi del solo G7 superano largamente i 1.000miliardi all’anno per il prossimo quinquennio.

Come si è arrivati alla forza egemone statunitense?

Nel 1913, prima delle due ultime guerre mondiali, il prodotto interno degli Usa era poco più della metà di quello dell’Europa occidentale (per l’esattezza 517 miliardi di dollari rispetto a 902). Ma nel 1950 è venuto il sorpasso (1.456 contro 1.396), ancora più vistoso in termini di prodotto pro-capite e gli Usa erano già nella fase di ascesa verso l’egemonia del mondo, fase già confermata ed ostentata in modo drammatico con il lancio dei due ordigni nucleari sul Giappone il 6 e il 9 agosto 1945, con la presidenza Truman, a cinica dimostrazione della sua potenza militare.

L’Europa, grazie agli esiti della seconda guerra mondiale e al piano Marshall, di cui ha largamente beneficiato, è divenuta in pratica la prima alleata degli Usa, tenuta sempre in massima considerazione, senza tuttavia fare a meno di indebolirla ad esempio con la propria contrarietà alla costituzione della CECA, del Mercato Comune e della UE e soprattutto dei suoi trattati. Particolarmente insistente l’opposizione al trattato di Maastricht che ha introdotto l’euro. D’altra parte l’uscita di Londra dall’Unione Europea è stata voluta e sostenuta da Washington. Aveva ragione Kissinger ad affermare che: “E’ pericoloso essere nemici dell’America, ma addirittura fatale esserle amici”.

È utile ricordare che tra il 1941 e il 1991 Washington e Mosca collaborarono nella giusta vittoria contro la Germania e, successivamente, nel fiaccare il potere imperiale britannico, nonché nel mantenere l’Europa divisa per mezzo secolo ( e di fatto unita non lo è neanche oggi).

La rappresentazione di America e Russia come ultra nemici impedì di rendersi conto delle motivazioni geopolitiche dei due paesi che arrivano fino a pochi anni fa e offusca l’analisi dello sfaldamento dell’ordine deciso a Yalta dai due veri vincitori.

La caduta del muro di Berlino e la sorprendente, (anche per gli stessi Usa), quasi incredibile dissoluzione dell’Unione Sovietica, è stata presentata come una vittoria del mondo libero e buono e della democrazia contro la tirannia e l’inizio di un mondo di pace.

Non è stato così. L’impero Usa anche attraverso la Nato ha continuato a comportarsi da potenza egemone. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica venne disciolto il patto di Varsavia, ma non si dissolse la Nato, tutt’altro. I dirigenti della nuova federazione russa, di fronte alle prime avvisaglie del suo declino, avevano chiesto assicurazioni che vennero dati in via informale come attesta la storica frase pronunciata dal segretario di stato James Baker, il 9 febbraio 1990, in un incontro con l’ingenuo e anche superficiale Mikhail Gorbachev: “La Nato non si sposterà ad est neanche di un pollice dalla Germania”. Ma in realtà la Russia è stata via via contornata da 16 paesi, inclusi Finlandia e Svezia su 32 complessivi della Nato, creando così le premesse per la tragica e proterva aggressione dell’Ucraina, proprio perché a sua volta aveva richiesto di entrare.

Ogni tentativo di accordo è fallito, anche quando sembrava che la stessa Ucraina avesse manifestato l’intenzione di accettare il negoziato, prima di essere dissuasa dal primo ministro britannico d’intesa con gli Usa. Oggi, Stati Uniti ed Europa sono in armi, a parole per difendere un paese aggredito, in realtà per fiaccare la Russia. E questi stessi paesi Nato non hanno mosso un dito a sostegno di altri popoli aggrediti e, ancora peggio, hanno venduto e vendono armi agli aggressori.

Oggi l’Impero statunitense investe somme enormi sulle armi (860miliardi pari al 35% della spesa globale) e ne è il principale esportatore, ha 703 basi militari nel mondo in 43 stati esteri e in territori d’oltre mare. È la più grande potenza militare e assieme alla Nato ha condotto dal 1953 almeno 13 guerre illegali, per alcune delle quali avrebbero dovuto rispondere alla Corte internazionale di Giustizia.

Con il collasso del blocco sovietico, inizia la cosiddetta “era unipolare americana” che porta all’impero e successivamente al progetto per un “nuovo secolo americano”. All’interno dell’amministrazione Bush non si aspettava che l’occasione per mettere in pratica la nuova strategia alla cui messa appunto lavoravano da tempo.

L’occupazione dell’Iraq, guerra illegale basata su confessate menzogne di Bush e Blair, anziché inaugurare il nuovo secolo americano ha messo a repentaglio la credibilità degli Stati Uniti e della sua valuta ed ha rafforzato la tendenza della Cina a proporsi come alternativa al ruolo di paese guida, prima in oriente poi nel mondo.

Il governo degli Stati Uniti reagisce alla fase di declino con il protezionismo e il sanzionismo, malattie senili del capitalismo. Studiosi statunitensi affermano che i cittadini americani non morirebbero né per l’Ucraina né per Taiwan in quanto non si riconoscono più nella loro élite. Uno studio dell’università di Princeton reso noto dalla BBC, afferma che gli Usa sono sostanzialmente una oligarchia non più una democrazia, perché “sono dominati da una élite ricchissima e potente e pochi super ricchi condizionano la politica.

Dello stesso parere Jimmy  Carter, candidato premier Usa, il quale in relazione al proibitivo costo della campagna elettorale disse: “Ormai siamo diventati una oligarchia e questo credo sia il danno peggiore per gli standard etici e morali del nostro sistema politico”.

Martin Luther King affermò che “Il potere tende a corrompere e il potere assoluto lo fa in modo assoluto. La nostra arroganza internazionale può diventare la nostra rovina”. Sappiamo come è finita la sua vita.

Il fatto è che oggi i cittadini non si mobilitano più per le sfide internazionali, solo il 12% di essi pensa di abitare nel più “grande paese della terra”, per il 50% è uno dei paesi più grandi ed il 27% ritiene che altri paesi siano migliori. Dal 2013 al 2021 è diminuita dal 64% al 44% la quota di coloro che ritengono che Dio abbia assegnato agli Usa una responsabilità speciale nella storia dell’umanità e aumentano coloro che chiedono meno spese per gli impegni militari internazionali e più spese a sfondo sociale (sanità e welfare). Gli arruolamenti militari più recenti hanno mancato l’obiettivo quantitativo del 25%.

In sintesi, la pedagogia imperiale non sta al momento funzionando e difficilmente il sentimento egemonico tornerà popolare tenuto anche conto dell’aumento dell’ingiustizia, delle disuguaglianze e delle diffuse sacche di povertà.

Mi accingo a concludere.

È impossibile dire oggi se, come e quando finirà la competizione Usa-Cina, ma tenendo presente lo status dei due paesi, il primo di potenza egemone in declino e il secondo di preminente potenza emergente in crescita, è difficile pensare al ritiro volontario di una delle due parti. Ricordiamo in proposito la cosiddetta trappola di Tucidide che portò, secondo lo storico, alla guerra fra Atene e Sparta. Guerra interminabile per l’egemonia, conclusasi con il declassamento di entrambe a potenze secondarie. Altrettanto da escludere, a meno di una inevitabile distruzione del pianeta, sarebbe una guerra fra le principali due potenze militari, alla luce del veloce e potente armamento della Cina anche in campo nucleare.

Più verosimile, e soprattutto auspicabile, appare un accordo fra le due realtà nel reciproco interesse, vale a dire una forma di G2 almeno con l’obiettivo di prendere tempo, frenare il disordine mondiale e sforzarsi nella ricerca di un nuovo ordine stabile. In questo caso si avrebbe, come dicono gli esperti di geopolitica meno pessimisti, una “Grande Tregua” sostenuta dagli altri paesi volenti o nolenti in nome della ferrea logica della sopravvivenza.

Interessante in merito l’incontro tenutosi a Pechino il sei aprile scorso fra Janet Yellen, segretario al tesoro degli Usa e Li Quang primo ministro della Cina. Al termine la Yellen ha dichiarato che, nonostante ci sia ancora molto lavoro da fare, nell’ultimo anno sono state poste le basi più solide per relazioni bilaterali fra i due paesi. Ha sottolineato l’importanza di affrontare le differenze, di avere colloqui in modo aperto e diretto, evidenziando che, essendo le due maggiori economie mondiali, è fondamentale gestire responsabilmente le complesse relazioni e cooperare nelle sfide globali.

Parole sagge, ma per completezza, devo ricordare che proprio lo stesso giorno sono iniziate le esercitazioni militari congiunte di Stati Uniti, Giappone e Filippine nel mar cinese meridionale e contemporaneamente, guarda caso, quelle cinesi, nella stessa area marittima, con le seguenti dichiarazioni: “Tutte le attività che disturbano la stabilità del mar cinese meridionale sono sotto controllo”. Evidente il riferimento a Taiwan.

A proposito di grande tregua, altre realtà potranno favorire e sostenere soluzioni accettabili in funzione delle loro condizioni economiche e politiche del futuro. Fra queste realtà è logico e ragionevole includere la Russia, in ogni caso a fianco della Cina, anche per colpe vecchie e nuove dell’Europa. Ricordo che le proiezioni di Goldman Sachs al 2050, la collocano al decimo posto fra le grandi potenze internazionali, (ma al secondo come armamento nucleare) e ancora al tredicesimo nel 2075. I rapporti con la Cina, già molto stretti oggi, è prevedibile che si consolidino ulteriormente anche perché la Russia è in condizione di far fronte al fabbisogno cinese di uranio per i programmi di sviluppo della sua potenza nucleare dalle circa 400 testate odierne a 1000. Molto dipenderà anche da come evolverà e quale ruolo potrà avere in futuro, il nuovo “Blocco” dei paesi associati nei “BRICS” che da 5 sono aumentati, il primo gennaio scorso, a 11 e altri 7 sono interessati all’ingresso. Gli obiettivi sono ambiziosi e il peso economico significativo (46% della popolazione e 35% del PIL nel 2022), ma non sembra sussista al momento la necessaria uniformità di vedute se non nel cercare di depotenziare il dollaro come moneta di riserva e di riferimento per i traffici internazionali.

E veniamo all’Europa.

L’economista e medico francese Francois Quesnay (1694-1774), divenne famoso per essere il medico della Pompadour (amante del re) e poi, di conseguenza, anche di Luigi XV. Ma egli vedeva lontano anche in politica e disse: “L’impero cinese rappresenta oggi ciò che l’Europa sarebbe potuta diventare se i suoi stati fossero riuniti sotto un unico sovrano”. Ecco il punto fondamentale che vale purtroppo anche attualmente.

Nello scenario geopolitico odierno e purtroppo in quello futuro, come abbiamo già ripetuto, è assente l’Europa, la grande incompiuta. Il tentativo di coordinare gli interessi di più paesi e i numerosi trattati che si sono susseguiti, può dirsi veramente riuscito, pur con tutti i limiti, solo con la creazione dell’euro e con il lancio del programma Next Generation Ue (PNRR) post Covid, grazie anche al ruolo fondamentale svolta dall’Italia, ruolo che recentemente un commissario geloso ha trasformato in un algoritmo.

Ma in realtà nessuno dei 27 paesi facenti parte dell’Unione ha rinunciato a perseguire prima di tutto i propri obiettivi e a cercare alleanze occasionali per poter ottenere più vantaggi. Gli incontri bilaterali o trilaterali che si verificano anche in vista di vertici già fissati, lo dimostrano chiaramente.

Inoltre e soprattutto, l’Europa non svolge un ruolo attivo autonomo sullo scenario internazionale perché di fatto è parte silente dell’impero americano e non esiste purtroppo alcuna dialettica che non sia funzionale al volere di Washington certamente non interessato ad una  unione come soggetto politico indipendente. Gli esempi sulle tristi vicende delle guerre Russia-Ucraina e Israele-Hamas sono attuali ed evidenti. Eppure una dialettica costruttiva potrebbe rivelarsi utile anche per gli stessi Stati Uniti afflitti, fra l’altro,  da gravissimi problemi di tipo politico per l’evidente carenza di leader adeguati ai compiti da svolgere.

Parag Khanna, grande economista e scrittore, ancora nel 2009, sperava in una Europa diversa  nella sua opera “I tre imperi”, dicendo, “questo non è un libro scritto solo per gli americani, il compito di adattare gli Usa a un mondo di superpotenze multiple…è troppo importante per essere lasciato solo a Washington”.

Oggi verrebbe da chiedersi se questa debolezza europea non sia riconducibile anche all’incapacità dei vertici istituzionali ed in particolare alla loro mancanza di visione e di coraggio, qualità che invece ebbero i fondatori con i primi due trattati. È triste vedere oggi all’opera la Presidente della Commissione, carrierista scatenata che non conosce la parola pace e predica il riarmo, che svende valori e principi europei e ne forza le stesse regole per ottenere il consenso per la sua riconferma.

La corsa all’armamento dell’Europa comporta realisticamente anche una nuova fase di austerità che sarà pagata, come sempre, dai più deboli. Nell’Europa della Von Der Leyen e della sua Commissione c’è più disuguaglianza, più povertà, più ingiustizia e attraverso i suoi sciagurati “memorandum” con i paesi nord africani, fornisce soldi bus e fuoristrada per deportare immigrati sub sahariani nel deserto come veri scarti umani!

Ci sarà un futuro migliore per l’Europa?

Credo che a questa e a tutte le domande che possiamo porci a conclusione della conferenza, ognuno di noi potrebbe dare risposte diverse o non rispondere affatto per l’oggettiva incertezza degli scenari caratterizzati più dal caos che dall’ordine.

Personalmente sognerei una Europa indipendente e unita con una diversa e democratica Russia inclusa, che non si affidi all’ideologia liberista e a nessuna ideologia e che sia nelle condizioni di svolgere con efficacia un ruolo internazionale attivo anche mediando fra gli emergenti di Asia e Africa e gli stessi Stati Uniti: ma sono sogni!

E sono certo che tutti vorremmo un mondo diverso, un mondo in cui pace e solidarietà fossero considerati obiettivi prioritari e irrinunciabili.

A trecento anni dalla nascita, viene a proposito ricordare in conclusione Immanuel Kant, il filosofo più importante della modernità europea. Egli definì i principi del diritto pubblico internazionale e cosmopolita per un mondo che deve adattarsi alla ragione e non alla guerra. “La situazione di pace è l’accadere della concordia dalla discordia, cioè un’alleanza pacifica ben diversa dall’emergere di ogni possibile superstato con quiete funebre”.

Aldo Sorci

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  1. GANSER – “Le Guerre illegali della Nato”, Fazi, 2022

G.GABELLINI – “Dedollarizzazione”, Diarkos, 2023

  1. RUGERMER – “Capitalisti del XXI secolo”, Castelvecchi, 2021
  2. GRAZIANO – “Disordine mondiale”, Mondadori, 2024
  3. ARRIGHI – “Il lungo XX secolo”, Feltrinelli 1996; “Adam Smith a Pechino”, Mimesis, 2007
  4. S. REINERT – “Come pochi paesi sono diventati ricchi e perché gli altri rimangono poveri”, Castelvecchi, 2023

R.BODEI – “Dominio e Sottomissione”, Il Mulino, 2019

F.TUTINO – “Dalla parte del debito. Finanza globale e diseguaglianze sociali”, Rubettino, 2023

P.GRUGMAN – “La deriva americana”, Laterza, 2024

PARAG KHANNA – “I tre imperi”, Fazi,2009