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Rassegna. Marco Caprai: le nuove sfide per i vini dell`Umbria

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GIORNALE DELL’UMBRIA di Gianluigi Basilietti

Intervista a Marco Caprai: le nuove sfide per i vini dell`Umbria

Tra i 21 personaggi che all’interno del Padiglione Italia di Expo 2015 sono stati scelti per raccontare le proprie storie di professionalità applicata nelle arti e nella manualità, trovando sempre soluzioni nel fare impresa, c’è anche il Signore del Sagrantino: Marco Caprai.

Un orgoglio dell’enologia italiana e soprattutto un orgoglio per tutta l’Umbria che a Milano sta cercando in questi mesi di mettersi m mostra agli occhi del mondo. Marco Caprai, con la sua storia e con il suo modo di intendere l’agricoltura e l’enologia, improntato sempre sui valori della sostenibilità, è senza ombra di dubbio un ambasciatore perfetto per rappresentare la regione e il Belpaese.

La statuetta che lo raffigura all’interno del Padiglione Italia sa di Oscar, in questo caso del vino e nello specifico di quel Sagrantino che, partendo da Montefalco, è riuscito a conquistare i mercati di mezzo mondo.

Marco Caprai, cosa significa rappresentare l’Italia che sa fare impresa a Expo?

«È un riconoscimento straordinario che parte da molto lontano. Un riconoscimento al nostro Sagrantino, al nostro modo di intendere l’impresa, alla ricerca, costante e continua che quotidianamente facciamo per migliorarci sempre più. Essere stato scelto a Expo per raccontare un pezzo del nostro Paese che lavora è un grande motivo di orgoglio e di soddisfazione».

Cosa è Expo?

«E una incredibile occasione per noi italiani. E quando parlo di occasione lo faccio a 360 gradi, intanto è un ‘ occasione unica per capire quanto è complesso il mondo dell’alimentazione. E l’Italia è stata bravissima a scegliere questo tema che, per altro, in tutte le altre edizioni di Expo non era mai stato trattato. Quello del cibo è un argomento fortemente rappresentativo del nostro Paese. Capace di mettere al centro alcune peculiarità legate alla produzione e all’alimentazione, come ad esempio la conoscenza di questa materia. Ecco, Expo può davvero rappresentare una svolta epocale nel mondo della sostenibilità alimentare».

Cosa resterà dopo che l’esposizione universale chiuderà i battenti a ottobre?

«Il lascito di Expo sono sicuro che sarà importante, intanto maggiore consapevolezza e spero, soprattutto, che ci lasci in eredità un’idea diversa di lavoro. Vede, suona davvero male che proprio durante questo grande evento, in Italia si muore an- cora di lavoro sui campi (il riferimento è alla tragedia che si è consumata in Puglia, ndr). Tutti dobbiamo, in qualche maniera, misurare il lavoro e creare le giuste condizioni perché il lavoro in agricoltura sia non solo remunerativo, ma dignitoso, sia per chi fa impresa, sia per chi sui campi ci mette forza, dedizione e sudore».

Cosa è l’agricoltura oggi, in particolare in Umbria?

«Cominciamo col dire che l’agricoltura di oggi non è più quella di venti anni fa. E chi oggi pensa di interpretarla come allora fa un grande errore che si traduce in uno spreco di energia e di denaro. Oggi l’agricoltura è innovazione, conoscenza e le aziende devono essere in grado di ottimizzare la loro capacità di produzione e soprattutto devono mettere nelle condizioni migliori possibili i lavoratori. Solo così si può pensare di affrontare le grandi sfide che i mercati intemazionali ogni giorno ci richiedono. Se poi pensiamo alla nostra Umbria, allora il discorso è ancora più valido, viste le dimensioni di questa regione, i cui confini sono piccoli. Fare agricoltura in Umbria significa per forza raccogliere la sfida dei mercati mondiali».

Quindi la strada da percorrere pare di capire che sia quella della qualità.

«Assolutamente sì, applicata a ogni ambito a cominciare dalla formazione del dipendente che andrà a lavorare nei campi. Ma al tempo ste

sso gli imprenditori dovranno adoperarsi per mettere i propri lavoratori nelle migliori condizioni possibili per meglio esprimersi. Su tut to penso all’occupazione stabile. Poi c’è un passaggio fondamentale per andare verso l’agricoltura del futuro».

E quale sarebbe?

«L’aggregazione delle aziende».

Giusto, ma forse improbabile viste le gelosie tra imprenditori.

«Credo, invece, che sia possibile andare verso l’aggregazione di aziende, in modo da crearne delle grandi che siano capaci di competeré su certi mercati. E penso che sia possibile per due ordini di motivi. Il primo, perché sta maturando una generazione di imprenditori agricoli più matura e capace di leggere come va il mondo, il secondo motivo è una conseguenza della crisi che abbiamo vissuto e che in parte stiamo ancora attraversando. La crisi economica di questi anni alcune cose l’ha imposte e le imporrà ancora e così anche gli imprenditori più restii ad affrontare certi passaggi, dovranno accettarli. Certo, quindici anni fa, quando le cose andavano a gonfie vele, era più complicato proporre a due aziende di unirsi, tanto ognuno era in grado di trarre i profitti che si era prefissato».

Torniamo a Expo Milano, lei pensa che l’Umbria si sia presentata al massimo delle sue potenzialità?

«Di sicuro c’è stata tanta buona volontà, ma l’Umbria, come l’Italia, si è presentata a questo appuntamento un po’ impreparata. Come è possibile che un Paese moderno come il nostro debba arrivare a un evento così importante all’ultimo tuffo? Se ci fossimo preparati meglio di sicuro avremmo potuto be neficiarne ancora di più di questo Expo. E poi, a mio avviso, c’è stato anche un altro problema e mi riferisco al fatto che non tutti hanno capito da subito cose fosse realmente Expo».

Ancora pochi giorni e poi sarà tempo di vendemmia, che annata ci dobbiamo attendere e soprattutto quale sarà il futuro del vino umbro?

«Partendo dal futuro per il nostro vino, credo che sia giunto il momento di ripensare alla riorganizzazione delle doc. È necessario un cambio di passo che porti sotto un unico marchio i vini di questa regione e quel marchio deve chiamarsi Umbria. Abbiamo bisogno di essere riconosciuti per la nostra territorialità e in questo la Toscana insegna. Quello che abbiamo fatto a Montefalco lo dobbiamo fare per tutta l’Umbria. Quando si dice Montefalco nel mondo si pensa sì al Sagrantino, ma anche al Rosso di Montefalco e quindi si pensa a una terra capace di regalare grandi vini. Un po’ c’è riuscito l’Orvietano a fare questo, ma non è sufficiente. Per creare un vero brand Umbria servono diverse cose, una su tutte fare una giusta promozione. Promuovere il vino significa per l’Umbria promuovere l’intera regione e a sua volta significa catturare turisti da tutto il mondo. E quando si destinano risorse all’agricoltura lo si deve fare anche con l’intento di destinare una parte dei fondi proprio alla promozione e valorizzazione del settore. Che vendemmia sarà? Se il tempo ci assiste sarà una buonissima annata».