Una volta si chiamavano presidenti di regione, ora vengono chiamati pomposamente e all’americana, “Governatori”. Già questo la dice lunga sulla crisi delle regioni. Nate per riformare lo stato, lo hanno moltiplicato, dovevano semplificare la pubblica amministrazione e hanno fatto dilagare la burocrazia, dovevano avvicinare il cittadino al governo e hanno creato decine di enti e agenzie inutili, dovevano rendere efficiente la spesa pubblica e l’hanno aumentata, messa fuori controllo e a disposizione, spesso, anche della corruzione.. Finalmente dopo risultati come quelli delle ultime regionali in Emilia,dove ha votato meno della metà degli elettori, che è stata una vera e propria campana a morto per il regionalismo, nella casa di quello che è stato definito da sempre tra i più virtuosi, qualcosa comincia a muoversi e se ancora non sono maturi i tempi per la loro abolizione si incomincia a parlare della loro riduzione. A farlo non sono uscite estemporanee di qualche studioso o la giusta rivolta dei cittadini esasperati, , ma due fra i maggiori presidenti di regione del PD, Lazio e Piemonte, Zingaretti e Chiamparino.
In Umbria, ci si rinserra nel fortino della conservazione , si comprano i viveri e si prova a resistere all’assedio del cambiamento. L’atteggiamento dovrebbe essere esattamente il contrario. Capire quale potrebbe essere la nuova tappa del cambiamento necessario, farne una bandiera e trovare il massimo delle utilità in un processo irreversibile. E perché no, come garantire quel poco di buono che magari si è anche fatto.
Non è giusto fare di ogni erba un fascio, ma è altrettanto ingiusto continuare come se niente fosse successo.
Questi temi continueranno ad essere presenti e stimolati nelle nostre colonne. Qui di seguito riportiamo alcuni articoli apparsi in questi giorni sulla stampa locale e quella nazionale. ( g.f)
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