Dal Corriere dell’Umbria di Rita Boini
Panicale. Questa è la storia di un luogo di devozione, capolavoro d’architettura e arte, scrigno di memoria storica e meta di un ininterrotto, silenzioso, continuo pellegrinaggio di fedeli che arrivano numerosi da Umbria e Toscana, da altri luoghi d’Italia, dall’estero. Il santuario di Mongiovino è tutto questo e anche e luogo d’interesse per esperti d’arte locali e di livello internazionale. Il santuario, capolavoro architettonico del Rinascimento, vigila sulla pianura e sugli altri colli. Questo era il ruolo del santuario, la cui costruzione iniziò nel 1513, di essere un luogo della Fede al centro un ampio territorio tra Umbria e Toscana, sull’asse viario Perugia – Chiusi e tra strade d’altura, vie all’epoca di normale comunicazione per viandanti, mercanti e pellegrini tra le due regioni dell’Italia centrale. La Madonna qui, racconta la leggenda, parlò alla pastorella Andreana e intomo alla prima edicola sacra nacque il santuario, che fu subito al centro dei flussi religiosi della vallata, della profonda devozione popolare come dei pellegrinaggi dei reti sociali più abbienti e dell’aristocrazia. Da Pasqua e per tutto il mese di maggio arrivavano cardinali, vescovi, duchi, intere nobili famiglie, come i Borgia, i marchesi di Sorbello, i Della Corgna.
Proprio per questo un tempo le celebrazioni religiose a Mongiovino erano all’insegna dello sfarzo, con paramenti sacri di grandissimo pregio e capolavori d’oreficeria e argenteria, dono dei ricchi pellegrini, ora patrimo nio culturale, e non solo, del santuario. M a dal Cinquecento fino agli anni della seconda guerra mondiale incessante era anche il fluire delle processioni che si arrampicavano sulla collina, ben 69, da paesi dell’Umbria e della Toscana: Fabro, Sant’Enea, Parrano, Spello, Marsciano, tanto per fare qualche nome, e tanti altri ancora. Di questi pellegrinaggi ne è rimasto solo uno, da Castiglione della Valle, nel Marsdanese, la seconda domenica di maggio. Annalisa Bigazzi nel suo studio dedicato alla processione racconta come il proprietario terriero Girolamo Vibiani, nei primi tempi del santuario, partì da Montevibiano a piedi con moglie, figli e nipoti e porta in dono un calice, ancora oggi custodito nel santuario. Da allora la processione da Castiglione della Valle a Mongiovino non si è mai interrotta, se non un anno. Giovanni Brustenghi, diacono a Castiglione della Valle, racconta che fino agli anni ’60 le persone in processione erano più di cento, ora sono una trentina. Ma il ritrovo dei compaesani è ben più forte, in tanti arrivano in macchina e si aggiungono a 400 metri dal santuario, alla meta sono almeno in 500. Non manca la tappa allìncrodo della Pievaiola, dove un paio di famiglie, per antica tradizione, offrono un ristoro con tozzetti e vin santo. Un tempo si portava via il pranzo, coniglio arrosto e carciofi fritti da consumare sotto gli olivi vicino alla chiesa, dopo la messa. Uguale è fl rituale, che vede l’ingresso dalla porta sul retro, per uscire dalla principale, per tré volte prima di fermarsi in chiesa. La processione segue un percorso di 12 chilometri, con canti e preghiere. Un anno per gravi motivi, non si fece, e quell’anno caddero, raccontano, “chicchi di grandine grossi come mandarini”. Ma degli altri 68 pellegrinaggi è rimasta la devozione della gente, che arriva in gruppi familiari, o organizzati, intere parrocchie in bus , e l’attaccamento fedele della gente della valle e del Trasimeno. Del santuario si occupano la Confraternita della Buona morte e la Confraternita del Santissimo Sacramento, e dei custodi che spontaneamente se ne prendono cura, come Iva Jaconi e Mauro Valmarini, che ne rac- contano le storie, accolgono i pellegrini e ne curano le feste, da quella grandiosa il lunedì di Pasqua alla festa di San Giorgio, il 23 aprile, ai tanti appuntamenti del mese mañano, in maggio. La festa di San Giorgio è legata alla moltiplicazione dei pani, che, raccontano, ci fu nell’aprile 1513: mentre gli operai lavoravano alla ripulitura dell’edicola sacra con l’immagine della Madonna, i pani per i loro pasti si moltiplicavano in continuazione e i cinque sacchi a loro disposizione, erano sempre pieni.
Ancora oggi vi è una distribuzione rituale di pani benedetti, che i molti devoti tengono tutto l’anno ben custoditi, per il loro potere di proteggere dai pericoli della natura e da tanti altri mali. La vita nel santuario è dopo più di 500 anni più viva che mai, tra folle silenziose di fedeli e gente di cultura, e studi d’ogni genere, ultimi in ordine di tempo quelli della Sovrintendenza archivistica che ne ha indagato i documenti, con scoperte straordinarie e di Vittorio Sgarbi, che dell’arte del santuario è grande estimatore. Mauro, forte del diploma di capomastro preso all’istituto d’arte, nota i lavori di ristrutturazione e i restauri di cui necessita parte del complesso, sperando in un miracolo, divino o umano che sia. Grande devozione Tante le processioni ma anche molti i riti religiosi che nel corso dell’anno portano grandi folle spinte da spirito religioso, memoria della tradizione o motivi di carattere puramente culturale -tit_org- Panicale – Mongiovino e la grande fede di potenti e gente del popolo