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Cose scritte fra noi. “La punizione”

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Al tempo di questa storia i bambini non andavano a scuola all’oratorio oppure in palestra. Infatti i tre fratellini non avevano la possibilità di frequentare altri bambini per giocare. Giocavano con la fantasia. Inventavano giochi e giocattoli.

La loro casa era circondata da superbi boschi e campi così le giornate trascorrevano sì nelle meraviglie della natura ma anche sotto le molli e tediose ali della solitudine. Per fortuna erano in tre e per fortuna c’era la nonna. Con i suoi capelli candidi raggruppati dietro alla nuca e i suoi occhialini tondi che con impertinenza scivolavano fino alla punta del naso e che lei caparbia , paziente spingeva su con l’indice tutte le volte che non li sentiva al proprio pasto.

I genitori di Valerio, Matilde e Pietro, questi erano i nomi dei tre fratellini, restavano nei campi tutto il giorno. Dio sa quanto lavoro era necessario affinché dalla terra si ricavasse di che sfamare sei bocche. Ma dicevamo, per fortuna erano in tre e c’era la nonna. In effetti proprio per questa condizione i bimbi si inventavano innumerevoli trastulli e la nonna con i suoi racconti, veri o inventati, alimentava l’immaginazione dei tre fanciulli. Ma poi per la nonna, saggiamente, tutto era un gioco sì, per coinvolgere i nipotini nella quotidianità. Questo li faceva sentire meno soli. Perciò  si era inventata il gioco della cucina, il gioco delle pulizie, il gioco del filare la lana…Quel gioco della lana era il più magico: da dove nasceva il filo? Scorreva lungo l’indice e il pollice e diventava un gomitolo…mentre l’anziana donna perdeva lo sguardo dietro i ricordi della ragazza che era stata.

“Ma dov’era la nonna?” si chiedevano i bambini in quel pomeriggio di agosto. Ma la nonna era chissà dove. Meglio organizzarsi da soli per qualche gioco. Non ci volle molto. Anzi pensarono ad un gioco nuovo. Andarono in cucina, spinsero una sedia fino alla madia, Valerio montò su e staccò un pezzo di pasta dal  pane che stava tranquillo a lievitare. Con quella massa appiccicaticcia, Valerio e Matilde cominciarono a creare delle forme. Le guardarono, risero, se le tirarono: che divertimento!

Pietro, il più piccolino, non era capace di creare vere forme con la pasta, la rigirava, la scagliava per terra poi, prese diletto ad allungarla prendendone un po’ con gli indici e i pollici e distanziando poi le mani. Appena i fratelli lo notarono: “guarda Pietro!” esclamarono l’uno all’altra all’unisono. E già, Pietro filava la pasta come la nonna faceva con la lana. Dopo un po’ tutti e tre presero a formare quella sorta di cordicelle. Valerio ritornò in cucina e prese ancora un pezzetto di pasta di pane, raggiunse i fratellini e giù altri fili…e quante risate! Matilde li arrotolava intorno al collo come fossero una collana, Pietro li allungava e alzando il braccio li roteava nell’aria…e di nuovo risate.

Ma ecco il chiavistello del portone si destò con il suo scatto metallico. Ecco dov’era la nonna! Era insieme ai genitori dei tre marmocchi. “Ma che cosa state combinando?” urlò subito la mamma. “Che sono questi fili? Avrete mica preso la pasta del pane?” aggiunse. “Non si può sciupare così la roba da mangiare” si affrettò a puntualizzare il babbo. E continuò: “Ora cosa ci si fa con questa roba?” “Quello che hanno combinato, sarà la loro cena” intervenne la nonna “così imparano a sciupare il pane che è grazia di Dio”. Le pagnotte furono messe in forno e non trovando altro sistema, quella pasta filiforme fu cotta nell’acqua, fu lessata.

I bambini non disdegnarono affatto quel cibo anzi, praticamente continuarono a giocare durante la cena: mettevano un lembo di quella specie di spaghi tra le labbra e dopo li risucchiavano nella bocca tra le risate. I bambini sono sempre quelli che mettono, magari inconsapevolmente, le cose a posto. Coinvolgono gli adulti, risvegliano in loro quel fanciullo che troppo spesso culliamo nel nostro animo tenendolo sopito. Sì, i bambini ricompongono le discrepanze, le idiosincrasie. Colmano i vuoti. Smussano quegli spigoli del carattere che per una sorta di stupido orgoglio siamo sempre pronti a contrapporre alle più ragionevoli proposte del destino…

Quella che doveva essere una punizione diventò in breve quasi una festa: anche gli adulti cominciarono ad assaggiare, a ridere…ma poi non erano mica male quei…quei… come chiamarli? Il nome fu trovato dopo, in seguito. Quando ormai era diventata abitudine consolidata quella di preparare, sopratutto nei giorni di festa, quei serpentelli di pasta bolliti e conditi  nei modi più svariati: una specie di spaghettoni che ancora oggi, anzi più che mai, tra Umbria e Toscana le massaie con fierezza servono in tavola e che chiamano: “pici, pinci, ombrichelli, ciriole”……

Nunzio Dell’Annunziata