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Fiacconi “Città della Pieve e il Trasimeno fra le “Due Resistenze”. Esperienze e memorie.”

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4/I giorni della Libertà e della Ricostruzione

19 Giugno 1944-19 Giugno 2021

Ma che giorni di dolori e d’immensa confusione! Perché il Re e Badoglio sono fuggiti da Roma, così non si sa più a chi udbbidire

dalla cronaca delle monache di Santa Lucia

19 Settembre 1943

 È l’8 settembre 1943 e il Generale Badoglio, a Cassibile, firma l’armistizio che fu reso pubblico alle 19:45 dai microfoni dell’EIAR. I giornali titolarono il cessate il fuoco, la fine delle ostilità, “La Stampa” di Torino annunciò sulla civetta che “La Guerra è finita”, ma l’annuncio dell’armistizio da parte degli alleati colse del tutto impreparate e lasciò quasi prive di direttive le forze armate italiane: non vi erano ordini né piani, né ve ne sarebbero stati nei giorni a seguire perché Badoglio, il Re e lo Stato Maggiore decisero di lasciare Roma per paura di una cattura e delle recrudescenze dei tedeschi.

Non si sa più a chi ubbidire” Scrive la monaca cronista del Monastero di Santa Lucia a Città della Pieve; è probabilmente questo momento di “confusione” e disorientamento dell’organizzazione generale a raccogliere insieme i dissidenti, ma se da un lato possiamo dire che l’8 settembre è anche la data di nascita delle “Bande Partigiane” nell’Italia martoriata è opportuno andare per ordine per definire in maniera storicamente comprensibile la Resistenza, le lotte e le brigate partigiane e ripartire piuttosto dai movimenti contadini e dei lavoratori che sull’impronta degli ideali socialisti dettero vita alle prime rivendicazioni di classe. E questo è ancor più vero nel territorio vasto del Trasimeno, Pievese – Orvietano.

Senza una rete già strutturata come quella dei movimenti probabilmente nessuno sarebbe riuscito a raccogliere e organizzare tante forze a Città della Pieve, ma nemmeno nel resto d’Italia.

Per quanto riguarda il territorio vasto in cui Città della Pieve è inclusa dobbiamo ringraziare Solismo Sacco detto Sole o “Il Sole” se possiamo ricostruire i passaggi delle vicende legate alla resistenza a Città della Pieve che, più in generale, si articolarono nella zona sud ovest del Trasimeno mettendo in rete uomini e donne pievesi, ma anche di Paciano, Panicale Piegaro e il versante di Castiglione del Lago che tocca Moiano. Infatti, già negli anni Ottanta del Novecento Sole è chiamato a lasciare su carta le sue memorie, in più riprese vengono integrate con il racconto degli altri partigiani.

Sole afferma con certezza che i 244 aggregati nella “Brigata Risorgimento” divisi in sei bande partigiane ebbero un ruolo determinante “nel quadro della condotta della guerra degli Alleati”.

E fu effettivamente così, il tentativo tedesco di reggere questa porzione di territorio facendo perno sul mantenimento della posizione strategica del Monte Pausillo, che era inserito nella linea fallì proprio per la presenza compatta e massiccia delle bande. I tedeschi per nulla consapevoli della consistenza delle bande acquartierate nella boscaglia del Pausillo, attive con azioni di sabotaggio, non riuscirono a rallentare l’avanzata degli Inglesi verso nord fino alla storica “Battaglia del Trasimeno” che si consumò nella seconda metà del giugno 1944.

Ma andiamo per ordine.

All’alba della Prima Guerra Mondiale l’Italia era fortemente impoverita e improntata su di una economia agricola fragile divisa in tre grandi macroaree: quella latifondista al sud, la mezzadrile al centro nord e poche, ed isolate, esperienze di avanguardia al nord. Nel Trasimeno Orvietano la continua situazione debitoria delle famiglie dovuta alla conduzione mezzadrile acuiva le condizioni di vita dei lavoratori sul piano sanitario, economico-sociale ed alimentare. In questo scenario nel 1893 a Città della Pieve nacque la prima Sezione Socialista su impulso della vicina Chiusi dove già dal 1892 era attivo un comitato e grazie al medico orvietano Braccio Braccini che era poi diventato sindaco socialista di Terni.

Nel 1894 aprirono le sezioni castiglionesi; prima a Vaiano poi aprì quella di Villastrada ad iniziativa di Benito Sacco (padre di Sole) e ancora nel 1900 ad iniziativa di Lombroni e Marchini si costitituì la sezione pievese di Moiano. Questo impulso politico risvegliò nei lavoratori, costituiti nelle leghe contadine e operaie, il desiderio di lottare per migliori condizioni di vita ed un miglior salario.

In questo fervente panorama si inserì l’iniziale opera di Solismo Sacco che, seguendo le orme del padre oramai caposezione a Moiano, animò un movimento partigiano giovanile che si irradiava in tutto il territorio vasto del Pievese e del Trasimeno. Nel 1912 le sezioni si dotarono di uno strumento di comunicazione e a Città della Pieve fu pubblicata “La Riscossa Proletaria”

Probabilmente fu questo l’atto di nascita della resistenza, la capacità di costituire una rete ramificata di persone nella condivisione di ideali e principi che sopravvisse alla Grande Guerra e che si scontrò poi con l’avvento del Fascismo. Monsignor Canuti nel suo Diario Storico scrive che il 22 giugno del 1920 la Lega dei Contadini organizzò una dimostrazione. Nel giorno della Fiera squadre di 15 persone occuparono il centro e chiusero le porte dopo l’ingresso di fattori e proprietari. L’intento era costringerli a firmare il nuovo patto colonico; contadini giovani e vecchi dalla Città, da Moiano e da Salci, armati di grossi randelli e forconi minacciavano l’assedio. “Di fronte alla violenza nessuno di rifiutò di firmare” scrive Canuti; è vero però che non si registrarono feriti o danni.

La primavera del ’21 vide un rapido dilagare delle violenze fasciste nei paesi e nelle campagne e spesso le squadre fasciste si contrapponevano alle squadre dei contadini che chiedevano ancora il riconoscimento di diritti fondamentali che, con l’avvento del Regine, erano definitivamente decaduti. Un clima di terrore che accompagnò il Ventennio e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, ma che non fiaccò l’organizzazione delle sezioni, dei gruppi antifascisti e delle squadre che costantemente, attraverso azioni di sabotaggio e disturbo, cercavano di indebolire la credibilità e l’intervento armato del Regime sulla popolazione.

Quando nel settembre del 1943 si prospettò la possibilità di un intervento concreto, Città della Pieve era pronta.

La costituzione delle Bande Partigiane di Resistenza aveva già una rete concreta; in uno scritto dell’epoca si legge “Era il pomeriggio del 9 settembre e Città della Pieve poteva vantare un bell’esempio di resistenza concreta al tedesco invasore” si fa riferimento alla la “liberazione” di Virgilio Villani da parte di Don Francesco Tassini. Il Villani già conosciuto come socialista e repubblicano fu arrestato per delazione dei locali come “ebreo comunista” fu catturato e richiuso nel Seminario Vescovile, del quale erano già stati requisiti alcuni locali per adibirli a carcere, ma con l’aiuto del prete Don Francesco Tassini riuscì ad evadere “dandosi poi latitante al bosco” scrive “Sole”.

Con lui molti altri pievesi scelsero la via del bosco, fra gli altri i Crinelli, padre e figlio, medici di idee socialiste; è ancora “Sole” a dire, nei suoi scritti, che proprio grazie alla presenza di Andrea Crinelli, medico condotto stimato e rispettato da tutta la popolazione, gli antifascisti pievesi riuscirono a riprendere un dialogo dopo l’8 settembre.

Una congiuntura casuale mise in contatto proprio Crinelli e “Sole”.

Il medico aveva in cura Yafet Leprini di Moiano che a sua volta frequentava lo studio fotografico dei Sacco e con Solismo aveva allacciato un dialogo anche politico; tutti sanno chi è “Sole”, passionario socialista che ha fatto della politica una missione, e molti sanno che sta si organizzando e Yafet, che frequenta regolarmente i due mondi – quello della fotografia e l’ambulatorio dove va a curarsi l’ulcera – è la congiunzione che tiene uniti due territori che diversamente non riuscirebbero a parlarsi, un dialogo che segna un primo nucleo nella vicenda della Resistenza Partigiana a Città della Pieve.

Un peccato che Yafet Leprini non potè vedere il compimento dei suoi sforzi; morì infatti in ospedale, aveva deciso di operarsi all’ulcera che lo fiaccava per partecipare con più forza allo scontro che lo avrebbe atteso dopo l’organizzazione della lotta partigiana. L’operazione non andò bene, lo stesso “Sole” scrive “ purtroppo si spense, forse anche a causa della assoluta inefficienza in cui era scaduto l’ospedale, privo persino dei medicinali e di altro materiale sanitario, irrimediabilmente mancante a causa della guerra che aveva stremato tutto il Paese.”

È il 4 marzo del 1944 quando “Sole” e Alfio Marchini detto “Luca” (commissario politico e comandante militare) costituiscono, in accordo con il Comitato di Liberazione, la Brigata Risorgimento nell’intento di ricostituire in un gruppo unico le diverse bande pievesi e, soprattutto, nell’intento di “governare” strategicamente la bassa provincia senese fra la Val d’Orcia e la Val di Chiana, l’Amiata, il Trasimeno ed il Pievese fino ad Orvieto.

Marchini era stato inviato appositamente dai Gruppi di Azione Patriottica (GAP) romani, per coordinare l’ipotesi di riunire in una formazione unica i gruppi di partigiani del territorio dell’Italia Mediana e trovò piena collaborazione con il partigiano Sole.

Sebbene la linea del senese, trasimeno e pievese-orvietano rimase presidiata dai partigiani che collaborarono con il Comitato di Liberazione e furono attivi in battaglie crude e accese, l’idea di un piano di azioni uniche non sfociò in una reale azione congiunta.

La bassa provincia senese, che aveva vissuto la stessa organizzazione per movimento sindacali, sviluppò bande antifasciste e antinaziste con una diversa anima. Quella delle bande partigiane della bassa senese è infatti una ulteriore faccia della lotta che ci induce a parlare di “Resistenze”; nacquero infatti oltreconfine bande – teoricamente apolitiche- appellate col nome di Bande SIMAR.

Anche in questo caso fu l’8 settembre a dare nuovo impulso ai gruppi; la sera stessa dell’annuncio EIAR, Gabriele Borgi- un giovane studente di medicina di Sarteano – raccoglie circa trecento persone alle quali illustra i pericoli che si profilavano per il Paese. È la prima scintilla, il 24 settembre dieci giovani insieme a Borgi si riunirono per organizzare la difesa e posero subito la prospettiva di una organizzazione militare e videro nel colonnello Silvio Marenco la persona capace di assumerne la guida.

Marenco, colonnello regio in pensione, piemontese monarchico era residente a Sarteano e, sebbene la sua fede nei Savoia era malvista di giovanissimi, le sue affermazioni dal sapore antifascista e le sue capacità militari gli garantirono l’incarico.

Dopo Sarteano si aggregarono gruppi da Chiusi e ancora, nel mese di ottobre, Cetona e Chianciano.

Marenco, oltre a dare il nome alle Bande con le iniziali del suo nome e cognome SI.MAR., dette all’organizzazione una struttura, nei suoi scritti si legge: “I nuclei organizzativi si chiameranno “Nuclei Comunali”, questi dovranno essere il noccioli intorno a cui raccogliere via via tutte le forze politico militari che vogliano agire con noi. Nessuna esclusione di partiti o tendenze, tutti i liberatori devono avere un fronte unico: antifascista e antinazista”.

Nel dicembre del 1843 gli aderenti attivi alla SIMAR erano diventati 153, ma nello stesso mese i fascisti denunciarono Marenco e lo costrinsero alla macchia nel comune di Radicofani.

La compagine SIMAR si delineò, soprattutto per la presenza di Marenco e la sua apertura senza distinzione di partiti, in maniera molto eterogenea, raccolse molti militari che avevano abbandonato gli incarichi e i ranghi, molti di quelli che fino a quel momento, pur avversando il Fascismo, non si erano esposti nei movimenti politicizzati.

Una linea che, unitamente alla fede monarchica di Marenco, segnò formalmente la distanza con Sole e Marchini, quella distanza che non consentì una conduzione congiunta delle azioni, sebbene molte furono le “commistioni”.

A marzo sul Cetona si contavano oltre 50 unità di giovani aderenti alla SIMAR che avevano preso contatti con gli antifascisti di Ponticelli e Città della Pieve dove già il 27 gennaio era apparso un manifesto di reclutamento a cui era seguita una azione di sabotaggio congiunta e concordata con i pievesi il 17 febbraio a Castiglione del Lago con il taglio in cinque diversi punti della linea telefonica che collegava la Polizia al Comando Superiore.

Alcuni pievesi si affiliarono alla Brigata SIMAR del Monte Cetona, fra gli altri Sirio Testa di Moiano che morì nel giugno del 1944 dopo essere stato ferito in un tentativo di sabotaggio verso San Casciano e con lui Armando Giometti di diciassette anni residente a Città della Pieve.

Nonostante la presenza di questi ed altri elementi che potevano fare da intermediari fra le due realtà, i contrasti politici fra le idee monarchiche di Marenco e l’impostazione socialista che Marchini aveva dato alla Brigata Risorgimento non consentirono mai sviluppi concreti o azioni congiunte e, sostanzialmente, le “bande” lavorarono parallelamente nei due territori.

Le battaglie del Cetona e del Pausillo infatti si svilupparono in parallelo fra il 15 ed 19 giugno del 1944.

Città della Pieve anche in questo tassello vive la sua storia come luogo di frontiera e si muove fra le due “Resistenze” che hanno differenze politiche, ma che non perdono l’obiettivo comune della lotta al Nazi-Fascismo. È lo stesso “Sole” che indirettamente descrive questa situazione parlando proprio di Armando Giometti detto Armandino, il ragazzo si muoveva, per cercare lavoro, fra i diversi poderi del piano tra Ponticelli e Cetona ed entrò in contatto con i volontari SIMAR e aderì alle loro organizzazioni. Armandino incarna, suo malgrado, la capacità di questo territorio di essere di flessibile fra diverse sollecitazioni pur senza perdere la propria identità. Una flessibilità che significa anche mobilità attraverso le linee di confine e le diverse anime dei territori confinanti. Siro e Armandino sono comunque inseriti da “Sole” nel suo elenco dei pievesi valorosi che morirono per l’antifascismo.

Una conclusione che porta ad evidenziare come per quanto divise le due “Resistenze” rappresentarono un momento fondamentale della liberazione, “bande rosse” e quelle “bianche” militarmente organizzate si mossero in un fronte unico.

Gaetano Fiacconi

La foto di copertina ci è stata gentilmente concessa da “Archivio Carlo Sacco Thefaceofasia”