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Cucina. Emozioni autunnali

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A volte sono stanco dei programmi di cucina, di cuochi presenti come il prezzemolo, da tutte le parti, stanco di sale dell’Himalaya, di quinoa, di cotture a bassa temperatura (metodo tra l’altro industriale adottato ultimamente in cucina). Inoltre se volgo lo sguardo alla storia della cucina, mi accorgo che non c’è nulla da inventare, nei secoli tutto è stato già fatto…Azzardo anche una ipotesi: la cucina nella sua componente più fascinosa, creativa, interessante, universale è quella che ha inventato il popolo. Presso le corti, ma ancora prima, nell’antica Roma ad esempio, grandi cuochi stupivano con piatti straordinariamente ricercati; ma tutto quel gran lavoro consegnato alla storia è in un qualche modo rimasto sepolto nelle cronache del tempo. I piatti popolari invece hanno attraversato guerre, carestie, rivoluzioni ed assedi, addirittura rivestendo nel tempo, come nuovi indumenti, quella storicità che ha attraversato le epoche giungendo a noi come uno scrigno di saperi e di gusti, uno scrigno colmo di vitale espressività. Spesso la cucina nelle mille varianti dei cuochi stellati, a me personalmente non mi emoziona, non mi affascina, a cominciare dal conio semantico che definisce il piatto: “Lasagnetta aperta” perché le lasagne tradizionali sono chiuse? Confondono con il raviolo aperto di Gualtiero Marchesi, a suo tempo giustamente anch’egli criticato: “Abbiamo impiegato secoli per chiuderlo e te in un attimo lo apri?”

Tutta questa premessa perché, secondo me, l’emozione nel cibo, e nella preparazione di esso, passa attraverso delle sensazioni e dei canali semplici, non necessariamente costosi, non sempre dalle mani di grandi cuochi, l’emozione legata al cibo reca accanto anche una poesia della vita che viaggia sulle ali del mistero.

L’altra mattina attendevo un’amica, fuori della sua casa un orto in disarmo, stroncato dagli acquazzoni e dal freddo: le canne dove si erano aggrappate le piante di pomodori sotto il sole d’agosto reggevano ormai il solo tralcio senza più foglie e la pianta cocciutamente, offriva i suoi frutti rossi, gialli e verdi: gli ultimi pomodori che non avrebbero avuto il tempo di maturare. Ebbene li ho raccolti. E ho notato alcune cipolle, le ho estirpate; del basilico protraeva verso il cielo quella sorta di “spiga” piena di semi e il prezzemolo residuo tendeva ad ingiallire. Non mancava una pianta di peperoncini quasi senza foglie e coi frutti leggermente appassiti. Ho fatto il mio piccolo raccolto, era comunque un peccato abbandonare i prodotti che l’orto come estremo dono offriva prima del “letargo”.

Poi a casa ho approntato il pranzo. Ho preso una padella dove comodamente avrei saltato cento e più grammi di penne. Un generoso giro di olio evo, e dentro a rosolare la cipolla. Nel frattempo ho lavato e mondato i pomodori dalle tre calde tonalità autunnali: rossi, gialli e verdi, li ho tagliati a pezzettini e ho unito il basilico e il prezzemolo, tutto in una ciotola. Quando la cipolla era bella appassita senza tuttavia che fosse colorita troppo, ho aggiunto il peperoncino e ho lasciato che rosolasse anch’esso un po’, dopo di che ho rovesciato nel soffritto quel piccolo arcobaleno di pomodori e erbe aromatiche. Dimenticavo che durante la preparazione avevo calato le penne nell’acqua a bollore. La padellata di condimento ha sobbollito nel tempo di cottura della pasta. Ho unito le penne al condimento e facendole saltare con una spruzzata di pecorino, ho atteso che pasta e pomodori policromi si unissero in un abbraccio indissolubile. Ho nominato più volte la cromaticità degli ingredienti perché vi assicuro che era veramente l’autunno come nessuna tavolozza e nessuna foto avrebbe mai potuto imitare. Il sapore? Eccellente! Non salsa di pomodoro che sa di estate, ma un sapore intermedio, leggermente piccante, e con varie consistenze perché i pomodori verdi erano rimasti croccanti.

Sapore di autunno. Io mangiavo e pensavo all’orto ormai in disarmo che ancora aveva espresso se stesso umilmente, guardavo dalla finestra l’autunno e lo ritrovavo nel piatto…poi ho provato l’emozione del tempo che passa e di quello che ci regala. Voi riderete ma ho avuto una piacevole meraviglia simile alla nostalgia e la felicità unite nello stesso sentimento. Dopo ho pensato solo al piatto che avevo davanti perché nutriva me e la mia anima: è stato uno dei piatti più buoni che abbia mai assaggiato.

Nunzio Dell’Annunziata