Home Rubriche Croce (Aur). I Comuni umbri alla sfida demografica. Dalla frammentazione all’unione.

Croce (Aur). I Comuni umbri alla sfida demografica. Dalla frammentazione all’unione.

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Nel sito web di AUR (Agenzia Umbra Ricerche) è comparso questo stimolante contributo del professor Giuseppe Croce sulla crisi demografica e quella dei comuni umbri, in particolare quella dei più piccoli. La proposta che viene fatta è quella delle Unioni dei Comuni. Con riferimento ai sistemi locali del lavoro. Le Unioni dei Comuni non sono una novità e si può dire che le esperienze sinora fatte siano state un fallimento. Per il forte localismo tuttora presente, per la insufficiente “visione” degli amministratori locali, e per la perdurante volontà di Regione e Province di delegare oltre che funzioni, anche risorse economiche e soprattutto personale. 

Se si dovesse riuscire a debellare questi limiti, chiarendo che le unioni dovrebbero essere a geografia variabile, interprovinciale, interregionale, ed essere protagoniste delle aziende pubbliche e parapubbliche di servizi, ci si potrebbe provare. (g.f)

 

Di Giuseppe Croce (AUR).

“Attraverso le unioni i 92 comuni umbri potrebbero aggregarsi in modo da ricalcare i 14 sistemi locali del lavoro”

Dai primi due fatti deriva il terzo. Non è in atto una ricollocazione della popolazione all’interno della regione, dalle aree rurali verso le aree urbane. Il declino della popolazione è generale ed esteso a tutti i comuni indipendentemente dal loro carattere rurale o urbano, e dalla loro dimensione.

Questo quadro può essere valutato e approfondito da diverse angolature. Proviamo ad assumere, in particolare, il punto di vista dei comuni più piccoli. Esistono delle opportunità per essi, magari limitate ma realistiche, per evitare un destino di abbandono? Se ne esistono, vanno cercate tra le pieghe delle grandi trasformazioni sociali in atto, sfruttando le possibilità di combinarle, in forme in gran parte ancora da esplorare, con le micro-risorse locali e distintive dei territori. Queste aree possono ambire a divenire una piattaforma territoriale in grado di accogliere una variegata “popolazione instabile” attratta per turismo in senso lato, per il tempo libero o per il lavoro da remoto. La tendenziale riduzione e flessibilizzazione degli orari di lavoro e la crescita della popolazione pensionata ma ancora attiva aumentano la domanda potenziale in questo senso. D’altro canto, lo sviluppo dei servizi da remoto, a partire dal commercio online, consentirà prevedibilmente di ridurre drasticamente l’isolamento.

Tuttavia, questo scenario di resilienza e trasformazione non si realizzerà in modo spontaneo, ma richiede investimenti pubblici e privati e strategie condivise. Inevitabilmente, una parte delle condizioni necessarie devono essere realizzate dalle comunità locali. Tuttavia, è evidente che la dimensione amministrativa comunale è troppo piccola per essere funzionale a questa trasformazione. Gran parte dei comuni umbri ha ormai una dimensione inadatta a giocare un ruolo a favore dello sviluppo, innanzitutto perché non consente che si raggiungano livelli adeguati di efficienza e di efficacia dei servizi. La frammentazione amministrativa al livello municipale, combinata con il tradizionale centralismo regionale umbro, rappresenta quanto di più lontano da un’utile applicazione del principio di sussidiarietà. La frammentazione non solo impedisce di raggiungere le possibili economie di scala ma tiene nascosta la compattezza geografica e culturale dei territori, non consente di apprezzare il valore strategico delle relazioni territoriali nella gestione dei servizi, nelle proiezioni verso l’esterno, nell’elaborazione di visioni comuni del futuro.

Una strada percorribile per superare questa frammentazione e sperimentare la cooperazione è data dalle unioni tra comuni per la gestione condivisa di funzioni e servizi, già previste e incentivate anche finanziariamente dalla legislazione vigente. I 92 comuni umbri potrebbero intraprendere la strada delle unioni per convergere verso un’aggregazione territoriale che ricalchi i 14 sistemi locali del lavoro in cui si articola il territorio regionale[2]. Quindi non solo unioni “orizzontali” formate solo da comuni piccoli e piccolissimi ma anche e soprattutto unioni “verticali” che aggregano comuni più piccoli intorno ai centri urbani di maggiore dimensione. I dati dicono che le città non stanno cannibalizzando le aree rurali. Al contrario, esistono importanti sinergie e complementarietà tra di esse[3]. Senza centri urbani vitali e capaci di offrire servizi di base e qualificati neanche le aree rurali circostanti possono pensare di farcela. D’altra parte le città non hanno nulla da guadagnare da uno scenario di desertificazione delle aree rurali circostanti poiché queste rappresentano una risorsa aggiuntiva in grado di generare un’importante domanda di servizi.

Due ostacoli principali, però, si intravedono lungo questa strada. Il primo, di ordine culturale, è il campanilismo sterile che, c’è da augurarsi, sarà meno forte tra le nuove generazioni. Il secondo, di ordine politico, riguarda la disponibilità effettiva della Regione a sostenere e accompagnare, come previsto dalle sue competenze, questo processo con gli strumenti e le risorse necessari.

 

Note
[1] Giuseppe De Rita, Le due anime dell’Umbria, BIT-Bollettino innovazione tecnologica, febbraio 2023.
[2] Giuseppe Croce, Dov’è il futuro dell’Umbria, nelle sue città o nei suoi borghi?, Focus, AUR, 2021.