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Bellezza a portata di mano. Civita di Bagnoregio

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“Il nostro petrolio” è la nostra bellezza, quella del nostro paesaggio e del nostro patrimonio storico, artistico e culturale. Sembra una frase fatta. Non lo è. Guardate queste foto e leggete questa storia. (N.d.R)

Situata al confine con l’Umbria, in vista della Valle del TevereCivita di Bagnoregio si adagia su un colle tufaceo cuneiforme a 443 metri s.l.m., stretto fra i due profondi burroni del Rio Chiaro e del Rio Torbido. Alle spalle dell’abitato si estende la grande vallata incisa dai “calanchi”, creste d’argilla dalla forma ondulata e talvolta esilissima, inasprite qua e làda ardite pareti e torrioni enormi, come il solenne e dolomitico “Montione” e lacosiddetta “Cattedrale”. Lo scenario offerto dalla Valle dei Calanchi e dall’abitato di Civita di Bagnoregio, forma uno dei paesaggi più straordinari e unici d’Italia. L’affaccio dal Belvedere della Grotta di San Bonaventura è semplicemente meraviglioso: il borgo rossiccio di Civita, su cui spicca lo snello campanile romanico della chiesa, si erge come un’isoletta nella fragile immensità dei calanchi, “mare” increspato ma immobile che dona la surreale sensazione di assistere ad una “quieta tempesta”. L’incanto ed il silenzio avvolgono così d’un tratto il visitatore sensibile, mentre l’animo suo si strugge al pensiero che queste rupi argillose ed instabili, modellate dalle acque dei torrenti e delle piogge, pian piano trascineranno a valle il borgo superstite, già smembrato e dimezzato dagli innumerevoli terremoti e franamenti avvenuti nel corso dei secoli:per questo Civita di Bagnoregio è famosa come la “città che muore”.

Eppure fu proprio l’abbondanza di acque, assieme al rigoglio della vegetazione, a spingere gli uomini, sin dai tempi più remoti, a vivere in questi luoghi. Patria del monaco-filosofo francescano San Bonaventura e del saggista-romanziere Bonaventura Tecchi, Civita di Bagnoregio ha infatti origini antichissime. La zona fu abitata sin dall’epoca villanoviana (IX-VIII secc. a. C.), come testimoniano vari ritrovamenti archeologici. In seguito vi si insediaronogli etruschi, che fecerodi Civita (di cui non conosciamo l’antico nome) una fiorente città, favorita dalla posizione strategica per il commercio, grazie alla vicinanza con le più importanti vie di comunicazione del tempo. Del periodo etrusco rimangono molte testimonianze: di particolare suggestione è il cosiddetto “Bucaione”, un profondo tunnel che incide la parte più bassa dell’abitato, e che premette l’accesso, direttamente dal paese, alla Valle dei Calanchi; in passato erano inoltre visibili molte tombe a camera, scavate alla base della rupe di Civita e delle altre pareti di tufo limitrofe, e che purtroppo furono in gran parte fagocitate, nei secoli, dalle innumerevoli frane. Del resto, già gli stessi etruschi dovettero far fronte ai problemi di sismicità e di instabilità dell’area, che nel 280 a. C. si concretarono in scosse telluriche e smottamenti. All’arrivo dei romani, nel 265 a. C., furono riprese le imponenti opere di canalizzazione delle acque piovane e di contenimento dei torrenti avviate dagli etruschi. Sicché, assicurata una certa tranquillità, la prerogativa di Bagnoregio quale centro commerciale venne consolidata, anche in virtù della comodità d’accesso alla strada che da Bolsena portava al Fiume Tevere, allora solcato dalle navi mercantili.

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Ma paradossalmente, la stessa prossimità alle maggiori vie del commercio decretò la crisi di questo ricco insediamento. Con il collasso dell’Impero Romano, Bagnoregiosi trovò ad essere facilmente soggetta alle scorrerie delle orde barbariche, finendo man mano sottomessa, tra il 410 ad il 774, ai visigoti, ai goti, ai bizantini e ai longobardi, sino a quando Carlo Magno la liberò e la consegnò alla Chiesa. Proprio a cavallo tra i secoli VIII-IX iniziò peraltro ad affermarsi il toponimo di Balneum Regis (divenuto più in là BalneoregiumBagnorea ed in ultimo Bagnoregio), letteralmente il “Bagno del Re”, dalla leggenda secondo cui il sito avrebbe ospitato già dall’epoca romana una stazione termale, frequentata in seguito dal re longobardo Desiderio per curare una grave malattia. Successivamente, il Medioevo alternò momenti di pace a momenti drammatici, come quello legato alla tirannide dei Monaldeschi della Cervara, che finirono cacciati da una feroce rivolta popolare. La città divenne “libero comune” per un breve periodo (nel XII sec.), per poi entrare definitivamente nel patrimonio della Santa Sede. Tuttavia, nuovi pericoli erano in agguato. Venuto meno il grande sistema di opere pubbliche romane, ormai da centinaia di anni erano stati lasciati in sospeso i lavori di regolarizzazione delle acque. D’altro canto, l’intenso sfruttamento agricolo delle campagne nei pressi dei calanchi, con la sostanziale riduzione della copertura boschiva, aveva privato il terreno, già fin troppo instabile, della sua naturale “armatura”, costituita appunto dalle radici degli alberi. La catastrofe, dunque, era ormai vicina. Fino al XVIIsecolo, la città si estendeva allora su un vastissimo altopiano, di cui oggi rimangono soltanto due spezzoni, e possedeva ben cinque porte: Civita, che ne rappresentava il fulcro, era infatti congiunta all’attuale Bagnoregio, che al tempo non era altro che un quartiere e si chiamava Rota. Tutto ciò scomparve nel fatidico 1695, quando un terribile terremoto provocò il franamento delle parti più esposte a valle dell’abitato di Bagnoregio, nonché dell’unica via d’accesso che univa l’abitato a Rota. E non era finita. L’abitato, ormai decisamente ristretto e in via di spopolamento, ebbe nel 1764 un vero colpo di grazia, con il crollo di altre porzioni della cittadina. Iniziava, così, il suo inesorabile declino da nobile e vetusta cittadina ad umile borgo agricolo, semidiruto, semiabbandonato e vittima, più volte e fino a tempi recenti, di ulteriori distruzioni.

Civita di Bagnoregio is a town in the Province of Viterbo in Central Italy, a frazione of the comune of Bagnoregio
foto di Alex Bompard

Divenuta per molti anni quasi un borgo fantasma, Civita è oggi collegata alla sorella Bagnoregio, e al “resto del mondo”, da un sottilissimo e lunghissimo viadotto in cemento. Esso fu ricostruito due volte, dopo l’abbattimento del vecchio ponte in muratura, fatto saltare dai tedeschi durante la Seconda Guerra mondiale. La prima volta il lavoro non venne fatto in maniera accurata, tant’è che nel 1964, quando ennesimi smottamenti colpirono la collina diCivita e la Valle dei Calanchi, l’ardito cavalcavia appena edificato crollò poco prima della sua inaugurazione. Fu quindi ricostruito ancora, e stavolta senza sorprese, riallacciando così l’antico borgo alla “terraferma”, e allo stesso tempo vennero realizzate importanti opere di sostegno alla rupe dove sorge l’abitato, ponendo così un freno alla sua erosione. Pubblicizzata ormai da decenni come la “città che muore”, in realtà Civita sta ritornando a vivere. Un flusso turistico cospicuo e sempre crescente, anche di provenienza straniera, ha riportato grande vitalità all’antico villaggio, che, recuperato nel suo aspetto originario, pian piano si sta ripopolando.
Sono tanti, del resto, gli spunti d’interesse ambientale ad attrarre i turisti a Civita di Bagnoregio. Oltre ai meravigliosi panorami e alla bellezza del paesaggio, infatti, colpisce l’atmosfera incredibilmente suggestiva delborgo, che appare come un luogo “musealizzato”, un esempio, forse unico in Italia, di villaggio tardo-medievale rimasto immutato nel tempo. Vi si accededalla scenografica Porta Santa Maria, aperta da un arco in peperino e sormontata da una loggetta. Attribuita dalla tradizione al Vignola, la porta reca due bassorilievi che raffigurano un leone che tiene un uomo con gli artigli, metafora della cacciata dei Monaldeschi. Oltrepassato il varco scavato nella roccia, subito, si ammira una prima piazzetta, circondata da bei palazzi signorili e da casette più modeste: di un edificio rimane soltanto la facciata, con le finestre che lasciano intravedere il cielo. Continuando per la stradina, dopo pochi metri, si sbuca sulla pittoresca Piazza San Donato, che, altro caso sicuramente più unico che raro, al posto della pavimentazione presenta una breccia mista a terriccio, dando la sensazione di essere improvvisamente piombati indietro almeno di quattrocento anni. Qui spicca la mole dell’ex-Duomo di San Donato, sorto nel VIII secolo (probabilmente su un preesistente tempio pagano) ma dall’aspetto cinquecentesco. Al suo interno la chiesa conserva un pregevole crocifisso ligneo quattrocentesco, ritenuto miracoloso, cui è legata la singolare Processione del Cristo Morto: la sera del Venerdì Santo la scultura viene portata in processione a Bagnoregio e la tradizione vuole che essa ritorni assolutamente entro Mezzanotte a Civita, pena la sua acquisizione da parte dei “cugini” bagnoresi. Nella stessa Piazza San Donato, inoltre, a giugno si svolge il simpatico Palio della Tonna, una festa di origine medievale che vede i fantini sfidarsi in un’acerrima e rocambolesca corsa ad anello.

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La visita continua tra gli stretti vicoli del borgo, caratterizzato da archetti, cortili e piazzette, e da case medievali erinascimentali ornate da bifore, profferli e portali in peperino: spesso al loro interno si trovano graziose botteghe artigiane, in cui si può entrare per assistere ad antichi mestieri. E passeggiando in questo tortuoso dedalo, fatto di spazi inconsueti e di viuzze affacciate sul vuoto, lo sguardo è rapito qua e là da svariati scorci verso la Valle dei Calanchi, che al tramonto si colora di strane tonalità, offrendo curiosi giochi di luci ed ombre tra gli affilati crinalie la radavegetazione, e formandoun quadropaesaggistico ancor più surreale.

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Infine, merita un cenno la Grotta di San Bonaventura, uno dei luoghi più venerati di Bagnoregio. Si tratta di un’antica tomba a camera etrusca, posta a balcone su Civita e a strapiombo sulla valle, che venne utilizzata nel Medioevo come romitorio. Al luogo è legata la leggenda secondo la quale qui il piccolo Giovanni di Fidanza, futuro San Bonaventura, fu risanato da una malattia mortale da San Francesco, durante il suo soggiorno bagnorese. Nei pressi della grotta sorgeva, infatti, unconvento francescano, di cui oggi, dopo i crolli del 1764, non rimangono che pochi resti. La madre di Giovanni, commossa dal miracolo, promise al Poverello d’Assisi che avrebbe consacrato la vita del proprio figlio al servizio di Dio. E così fu, tant’è che San Bonaventura (nome datogli dallo stesso San Francesco) scelse la veste francescana e si mise a diffondere tra i cristiani il messaggio caritatevole del suo maestro e guaritore.

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