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Tre divinità etrusche sono tornate per i visitatori a Santa Maria dei Servi

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Tre Lase, divinità femminili del Pantheon etrusco, accompagnano i visitatori, nella notte tra il 6 e il 7 agosto, nei sotterranei di S. Maria dei Servi per ricreare, con l’immaginazione, e quindi raccontare le vicende attraverso le quali Laris, esponente di una classe aristocratica, progetta la realizzazione di una tomba di famiglia nei propri possedimenti. Le fanciulle sono abbigliate, acconciate e truccate secondo la moda di quei tempi: indossano una lunga tunica, di un tessuto grezzo chiaro, ornata con sobrietà da un bordo colorato differentemente per ciascuna di loro. Lo stesso colore ricorre nella stola che, alternativamente, copre e scopre la testa di colei che, di volta in volta si appresta a parlare. Esse raccontano, nella finzione teatrale, da una dimensione ultraterrena, la decisione di Laris di scegliere un luogo ameno, protetto da un bosco, soleggiato per tanta parte del giorno, prospiciente il monte Cetona. Aggiungono particolari e descrizioni verosimili sulla realizzazione del lungo corridoio d’accesso e della camera sepolcrale, poi parlano del primo corteo funebre che ha accompagnato il sarcofago del capostipite Laris. Le loro narrazioni si svolgono in un’atmosfera rarefatta e in penombra; alcune lucernette di terracotta diffondono una luce tremula e pacata sui sarcofagi e sulle urne.

Le loro voci si sovrappongono a un sottofondo musicale che esprime i suoni dei campanelli e del flauto, antichi strumenti evocativi e solenni. Le Lase perpetuano l’atmosfera religiosa ricordando le cerimonie, i riti, le pratiche di sepoltura, l’inumazione e l’incinerazione, scelti successivamente per seppellire i discendenti della stessa famiglia, i Pulfna, fino all’ultimo, Aule, le cui ceneri, avvolte in un telo, sono deposte in una fastosa urna di marmo. La Lasa di turno si sofferma sul nome di Aule, inciso sul bordo del coperchio e sulla qualità del rilievo che rappresenta il defunto semisdraiato, così come sulla raffinatezza del ritratto, equiparabile a quella raggiunta nelle altre sculture delle due urne accanto. Nella teatralizzazione dell’evento si suggeriscono i gesti consueti compiuti dai partecipanti al commiato funebre: quello di portare doni, quello di posare nel pavimento vasi di ceramica e suppellettili di metallo, quello di spargere profumi e incensi. L’atto finale è quello di evocare la chiusura definitiva della tomba consacrata dalla sistemazione di una monumentale porta, a due battenti, di travertino, sigillata con argilla arrossata dal fuoco.

Un applauso scrosciante accoglie favorevolmente la rappresentazione, riportando alla realtà gli spettatori un po’ attoniti; le Lase sollevano la stola rivelando i volti delle archeologhe Benedetta Droghieri, Francesca Bianco e Andrea Pagnotta.

Silvia De Fabrizio

ARCHIVIO DEL CORRIERE PIEVESE
9 AGOSTO 2016