Edoardo Rampi, arciere, responsabile degli arcieri e presidente. Una storia importante in ambito Palio, storia che ripercorriamo insieme al protagonista. I passaggi tra le le varie fasi, i momenti importanti, i ricordi, i personaggi, gli aneddoti. La storia scorre fluida, a noi solo il compito di annotare e dare sequenza al racconto. E’ piacevole ascoltare una storia che ci accomuna, il palio visto da occhi diversi e raccontato con esperienze diverse; specialmente quando il narratore lo fa, come Edoardo, con partecipazione, coinvolgimento ed entusiasmo. Iniziamo con lui questo viaggio tra le tante figure del Palio. Tra tutti coloro che ne hanno tracciato la fisionomia, che ne hanno scolpito i dettagli. Solamente ascoltando i loro racconti possiamo vivere e rivivere una storia che ci appartiene, con l’attenzione e, perché no, il rispetto che merita. Le vicende di questi anni hanno rischiato di intaccare e rovinare un patrimonio nato con il sudore e la passione di tanti Pievesi. Questo lavoro merita esclusivamente di essere rispettato e valorizzato. Chi sa solo alzare la voce si faccia da parte, a Città della Pieve non serve.
EDOARDO RAMPI:
“Praticamente io ho passato una vita dentro il Terziere, da quando avevo 26 anni, era il 1976, ad oggi. Il Borgo Dentro è nato dopo gli altri terzieri. Nei nostri archivi sono presenti dei documenti che fanno risalire le prime iniziative di costituzione al 1966. Ad allora risalgono, sostenuti dagli altri terzieri, i primi tentativi di far nascere il Borgo Dentro. Tentativi che videro protagonisti Alfredo Barbini, il Dr. Gostinfini ed il Dr. Bartolini. Nella risistemazione della nostra sede abbiamo trovato una lettera di esortazione alla costituzione del Borgo Dentro inviata dagli altri due Terzieri.
Ricordo nel documento la firma di Benito Cupella ma non rammento chi firmò per il Castello. Purtroppo le difficoltà riscontrate allora ne impedirono la nascita. Solo nel 1976 si è dato vita al Borgo Dentro. Decisivo è stato l’aiuto degli altri terzieri, Io stesso ne sono testimonianza, visto che ero un arciere ed avevo avviato a tirare le prime frecce, insieme a mio fratello Cesare, proprio con il Castello. Alcuni personaggi del Terziere Castello mi spronarono allora a passare al Borgo Dentro proprio per favorirne la costituzione. Non mi vorrei sbagliare ma penso che uno di quei personaggi era proprio Mario Valletti. Primo presidente del neonato Terziere Borgo Dentro era GianClaudio Lucacchioni, insieme a lui ricordo nel gruppo costituente anche Remo Orlandi, Nazzareno Casucci ed Emilio Cappannini . Certo il rapporto che c’era allora con gli altri terzieri stride con quello attuale.
Si è passati da forme di generosa collaborazione alle attuali manifestazioni di contrasto costante. Si badi bene il Palio è rivalità ma gli atteggiamenti di adesso sono una cosa diversa che non mi piace. Diamo la colpa ai tempi ma non è solo questo.
Quando ho iniziato a tirare con l’arco la gara era diversa, con la sagoma fissa la fortuna e la casualità contavano poco mentre ora valgono una percentuale tra il 60 ed il 70 percento; allora vinceva la squadra più forte. Venivano tirate 8 frecce ad arciere, gli arcieri erano quattro, il bersaglio era fisso e chi sapeva tirare meglio vinceva il Palio. Il Castello era molto più forte degli altri e vinceva quasi sempre. La lotta quindi si riduceva al secondo posto o, tuttalpiù, per il riconoscimento di migliore arciere.
In quegli anni chi non trovava spazio nel proprio terziere veniva a tirare per noi, rammento in proposito “Pizzico” (Giuliano Scricciolo) e “Roldo” (Enrico Pierangeli). Ricordo proprio il “casino” che venne fuori l’anno che tirò “Roldo”. Quando passammo con la sfilata davanti al Bar Matucci Lui si fece dare dei pennarelli dalla proprietaria e dipinse di nero il centro del bersaglio. Era una cosa che non si poteva fare perché il bersaglio era quello ufficiale FITA. Ricordo che ci buttarono per aria il paglione e fummo costretti a cercare “Biba” (Mario Marco Marroni) per farci dare un altro bersaglio. Ricordo che abbiamo tirato anche con il buio, nelle due edizioni disputate in notturna. Io ho vinto il riconoscimento di migliore arciere ma anche due volte il palio. Il primo palio che ho disputato è stato anche il primo per il Borgo Dentro ed era quello del 1977. Il primo palio vinto dal mio terziere risale però al 1983.
La mia carriera di arciere è durata a lungo ed è terminata quando mio figlio, allora quindicenne, mi ha detto che voleva iniziare a tirare. In un attimo ho capito che era arrivato il momento di farmi da parte e lasciare spazio ai giovani. Adesso mio figlio ha 34 anni e, tolta qualche missione che lo ha visto impegnato altrove, sono 15 anni che ha preso in mano il testimone di arciere di famiglia. Debbo dire che la famiglia Rampi, quando si parla di Arco, può rivendicare, senza tema di smentita di aver fatto la storia del Palio dei Terzieri. Si pensi a mio fratello Cesare, una vita da arciere e l’altra da responsabile degli arcieri. Una bandiera vivente del Terziere Castello. Rammento quando lui bambino, io ho sette anni di più, tornò a casa con una vipera infilata nella freccia fatta con la bacchetta di un ombrello ed a mia madre per poco non prese un infarto.
Lui ha iniziato prima di me, è nato con l’arco in mano e, nonostante è il fratello minore, riconosco che i primi rudimenti dell’arco me li ha dati proprio lui. Quando mi invitò le prime volte a provare a tirare con l’arco lui già tirava bene. Col tempo anche io ho imparato e devo dire che mi sono tolto le mie belle soddisfazioni, vincendo due pali da arciere e pure, una volta, l’Apollo d’Oro come miglior arciere. Fu quella volta che, chiudendo gli occhi dopo aver tirato, chiedevo ai miei compagni dove fosse andata la freccia. Vincemmo sul Casalino e loro si domandavano “ma come fa quello li che non ci vede un — a prenderci lo stesso !?”
Io e mio fratello siamo stati gli unici che nel bersaglio fisso abbiamo fatto 73 punti su 80. Io feci 38 e 35 nelle due manche, mentre mio fratello ha fatto 37 e 36. Il mio 38 è il punteggio più alto con le quattro frecce messo a segno in una manche.
Ho vinto pali da arciere, da responsabile degli arcieri e da presidente e debbo dire che l’emozione più grande l’ho provata come arciere. In quei momenti sai di giocarti tutto te stesso. In special modo nel rapporto con la gente del terziere, che può osannarti se vinci, ma allo stesso modo chiederti conto di tutte le tue colpe se perdi. Si pensi a mio fratello che dopo aver vinto 15 volte il palio con il Castello non gli fu perdonato, da certi contradaioli, di aver fatto perdere il Palio al Terziere dopo aver sbagliato, una volta, una freccia per pochi millimetri.
Forse questo è uno dei motivi della solidarietà che esiste tra gli arcieri di tutti e tre i terzieri. Sono in molti quelli che, come me, dopo aver finito di tirare andavano, e adesso vanno, a salutare tutti gli altri complimentandosi con loro. Sono stati tanti e sono tanti gli arcieri da Palio che possono definirsi bravi. Certo il bersaglio fisso era un’altra cosa, ci ha regalato ben tre campioni italiani di tiro ad arco nudo: Fernando Massoli, Cesare Rampi e Marcello Moretti. La compagnia degli arcieri di Città della Pieve è stata sino ad allora una delle più importanti del panorama nazionale anche in termini organizzativi e sicuramente il passaggio alla sagoma mobile ha rappresentato in tal senso una battuta di arresto se non una regressione. Prima per essere competitivi ci si allenava tutto l’anno con la possibilità di gareggiare nelle varie competizioni nazionali e anche internazionali.
Ora il tiro con l’arco è legato in modo quasi esclusivo al palio con conseguente abbandono di tutto il resto. La regola del tre ha anche ridotto il numero degli arcieri limitando ulteriormente l’accesso al palio ai giovani arcieri. La scelta di modificare la gara è stata secondo me negativa sotto questo aspetto. La sagoma fissa premiava la bravura. La gara era allo stesso modo spettacolare. Gli arcieri avevano più possibilità di emergere. Ne guadagnava lo sport del tiro con l’arco a Città della Pieve. Certo la gara era più lunga, ma anche perché c’era lo spettacolo degli sbandieratori tra le due manche. Mi ricordo in proposito che a quei tempi si tirava con “il falso scopo”. Una tecnica derivata dal tiro olimpionico in cui si metteva un riferimento a terra da collimare con la punta della freccia. Proprio lo spettacolo degli sbandieratori ci mise nei guai quell’anno, fecero cadere e rotolare via tutti i riferimenti. Il mio era una pallina da ping pong infilata su un pezzetto di ferro. Per rimediare con Alessandro Barbino saltammo la rete e corremmo come matti a casa sua. Li non trovammo di meglio che un mescolo di legno con cui rimpiazzare il riferimento andato perso. Ma scuro com’era non si vedeva e per renderlo visibile usammo la stagnola del pacchetto delle sigarette. Bei tempi e bei ricordi.
Sono stato responsabile degli arcieri nei tre anni che ho fatto il vicepresidente ed il primo anno che ho fatto il Presidente. Da responsabile degli arcieri ho avuto la soddisfazione di far debuttare ragazzini che ancora oggi vanno al “campo de li giochi” a tirare come Michele Pulito, Toni Massarelli e mio figlio Matteo. Di mio figlio debbo dire che è uno dei più bravi e, credo, che avrebbe trovato posto in qualsiasi squadra. Non è facile nella giostra di oggi esordire per un ragazzo. Devi essere subito bravo, se sbagli sei bruciato.
Nel ruolo di presidente, esercitato fino allo scorso anno per ben 9 anni, ho cercato di utilizzare al meglio le competenze acquisite in ambito professionale valorizzando al meglio le risorse umane che avevo a disposizione. Fabrizio Della Lena ne è l’esempio vivente. Un vulcano di idee come lui non può che essere lasciato libero di esprimere il suo talento creativo. L’unico freno che si può porre è quello sulle risorse necessarie per realizzare le idee. Un rammarico che mi porto dentro è quella di non essere riuscito a trovare un rapporto costruttivo con gli altri terzieri per far crescere la festa. Per crescita intendo ad esempio l’essere riusciti a sfruttare la piazza ed uscire cosi dagli ambiti ristretti del proprio rione.
Agli inizi ovviamente gli altri terzieri ci stavano davanti. Ma se guardiamo ad oggi ritengo che possiamo sicuramente vantarci di essere al pari degli altri. Mentre dal punto di vista organizzativo e dal numero di persone coinvolte che lavorano, siamo i migliori. Il perché è dovuto alla capacità che abbiamo dimostrato nel saper convogliare energie nuove e forze fresche dentro al terziere. Noi riusciamo a fare le manifestazioni ed a tenere aperta la taverna. In questo ambito siamo stati capaci di coinvolgere lo scorso anno, in determinate occasioni, anche 400 o 500 persone. La crescita è innegabile considerato che agli inizi avevamo chi ci prestava i costumi e chi le scarpe. Addirittura i sughi venivano preparati in casa. Oggi abbiamo una taverna ai livelli delle altre e disponiamo di una forza lavoro sicuramente maggiore. Con orgoglio posso affermare che siamo all’altezza degli altri su molti aspetti e su altri, come detto, siamo sicuramente i migliori.”
Si chiude qui la prima storia di palio. Il racconto di Edoardo spazia in quasi quaranta anni di manifestazione e traccia molti dei momenti e delle scelte più importanti. Scelte che hanno caratterizzato il Palio come ad esempio il passaggio dalla sagoma fissa alla sagoma mobile. Ci piace evidenziare come il ruolo di arciere abbia lasciato in lui il segno più indelebile. Non potrebbe essere diversamente visto che il cognome Rampi verrà probabilmente ricordato per molti anni a venire come quello della “Famiglia degli Acieri”.