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Ma chi erano mai questi Etruschi? Prima parte

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« È in verità impressionante il constatare che, per due volte nel VII secolo a.C. e nel XV d.C., pressoché la stessa regione dell’Italia centrale, l’Etruria antica e la Toscana moderna, sia stata il focolaio determinante della civiltà Italiana. »

(Jacques Heurgon, Vita quotidiana degli etruschi, 1967, p. 23.)

La scoperta della tomba etrusca a San Donnino a Città della Pieve ha ridestato un grande interesse per questo affascinante popolo vissuto nelle nostre terre prime dei Romani. Abbiamo intenzione di approfondire con altri contributi, il rapporto  storico che è esistito fra Etruschi e la zona dove successivamente è sorta  Città della Pieve.  Con questo primo pezzo invece, ne pubblicheremo tre, utilizzando quella che ormai è diventata l'”Enciclopedia” per eccellenza, cioè “Wikipedia”, vogliamo riassumere anche per chi già conosce il tema, la sterminata gamma di argomenti che la storia di questo popolo suggerisce.(N.d.R)

 

Etruschi

foto cartina etruschiCartina con i maggiori centri etruschi, ed “espansione” della civiltà etrusca nel corso dei secoli

Gli Etruschi furono un popolo dell’Italia antica, di lingua non indoeuropea e di origine incerta, affermatosi in un’area denominata Etruria, corrispondente all’incirca alla Toscana, all’Umbria fino al fiume Tevere e al Lazio settentrionale. Successivamente si espansero a nord nella zona padana (attuali Emilia-RomagnaLombardia sud-orientale e parte del Veneto meridionale) e a sud fino in Campania.

La civiltà etrusca ebbe una profonda influenza sulla civiltà romana, fondendosi successivamente con essa al termine del I secolo a.C.Questo lungo processo di conquista e assimilazione culturale ebbe inizio con la data tradizionale della conquista di Veio da parte deiromani nel 396 a.C.[1]

Indice

Etnonimo

Nella loro lingua si chiamavano Rasenna o Rasna, in greco Tyrsenoi (ionico e attico antico: Τυρσηνοί, Türsenòidorico: Τυρσανοί, Türsanòi, entrambi col significato di “Tirreni” e poi “Etruschi” o “Tusci”, abitanti della Τυρσηνίη, Türsenìe, “Etruria”).[2]

Storia

Origini

Sull’origine e la provenienza degli Etruschi è fiorita una notevole letteratura, non solo storica e archeologica. Le notizie che ci provengono da fonti storiche sono infatti piuttosto discordanti. Nell’antichità furono elaborate principalmente tre diverse tesi: la prima che sostiene la provenienza orientale riportata da Erodoto, storico greco vissuto nel V secolo a.C.; la seconda che sostiene l’autoctonia degli Etruschi elaborata dal greco Dionigi di Alicarnasso vissuto nel I secolo a.C., e la terza che sostiene la provenienza settentrionale elaborata sulla base di un passo di Tito Livio.

In tempi più recenti, studiosi moderni hanno ipotizzato una quarta tesi, ovvero la coesistenza di tutte e tre le teorie classiche[3]. Ancor più nuovi studi, condotti grazie a tecnologie di nuova generazione di sequenziamento del DNA (NGS), darebbero invece ragione alla versione di Dionigi di Alicarnasso[4].

Agli Etruschi si è sempre guardato come a un popolo unitario sin dalla loro preistoria. Tuttavia gli Etruschi, come unità, risulteranno esistere solo a partire dall’VIII secolo a.C. con una propria lingua e con proprie usanze, benché non fossero così omogenei nelle varie regioni dove avrebbero abitato per poter negare che essi, come unità etnica, furono il risultato dell’unione di diversi popoli. È indubbio, infatti, che da quanto è stato tramandato della loro storia e da documenti monumentali rimasti, compaiono elementi italici,egizigreci, sirio-fenici[5]mesopotamiciurartei[6]indoiranici[7][8]. Ad ogni modo, è comunemente accettato che il popolo etrusco si sia formato nella terra conosciuta come Etruria, tra i fiumiTevere e Arno, dalla costa tirrenica alle giogaie dell’Appennino.[9][10]

La Necropoli di Populonia.

Formazione e provenienza

L’archeologo Massimo Pallottino, nell’introduzione del suo manuale Etruscologia (Milano, 1984), ha sottolineato come il problema dell’origine della civiltà etrusca non vada incentrato sulla provenienza, quanto piuttosto sulla formazione. Egli evidenziò come, per la maggior parte dei popoli, non solo dell’antichità ma anche del mondo moderno, si parli sempre di formazione, mentre per gli Etruschi ci si è posti il problema della provenienza. Secondo Pallottino, la civiltà etrusca si è formata in un luogo che non può che essere quello dell’anticaEtruria; alla sua formazione hanno indubbiamente contribuito elementi autoctoni ed elementi orientali (non solamente Lidii od Anatolici) e greci, per via dei contatti di scambio commerciale intrattenuti dagli Etruschi con gli altri popoli del Mediterraneo. Nella civiltà etrusca che andava formandosi, lasciarono quindi la propria impronta i commercianti orientali (si pensi agli elementi orientali nella lingua etrusca od al periodo artistico cosiddetto orientalizzante) ed i coloni greci che approdano nel Meridione d’Italia nell’VIII secolo a.C. (l’alfabeto stesso adottato dagli Etruschi è chiaramente un alfabeto di matrice greca, e l’arte etrusca è influenzata dai modelli artistici dell’arte greca).

Bronzetto rinvenuto nellaTomba dei bronzetti sardi aVulci nel Lazio settentrionale.

Sempre nel suo manuale di Etruscologia, Pallottino scrive anche dei rapporti tra l’Etruria e la Sardegna nuragica:

« Nel quadro dei più antichi contatti marittimi si inserisce – e merita particolare menzione – il problema dei rapporti fra l’Etruria e la Sardegna, sede della peculiare ed evoluta civiltà nuragica, che dalla preistoria perdura fino ai primi secoli del I millennio a.C. Alla presenza in Etruria di genti provenienti dalle isole si riferisce la leggenda relativa alla fondazione di Populonia da parte dei Corsi (Servio, ad Aen., X, 172). Strabone menziona esplicitamente le incursioni di pirati sardi sulle coste della Toscana e fa allusione alla presenza di Tirreni in Sardegna. Non mancano d’altra parte testimonianze di relazioni commerciali e culturali tra la Sardegna nuragica e l’Etruria villanoviana e orientalizzante, con particolare riguardo alla presenza di oggetti sardi soprattutto nella zona mineraria (è possibile un motivo di connessione tra i due grandi distretti metalliferi dell’area tirrenica). A Vetulonia fu scoperta fra l’altro una delle più ricche navicelle in bronzo di produzione nuragica. Ma importazioni sarde appaiono più a sud (Vulci, Gravisca) tra il IX ed il VI secolo. Né mancano elementi di affinità tipologica e decorativa con prodotti villanoviani: tipiche ad esempio le brocchette a collo e becco allungato, la cui presenza è caratteristica della necropoli vetuloniese. Si potrebbe anche discutere la questione se le strutture a pseudocupola (tholos) caratteristiche delle tombe orientalizzanti dell’Etruria settentrionale siano reminiscenze di eredità egea dell’età del bronzo accolte per influenza dell’architettura dei nuraghi sardi dove questa tecnica è particolarmente diffusa. Ma anche in Sardegna appaiono tracce di un’influenza etrusca: forse nel nome Aesaronense di uno dei popoli della costa orientale dell’Isola (cfr. la parola etrusca aisar, ossia dei); ma anche in alcuni tipi di oggetti, sia pur rari, come le fibule… »
(Massimo Pallottino, Etruscologia, Hoepli, Milano, 1984, ISBN 88-203-1428-2, pagg. 120, 121.)

I critici dell’impostazione di Pallottino sostengono che, nell’apparente sensatezza, non consideri il peso relativo dei vari contributi: il contributo orientale (lidio o comunque egeo-anatolico) sarebbe stato invece preponderante, perché arrivato nella Penisola incontrò genti più arretrate.

Epoca Villanoviana

Vaso ossuario in bronzo con elmo risalente al IX secolo a.C., oggi conservato al Museo archeologico nazionale di Firenze.

La più antica menzione degli Etruschi rimasta è quella dello scrittore Esiodo, scritta nel suo poema Teogonia, in cui, al verso 1016, menziona «tutti i popoli illustri della Tirrenia»[11] volutamente al plurale, poiché intendeva comprendere le genti non greche d’Italia. Esiodo scriveva i suoi versi all’inizio del VII secolo a.C.: a questo periodo (690 a.C.680 a.C.) risalgono le più antiche iscrizioni etrusche conosciute, le quali, però, fanno già uso di quell’alfabeto che indubbiamente i commercianti etruschi avevano imparato nei contatti con iGreci all’emporio di Cuma, almeno settant’anni prima.[12]

Ora, poiché non è possibile che la nazione etrusca si sia affermata improvvisamente, è chiaro che la sua formazione fu il risultato di un lento e progressivo consolidamento in terra italica. Con tutta probabilità, perciò, esisteva già una cultura che tendeva a formarsi sul territorio della Penisola in varie regioni, anche distanti tra loro: e questa non può essere che quella della civiltà villanoviana.[12]

Il termine «villanoviano» deriva dal nome di un piccolo paese nella periferia di Bologna dove, nel 1853, il conte Giovanni Gozzadini, appassionato archeologo, rinvenne un sepolcreto che aveva delle caratteristiche molto particolari. L’elemento che distingueva le sepolture era il vaso ossuario (cioè contenente i resti del defunto) a forma biconica, con una piccola scodella per coperchio, deposto in un vano protetto da lastroni di pietra.[12]

Urna cineraria con coperchio rinvenuta a Chiusi, risalente ai secoli IXVII a.C.

Gli studiosi ritengono che ci sia stata una fase «preparatoria» di questa cultura, dettaprotovillanoviana riferita all’Età del Bronzo finale (XIIX secolo a.C.); cultura diffusa nel Mantovano, nell’Umbria, in Toscana, nel Lazio, in Campania, inSicilia e nell’isola di Lipari. Ci sono già tutte le premesse che poi condurranno al villanoviano vero e proprio; esse non ebbero ulteriore sviluppo nei paesi meridionali per l’apparire precoce di quegli influssi che portarono alla colonizzazione greca (VIII secolo a.C.).[12] Uno degli elementi che più spesso si notano – proprio perché legato alla sepoltura delle ceneri dei defunti (incinerazione) – è l’ossuario. Ne esistono molti tipi, spesso lavorati con finissima arte: l’effetto artistico è dato da rette, segmenti, depressioni e disegni geometrici; eppure, spesso la pasta di argilla, che veniva chiamata «ceramica d’impasto», è piuttosto rozza.[12]

In qualche caso, evidentemente si tratta di sepolture di guerrieri  il vaso biconico è ricoperto da un elmo di bronzo. Quando quest’usanza giunse nel Lazio, le ceneri del defunto potevano essere poste in un’urna in terracotta che richiamava la forma di capanne.[12]

Nella penisola italica, però, emergono e si rafforzano culture regionali, che sono spesso legate alla natura del territorio in cui si affermano: continua la vita nomade e pastorale nelle Marche settentrionali, in Abruzzo, nel Lazio settentrionale, in Irpinia, nel Sannio e in Calabria, mentre nel Lazio settentrionale, nella Toscana costiera e nell’arcipelago toscano approdano naviganti provenienti dal Mediterraneo orientale alla ricerca di metalli, il ferro all’epoca uno dei minerali più preziosi.[12] Si continua a lavorare anche il bronzo, ma questo materiale non è d’uso comune come il precedente; serve per piccoli oggetti decorativi, per statuette votive o per recipienti legati al culto. Anche se le differenziazioni regionali sono enormi, sembra che in questo periodo si faccia sentire la necessità di una vita in comune, di qualche forma di associazione fra le varie tribù del territorio italico: si cominciano a formare i primi agglomerati urbani con relativi sepolcreti.[13]

I sepolcreti, infatti, testimoniano la presenza di un antico stanziamento. Isolati, se mai, sembrano rimanere gli ambiti dell’Etruria interna, nelle regioni più inospitali, mentre i villaggi in vicinanza del mare o di vie di comunicazione fluviale si rivelano molto attive. Le principali città costiere sorgono a pochi chilometri dalla costa, l’unica città stato etrusca sul mare è stata probabilmente Populonia (in lingua etrusca Pupluna o Fufluna), mentre le altre città costiere sembrano di solito dotate di insediamenti marittimi come Regisvilla per Vulci, l’insediamento etrusco presso la colonia romana di Gravisca e lo scalo di Pyrgi per Cerveteri. Ciò significa che qualcuno, seguendo le rotte percorse dai Cretesi e dai Micenei, continuava a visitare le coste italiane in cerca del ferro, di cui erano ricche le terre tirreniche.[13]

Ci sono comunque, località come Populonia, situata sul mare, di fronte all’Isola d’Elba, di cui abbiamo buone testimonianze. Essa fu, forse, nel periodo villanoviano uno dei principali porti per l’imbarco del rame o dell’argento lavorato; solo più tardi, nel periodo etrusco, divenne «porto del ferro». Uno scrittore antico, di cui ignoriamo il nome e che gli studiosi chiamano Pseudo Aristotele, afferma che a Populonia si estraeva il rame: lo provano, infatti, scorie della lavorazione di questo minerale e resti di fornaci che venivano impiegate a questo scopo. Più tardi Populonia divenne tanto importante che nel suo territorio si lavorava il ferro estratto all’Isola d’Elba.[14] Intorno al porto, situato nell’attuale arco del Golfo di Baratti, vi erano due villaggi, come dimostrano le due distinte necropoli: una detta San Cerbone e l’altra chiamata Poggio delle Granate. Vi sono tombe a pozzo di cremate e tombe a fossa più recenti. Sia in queste ultime, sia in quelle a camera la suppellettile funebre è identica.[14]

Quindi i Villanoviani si dedicarono per lungo tempo all’estrazione di minerali e di materiali da costruzione. Ne sono riprova i resti di miniere in Toscana e nell’alto Lazio. Nelle colline, dette appunto Metallifere, e nella zona campiglia si estraeva ramepiombo argentifero e cassiterite; nella Val di Cecina rame, piombo e argento; nel massiccio del Monte Amiata c’erano rocce mercurifere; nei Monti della Tolfa minerali ferrosi, piombo, zinco e mercurioferro nell’Isola d’Elba; tufi vulcanici, arenarie e calcari nell’alto Lazio; travertino e alabastro nell’Etruria settentrionale.[14]

Secondo le più recenti indagini, sembra che i più antichi Villanoviani dell’Etruria propria si fossero concentrati in tre grandi centri: uno è quello che comprende la regione dei Monti della Tolfa, fra Tarquinia e Cerveteri; un secondo è quello situato nella media valle del fiume Fiora, fra la zona archeologica di Vulci e la selva del Lamone a ovest del Lago di Bolsena; il terzo è costituito dalle fasce collinari attorno alla Cetona fra RadicofaniChiusi e Città della Pieve.[14] Probabilmente i tre stanziamenti, dei quali i due meridionali si differenziano maggiormente rispetto al centro di Cetona, si riferivano ad economie distinte ed autosufficienti, alla cui base c’erano, comunque, l’estrazione e la lavorazione dei minerali, come attività caratteristica, che venivano portati alla costa per l’imbarco.[14]

I Villanoviani, dunque, al momento culminante della loro espansione, dovevano essere diffusi su un’area molto vasta, che va dall’Emilia-Romagna all’Italia meridionale nel sito diPontecagnano in Campania. Ci sono varie ipotesi sulla loro origine ma potrebbero essere i diretti discendenti dei popoli della civiltà appenninica che discende lungo tutta l’Età del Bronzo finale e che ha i suoi maggiori centri di ritrovamento lungo la dorsale montuosa dell’Italia centrale. Si trattava di genti dedite a un’economia pastorale, da cui i Villanoviani, e successivamente gli Etruschi, appresero l’amore per la terra e per gli animali.[14]

Ecco quindi che ben si comprende come le civiltà italiche abbiano caratteri propri ed antichi, legati a tradizioni peculiari del paese in cui si svilupparono; solo con il commercio marittimo che esplose dall’VIII secolo a.C. si apriranno i traffici e gli scambi soprattutto con l’Oriente greco e l’ambiente fenicio cartaginese.[14]

I primi insediamenti etruschi

Complesso termale etrusco e romano di Sasso Pisano

Nel IX secolo a.C. nelle aree caratterizzate dalla civiltà villanoviana si registra la marcata tendenza delle popolazioni ad abbandonare glialtopiani, sui quali si erano stanziate nel periodo protovillanoviano (XII secoloX secolo a.C.), per spostarsi su pianori e colline sui quali sorgeranno le principali città etrusche, dando vita a centri di maggiori dimensioni. Tale radicale cambiamento risponde ad esigenze prettamente economiche legate al più razionale sfruttamento delle risorse agricole e minerarie ed alla scelta di collocarsi in prossimità di vie di comunicazione naturali e di approdi fluviali, lacustri e marittimi per ragioni di natura commerciale.

Dagli scavi effettuati il territorio appare diviso in vasti comprensori articolati in gruppi di villaggi ravvicinati tra di loro, ma con necropoli distinte (ne hanno fatto oggetto di studio Gilda Bartoloni e Giovanni Colonna).

Per la ricostruzione delle abitazioni, realizzate con materiali deperibili (legno ed argilla), ci si può avvalere di un numero piuttosto limitato di rinvenimenti di superficie (come fondamenta, fori per i pali di sostegno e canalette di fondazione) e dei modellini rappresentati dalle urne conformate a capanna. Le capanne avevano pianta ellittica, circolare, rettangolare, o quadrata di dimensioni molto varie a prescindere dalla forma. Le abitazioni erano di solito sostenute da pali inseriti all’interno del perimetro per il sostegno del tetto ed all’esterno per le pareti. Vi erano però anche abitazioni molto incassate nel terreno e il cui tetto poggiava su un argine di terra e sassi. Alcune capanne mostrano anche una ripartizione interna. Il focolare di solito era collocato al centro. Il tetto poteva essere a quattro falde o a doppio spiovente. Le abitazioni, inoltre, avevano una porta sul lato più corto, abbaini sul tetto per l’uscita del fumo e talvolta anche finestre.

Per quanto riguarda l’organizzazione interna dei villaggi, si è osservato che le capanne sono distanziate le une dalle altre da spazi vuoti in misura variabile, probabilmente utilizzati per le attività agricole. Si è poi ipotizzato che le capanne quadrangolari avessero funzione abitativa, mentre quelle di forma rettangolare od ovale venissero utilizzate come stalle e magazzini. Peraltro l’impossibilità di accertare la contemporaneità dell’uso delle varie strutture non consente di confermare o smentire l’ipotesi. Si può semmai affermare che le strutture che non presentano il focolare potrebbero essere interpretate come aventi funzione diversa da quella abitativa.

Gli scavi non hanno portato alla luce segni che consentano di individuare fortificazioni. Infine, le necropoli sono state rinvenute in aree limitrofe a quelle dei singoli villaggi.

La società villanoviana

La struttura sociale delle comunità villanoviane può essere desunta dalla documentazione archeologica ed in particolare dai corredi funerari. I corredi del villanoviano più antico (IX secolo a.C.) sono piuttosto poveri. La tipologia degli oggetti consente comunque l’identificazione del sesso del defunto. Le deposizioni maschili si caratterizzano per la presenza di rasoi a forma rettangolare o semilunata, fibule ad arco serpeggiante, spilloni e, seppur raramente, armi. Talvolta la copertura dell’ossuario è costituita da un elmo fittile ad evidenziare la qualità di guerriero del defunto. Il corredo funebre femminile è costituito da cinturoni, fermatrecce, fibule ad arco semplice o ingrossato, fusaiole, rocchetti, conocchie. Le urne a capanna (rinvenute in Etruria meridionale, a Vetulonia e forse a Populonia), diversamente da quanto accade nella cultura laziale, non sono di esclusiva prerogativa maschile ma riguardano anche le donne. In ogni caso i corredi delle urne conformate a capanna non risultano più cospicui di quelli relativi a vasi biconici.

Nei corredi di questo periodo è poco diffuso il vasellame, rappresentato quasi esclusivamente dall’ossuario biconico e dalla ciotola di copertura. Le sepolture, contraddistinte dall’uso quasi esclusivo del rito incineratorio, presentano di massima una struttura a pozzetto od a fossa seppur con varianti locali.

La documentazione archeologica della prima fase del villanoviano farebbe quindi pensare ad una società tendenzialmente egualitaria. Peraltro la semplicità dei corredi potrebbe anche non rispecchiare fedelmente la società ma essere determinata da ideologie religioso-funerarie. In ogni caso, anche per il villanoviano più antico, non mancano rinvenimenti dai quali emergono segni di differenziazioni sociali. A Tarquinia, ad esempio, nella necropoli di Poggio Selciatello, si evidenziano alcune deposizioni, maschili e femminili, con corredi particolarmente significativi per la qualità e/o quantità degli elementi. Inoltre, in alcune deposizioni maschili del IX secolo a.C. (a BolognaTarquiniaCerveteriVeio) sono state rinvenute delle verghe di bronzo o d’osso interpretate come “scettri” (in questo senso Gilda Bartoloni) e quindi come attributi del prestigio e della funzione del defunto. Sotto un diverso profilo è stato osservato (Jean-Paul Thuillier) che le forme di insediamento del villanoviano, caratterizzate dallo spostamento verso pianori e colline e dall’accentramento degli individui nell’ambito di villaggi più grandi rispetto al periodo precedente, sembrano corrispondere ad un vero e proprio disegno politico e fanno quindi ritenere l’esistenza di capi nell’ambito di tali comunità.

A partire dagli inizi dell’VIII secolo a.C. si colgono gradualmente i segni di una differenziazione sociale che porteranno alla nascita delle aristocrazie. Si rinvengono deposizioni, sia ad incinerazione che ad inumazione (rito, quest’ultimo, che, specialmente nell’Etruria meridionale, va sempre più affermandosi accanto a quello crematorio), che si distinguono per la ricchezza dei corredi maschili e femminili. Alcune deposizioni si segnalano, infatti, per l’aumento degli ornamenti personali e per la qualità e/o per le cospicue quantità di vasellame fittile e bronzeo. Gli oggetti in argomento inoltre comprovano scambi tra comunità villanoviane ed anche tra villanoviani e comunità di diversa cultura. Oltre ad oggetti di provenienza laziale, dauniaenotria e sarda si distinguono attestazioni greche ed orientali (Siria, Fenicia, Egitto). I corredi delle tombe ad inumazione, di solito, sono più cospicui di quelli delle deposizioni ad incinerazione. Aumentano in misura rilevante le urne conformate a capanna.

Le deposizioni maschili più prestigiose presentano morsi di cavalli, carretti miniaturistici, elmi, scudi, spade, lance ed asce. I carretti miniaturistici si ritrovano anche nelle deposizioni femminili di rango, che, per il resto, si caratterizzano per quantità e qualità degli strumenti per la filatura e delle parures. Anche la tipologia delle tombe ed i rituali, seppur nello stesso contesto di tempo e di luogo, risultano fortemente differenziati. Le tombe a camera con pluralità di deposizioni (Populonia) e le tombe a circolo di pietre (Vetulonia), inoltre, sembrano mettere in rilievo, accanto ai singoli individui, la famiglia ed i gruppi familiari, che si identificano appunto per l’occupazione di determinati settori delle necropoli e per la comunanza dei corredi e dei rituali (Gilda Bartoloni).

Gli Etruschi e i Greci

L’influenza degli antichi Greci sugli Etruschi determinò una fase storico-culturale definita “orientalizzante” (VIII secolo a.C.), seguita da quelle dette – in analogia con le fasi della storia greca – “classica” ed “ellenistica“. I contatti avvennero soprattutto attraverso la Magna Grecia, cioè le colonie greche nell’odierna Italia meridionale.

La ceramica fu oggetto sia di scambi diretti di vasallame tra Etruschi e Greci, sia di esportazioni di tecniche produttive e artistiche, con un miglioramento della tecnologia etrusca nei torni e nei forni. Gli scambi culturali interessarono anche la religione, con forme di reinterpretazione delle divinità tradizionali etrusche in modo da farle corrispondere a presunte equivalenti greche (Tinia/ZeusUni/EraAita/Ade, ecc.)

Espansione

Testa di canopo da Chiusi (VI secolo a.C.)

L’apogeo dell’espansione etrusca fu toccato a metà del VI secolo a.C.; nella battaglia di Alalia del 540 a.C. sconfissero, assieme ai Cartaginesi, i Focesi di Marsiglia. In quest’occasione i prigionieri focesi vennero lapidati dagli etruschi di Caere.[15]

In questo periodo, gli Etruschi riuscirono a stabilire la loro egemonia su tutta la penisola italica, sul Mar Tirreno e, grazie all’alleanza con Cartagine, sul Mediterraneo Occidentale.

Espansione a nord e a sud

Dal litorale e dall’entroterra toscano, dove praticavano l’agricoltura anche grazie alle opere di bonifica di zone paludose, gli Etruschi si espansero in seguito sia a nord, nella Pianura Padana (fine VI secolo a.C.), sia a sud, nell’attuale Lazio. In campo economico svilupparono l’estrazione e la lavorazione dei metalli grazie alle miniere, soprattutto di ferro, presenti sul loro territorio; l’artigianato etrusco fu nell’antichità particolarmente apprezzato e questo favorì la crescita dei commerci via mare, praticati soprattutto dalle città di CerveteriVulci e Tarquinia che giunsero a controllare gli scambi nel Mar Tirreno. Se è valida l’affermazione di Tito Livio che i Reti stanziati nell’attuale Trentino-Alto Adige fossero di derivazione etnica etrusca, può essere che gli Etruschi controllassero anche le vie di scambio verso il Nord Europa.

Non va però del tutto esclusa l’ipotesi, avanzata tra gli altri da Mario Torelli, che gli etruschi popolassero praticamente dalle origini la Valle Padana e soprattutto l’Emilia e certe zone della Romagna, dove era presente un cospicuo nucleo villanoviano (soprattutto tra Bologna e Rimini), semplicemente nel corso del VI secolo nuove migrazioni, di etruschi più ricchi, organizzati e “civilizzati”, si sovrapposero ad un nucleo più povero e “primitivo” di abitanti, pure etruschi, ma ancora legati ad una civilizzazione in villaggi contadini poco o per nulla differenziati socialmente e con una scarsa divisione del lavoro.[16]

Fondazione di Perugia

Perugia, Arco Etrusco

I primi insediamenti di cui siamo a conoscenza nel territorio risalgono ai secoli XI e X a.C., con la presenza di villaggi nei pressi delle falde dell’altura perugina ed a partire dall’VIII secolo a.C. anche sulla sommità del colle dove sorgerà la città. Il rapido sviluppo di Perugia è favorito dalla posizione dominante rispetto all’arteria del fiume Tevere e dalla posizione di confine tra le popolazioni etrusche ed umbre. Gli Umbri devono cedere all’affermarsi del popolo etrusco, attestandosi definitivamente a est del Tevere. Il vero e proprio nucleo di Perugia si forma intorno alla seconda metà del VI secolo a.C., ma vi erano anteriormente insediamenti villanoviani nell’area del colle perugino e dalla disposizione delle necropoli etrusche abbiamo una testimonianza indiretta dell’espansione del primo tessuto urbano. Perugia diventa in breve una delle 12 lucumonie della confederazione etrusca. Nel310309 a.C. forma una Lega insieme alle altre città etrusche scontrandosi con le truppe romane guidate da Quinto Fabio Massimo Rulliano; al termine della battaglia viene siglata una tregua, che non verrà rispettata, di 30 anni. Tito Livio IX 37.12, dal resoconto di Quinto Fabio Pittore.

La cinta muraria etrusca originaria, oggi ancora visibile, viene edificata tra il IV ed il III secolo a.C.: con una lunghezza di tre chilometri, racchiude il Colle Landone e il Colle del Sole sui quali si erge la città.

Etruschi e Romani

Le origini di Roma

Sui colli lungo il basso corso del Tevere, sorgevano alcuni villaggi di pastori del popolo dei Latini. Nell’VIII secolo a.C., essi s’ingrandirono e si unirono, trasformandosi in un’unica città: Roma. Nei secoli seguenti, Roma estese il suo dominio dapprima sull’intera Italia, poi in tutto il bacino del Mediterraneo.

Vestigia etrusche a Roma: i Tarquini (616-509 a.C.)

Sotto la dinastia etrusca dei Tarquini (ultimi re di Roma) furono intraprese grandi opere pubbliche, tra cui acquedotti, mura cittadine, sistemi fognari e immensi templi, come quello dedicato a Giove, Giunone e Minerva sul Campidoglio.

Tarquinio Prisco era un ricchissimo e noto abitante della città etrusca di Tarquinia, emigrato a Roma divenne il quinto re di Roma. Secondo la tradizione fece erigere il Circo Massimodestinandolo come sede permanente delle corse dei cavalli; prima di allora gli spettatori assistevano alle gare che qui si svolgevano seduti da postazioni di fortuna. In seguito a forti alluvioni, che interessarono specialmente le zone dove sarebbe sorto il futuro Foro Romano, fece poi iniziare la costruzione della Cloaca Massima, che da due millenni mantiene bonificata l’area originariamente paludosa alla base dei colli di Roma. A lui si deve poi l’inizio dei lavori per la costruzione del Tempio di Giove Capitolino sul colle del Campidoglio.[17]

Servio Tullio fu il successivo re di Roma di origini etrusche, fece costruire sull’Aventino il tempio a Diana, trasferendo a Roma il culto latino di Diana Nemorensis. A Servio si ascrive anche la decisione di costruire il Tempio di Mater Matuta ed il Tempio della Dea Fortuna, entrambi al Foro Boario. A lui è attribuita la costruzione delle Mura Serviane, le prime difese unitarie di Roma, che erano rappresentate da un massiccio terrapieno costruito nelle zone più esposte della città e dall’unione delle difese individuali dei colli.[18]

L’ultimo re di Roma di origini etrusche fu Tarquinio il Superbo, secondo la tradizione sotto il suo regno furono portati a termine la Cloaca Massima e il Tempio di Giove Capitolino. La bonifica dell’area dell’antico Foro Romano dovuta alla Cloaca Massima, rese possibile la formazione di un antichissimo borgo ai piedi del colle Palatino detto Vicus Tuscus perché in origine fu abitato da mercanti etruschi.[19]

Declino

Espansione celtica nella valle padana

Le città-stato erano autonome, cioè indipendenti. Ma c’erano anche cose che le accomunavano: la lingua e la religione. Fu proprio la loro mancanza di unità la causa della loro decadenza: le città del Nord furono conquistate dai Celti; quelle del Sud furono conquistate dai coloni della Magna Grecia e dai Sanniti e quelle del centro caddero una dopo l’altra sotto il dominio di una nuova potenza che stava cominciando ad affermarsi nel Lazio: Roma.

Il declino degli Etruschi iniziò nel V secolo a.C., con il progressivo distaccarsi dalla loro influenza prima di Roma, poi dei Latini, quindi della Campania con la perdita di Capua ad opera degli Osci[20][21] e delle aree settentrionali a opera dei Galli.

L’indebolimento dei commerci marittimi si fece drammatico quando nel 453 a.C. il tiranno di Siracusa Gerone occupò la ricca Isola d’Elba e provocando di fatto un blocco dei porti, con l’eccezione di Populonia. Sull’Adriatico le città etrusche vennero contemporaneamente attaccate dai celti e dai siracusani, in piena espansione, dopo la vittoria di questi ultimi contro la flotta ateniese nel412 a.C. Conquistata la vicina Veio nel 396 a.C. dopo una guerra durata quasi un secolo, Roma si espanse nell’Etruria meridionale, spesso ricorrendo a rotture dei patti, come nel caso dell’attacco a Volsini (Orvieto), quando interruppero un pluridecennale trattato di pace dopo pochi anni dalla sua stipula. Dopo la decisiva battaglia di Sentino (295 a.C.) nel giro di qualche decennio furono assoggettate a Roma le città dell’attuale Lazio, divenute alleate quando Roma subì l’attacco de parte dei cartaginesi di Annibale. Anche se le città entrarono nel territorio romano prima dell’inizio del I secolo a.C., ebbero uno “status” particolare (cittadinanza latina, con minori diritti rispetto a quella romana), finché la Guerra Sociale del 90 a.C., ponendo fine alla loro autonomia, li riconobbe la cittadinanza romana mediante la lex Julia dell’89 a.C.

Guerre contro i Romani

La scomparsa graduale degli Etruschi

Nel 396 a.C. Veio fu conquistata dai romani; le altre città etrusche non intervennero immediatamente, ma combatterono contro Roma che continuò comunque la sua politica di conquista. Nel 294 a.C. cadde la seconda città etrusca, Roselle, e di seguito tutte le città dell’Etruria meridionale persero la loro indipendenza (alcune delle quali scomparvero definitivamente – Vulci, Veio, Volsinii, Sovana e Populonia) mentre nel nord le incursioni continue del celti, iniziate prima del VI secolo a.C. distrussero i centri della pianura padana (Felsina, Melpum, Marzabotto, Spina).

L’indipendenza amministrativa dei centri etruschi terminò con la “Lex Iulia” dell’89 a.C., anche se scritti in etrusco sono documentati fino alla metà del I secolo d.C.