Dal Nuovo Corriere Nazionale .
L’indagine sui 20 anni di declino umbro. La prima consegna un’Umbria già malata, la crisi fa il resto. L’attuale presidente ha visto sbriciolarsi il blocco imprenditoriale – sociale dell’era lorenzettiana e ha cercato di barcamenarsi senza riuscirne a trovarne un altro. Da qui la sua ‘solitudine’, mentre la regione ha continuato a scivolare
Dopo aver presentato, nell’edizione di ieri, la prima puntata della storia del declino economico-politico dell’Umbria dalla seconda metà degli anni Ottanta ad oggi, ecco la seconda puntata che riprende da quanto mancava dell’era Lorenzetti, arrivando alla presidenza Marini (la puntata di ieri è leggibile a pagina 14 dell’edizione digitale del 2 agosto, alla quale si accede gratuitamente andando sul sito del giornale, www.nuovocorrierenazionale.it). Ricordiamo comunque che, fino al 31 agosto, tutte le edizioni del giornale digitale sono sfogliabili gratuitamente. E cogliamo l’occasione per ringraziare della risposta dei lettori, davvero eccezionale, con decine di migliaia di pagine viste.
di Giuseppe Castellini
Del blocco edilizio-commerciale come base sociale e imprenditoriale di supporto alla presidenza Lorenzetti si è detto ieri. Come pure di come, nel decennio lorenzettiano 1995-2005, il Pil pro capite, fatto 100 quello medio nazionale, sia sceso da 103,7 del 1995 (al termine della presidenza Bracalente) a 99,5 del 2000, per poi calare ancora a 95,6 del 2007, ultimo anno pre recessione. In questi anni l’Umbria si appoggia in modo forte su due settori, appunto l’edilizia (è anche il periodo dei corposi fondi per la ricostruzione post terremoto) e il commercio, soprattutto della grande distribuzione, che dipendono dalla regolazione amministrativa e che, rappresentando i ‘motori non autonomi’ dello sviluppo (proprio perché dipendenti dalla regolazione amministrativa), presentano indici di produttività minori rispetto ai ‘motori autonomi’, ossia alle imprese che competono sul mercato aperto. L’Umbria, insomma, dopo la spinta degli anni Settanta e primi Ottanta, ora ‘galleggia’ e perde notevoli posizioni in termini di produzione pro capite di ricchezza, come testimoniano appunto i dati dell’Istat.
Lorenzetti
La Lorenzetti è la presidente dell’Umbria che ha potuto contare su più fondi europei, grazie ad Agenda 2000. E ha potuto contare su un grosso flusso di finanziamenti per la ricostruzione (ben fatta, va riconosciuto). Sull’onda di questo fiume di risorse, lancia una sorta di mega concertazione, il “Tavolo per lo sviluppo e l’innovazione dell’Umbria”. Un tavolo che diventa subito il festival della burocrazia e della spartizione della torta. I risultati del Pil pro capite, finita la festa, stanno lì – come visto – a dimostrare che sono state divorate risorse senza produrre granché di innovativo e solido. Lorenzetti vorrebbe che l’occasione di tante risorse si trasformasse in un irrobustimento del tessuto imprenditoriale regionale e nella sua innovazione tecnologica, ma la leva dei fondi europei, benché cospicua, non riuscirà a produrre questo risultato.
Nel complesso, l’Umbria esce da quegli anni come vi era entrata nella qualità del tessuto imprenditoriale e in peggio riguardo alla ricchezza prodotta pro capite.
In più, la maxi concertazione produce anche dei fenomeni di eccessiva contiguità tra alcune imprese e pubblica amministrazione che, in seguito, mostrerà anche la sua faccia negativa. Lorenzetti affermava che “l’asticella da superare era stata posta in alto”. In realtà, più che superarla ci si passò allegramente sotto.
L’altro pilastro a cui si appoggia Lorenzetti è la sanità, sulla quale ottiene buoni risultati, che rappresenta la terza gamba dei suoi ‘pretoriani’: edilizia, commercio e, appunto sanità.
Il rimprovero maggiore che viene fatto da molti alla Lorenzetti è di non essere riuscita, con le grosse risorse che ha gestito, a spingere sull’innovazione del sistema produttivo regionale, prigioniera appunto dei suoi ‘pretoriani’, e di aver fatto trovare l’Umbria malata allo scoppio della grande recessione, nel 2008.
La solitudine della Marini
La Marini eredita nel 2010 un’Umbria entrata già bolsa e malata nella grande recessione. Nel 2009 ha preso una botta fortissima in termini di caduta del Pil, ben superiore alla media nazionale. Tra il 2007 e il 2009 il Pil dell’Umbria in termini reali era crollato del 9,5%, contro il -6,5% del dato nazionale.
Un ciclo economico, che era via via scemato, crolla fragorosamente. Entrano in crisi soprattutto due dei tre pilastri su cui aveva regnato la Lorenzetti, edilizia e commercio, insieme ai loro protagonisti sociali. Da basi solide, questi due settori si trasformano in problemi. Il terzo pilastro, la sanità, invece regge. E Marini lo segue da vicinissimo e in perfetta sintonia con l’assessore Franco Tomassoni, ‘sfilandolo’ a Bocci e avvicinandolo a sé. Quando Tomassoni morirà, Marini si terrà stretta la delega fino alla fine della legislatura. Su chi si appoggia la Marini, su chi fa leva? Su tutti e nessuno. Non rompe le vecchie alleanze socio-economiche lorenzettiane, anche perché si erano mobilitate per aiutarla nell’elezione, che però si sbriciolano da sole perché i soggetti imprenditoriali e sociali che le garantivano via via vanno in coma, e non può appoggiarsi a un ‘nuovo’ imprenditoriale che è disperso e gracile. È sola, insomma. E lo scopre presto.
Con il primo programma che presenta sembra puntare tutto su un rinnovamento profondo, in senso dell’innovazione incardinata sull’economia verde, del tessuto imprenditoriale regionale, e cerca di far mettere in rete le aziende con progetti specifici. Ma gli sforzi, data la recessione, sfumano. In quel ‘nuovo’, alla fine, si scopre che c’è molto di vecchio. Così la Marini oscilla tra ‘nuovo’ e ‘vecchio’, come un pendolo, cosciente della sua solitudine. Qualcuno (Ferrucci) è per una rigenerazione profonda del tessuto produttivo concentrando su questo le risorse pubbliche (ormai solo quelle europee e non nella misura del passato), altri vogliono provare a tenere il vecchio innestando un po’ di nuovo.
Il fatto è che non funziona. L’Umbria continua a scivolare, la società a non trovare nella Regione una bussola di riferimento per il futuro. Le idee iniziali si appannano, la gente non vede risultati, le condizioni di vita e di lavoro peggiorano. Si arriva alle elezioni del 2015, vinte per un soffio dalla presidente. Qui inizia la seconda legislatura mariniana. Che, al momento, sembra la fotocopia della prima.
E non basta uno ‘storytelling’ sull’Umbria dell’innovazione a fare vero quello che tutti sanno vero non è.
(2 – fine)