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Fora ( Patto Civico). Presentata una mozione verso Giunta Regionale e Governo per richiedere l’utilizzo dei fondi del Mes e per il ridisegno della sanità dell’Umbria

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Andrea Fora, consigliere di minoranza del Gruppo “Patto Civico per l’Umbria” e fra i protagonisti principali della costituzione di “Civici per l’Umbria” ha presentato una mozione in consiglio regionale sulle linee di finanziamento per la sanità umbra, che interessa molto la nostra zona. Come è noto la nostra zona è la più penalizzata sinora a livello regionale ed attende iniziative di riequilibrio sia in termini di servizi territoriali ed ospedalieri, sia di creazione di posti letto. Questo che segue è il testo della mozione presentata. (n.d.r)

L’Assemblea Legislativa dell’Umbria

PREMESSO

che il MES consente un piano coerente per rinnovare la sanità come dimostrato da M&M di Fabrizio Pagani e Fondazione Cerm di Fabio Pammolli che, con un team di esperti composto, tra gli altri, da Carlo Altomonte, Gioia Ghezzi, Cosimo Pacciani, Roberto Sambuco, hanno elaborato un piano in cinque punti per ridisegnare la sanità italiana nel post-covid sfruttando lo strumento del Pandemic Crisis Support (PCS), la linea di credito speciale creata in ambito Mes.

Che è noto che per l’Italia le risorse utilizzabili ammonterebbero a oltre 36 miliardi di euro e sarebbero soggette ad un’unica condizione: il finanziamento della sanità, dei costi di prevenzione e cura, diretti o indiretti, per consentire al Paese di fronteggiare l’emergenza pandemica.

Che le simulazioni di quanto spetterebbe all’Umbria basandosi sui parametri per il 2020 del riparto del Fondo sanitario nazionale senza considerare la quota per lo Stato centrale, che quindi andrebbe detratta, indicano in circa 551 milioni di euro il totale delle risorse per la sanità regionale;

Che il focus è sulla modernizzazione del sistema sanitario in termini di strutture edilizie, dotazioni tecnologiche, infrastrutture digitali. L’obiettivo è contribuire a raggiungere un virtuoso equilibrio tra prevenzione, assistenza territoriale e sanità ospedaliera. E che i cinque punti del piano sono: 1) Programma urgente per l’ammodernamento della rete ospedaliera nazionale, per realizzare nuove strutture in sostituzione delle esistenti o il retrofit di strutture disponibili, rendendole pandemic-compliant; 2) Adeguamento delle strutture intermedie di cura, delle strutture di prossimità e delle residenze sanitarie assistite (RSA), rendendole pandemic-compliant; 3) Creazione di una rete nazionale permanente di monitoraggio sanitario e biosorveglianza, con la previsione di un forte coordinamento centrale e con il contestuale rafforzamento e coordinamento delle reti regionali e territoriali; 4) Potenziamento della rete di diagnostica e assistenza domiciliare e creazione di una rete per la telemedicina e la teleassistenza; 5) Rinnovo delle dotazioni tecnologiche sanitarie e, inoltre, creazione di una rete nazionale di laboratori per lo svolgimento di test diagnostici, con particolare riferimento ai test RT-PCR.

Che il focus primario è, come s’è detto, sulla modernizzazione del sistema sanitario, in termini di strutture edilizie, dotazioni tecnologiche, infrastrutture digitali, con l’obiettivo di raggiungere un efficace bilanciamento tra attività di prevenzione, assistenza territoriale e sanità ospedaliera e con soluzioni capaci di assicurare la continuità ospedale-territorio, in linea con le previsioni del DM 70/2015. Per questo il piano ipotizzato “Bridge to sanità” prevede sia interventi da finanziare ex novo, sia la rifinalizzazione di stanziamenti già esistenti. Tutte le misure sono coerenti con un quadro di programmazione pluriennale, che ne assicura la sostenibilità, curando di non determinare un innalzamento della spesa pubblica corrente a regime.

Che l’esecuzione del programma prevede procedure accelerate per le Regioni che abbiano adottato piani sociosanitari previsti dal DM 70/2015 e, inoltre, l’identificazione di un soggetto unico responsabile del programma, che curerà la progettazione delle soluzioni di finanziamento, l’attuazione e la rendicontazione, assicurando tempi certi per la realizzazione, l’aggiudicazione e il monitoraggio delle attività programmate e dei relativi bandi di gara.

Che sono di tutta evidenza i vantaggi per l’Italia dell’utilizzo del Pandemic Crisis Support (PCS) del MES. La crisi simmetrica del Covid19 ha spinto l’UE a creare una nuova linea di credito, il Pandemic Crisis Support (PCS) nell’ambito del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), emittente pubblico dotato di assoluta credibilità sui mercati dei capitali (il Mes gode della tripla A, il massimo rating). Proprio in ragione della sua specificità, la linea di credito Pcs non ha condizionalità. L’Italia potrebbe accedere a finanziamenti Pcs per il 2 % del suo Pil, cioè fino a oltre 36 miliardi. Questa linea di credito è finalizzata a ciò che si detto: finanziamento nazionale di costi sanitari, di cura e prevenzione, diretti o indiretti, dovuti all’emergenza covid-19. L’utilizzo da parte dell’Italia delle risorse Pcs porta i seguenti benefici: • Un vantaggio pari a circa 150bps per i circa 36 miliardi disponibili. Si tratta di un risparmio considerevole che ammonta ad alcuni miliardi di euro: da 4,7 a 5,8 a seconda delle soluzioni (7 o 10 anni); • Una minore utilizzazione, per l’Italia, del mercato internazionale del debito, dato che i prestiti proverrebbero da una istituzione europea e avrebbero la natura di finanziamenti a condizioni particolari e a lunga scadenza; • Un ampliamento delle fonti di finanziamento dello Stato, in un momento che ha visto un aumento senza precedenti, per dimensioni e urgenza, di spesa pubblica; • Un’allocazione di fondi esclusivamente mirata a rafforzamento e riforma del sistema sanitario, in maniera profonda e moderna, che tenga conto delle esigenze della salute nel covid e post-covid, dunque anche in chiave di prevenzione; • Infine, un utilizzo oculato e programmato dei fondi Pcs che ben si coordina ed è complementare alle ulteriori risorse previste dalla EU Recovery Initiative nell’ambito del programma EU4Health, finalizzato allo sviluppo di politiche sanitarie a carattere generale per l’intera Ue.

Che se è vero come è vero che l’Italia ha bisogno del MES, ciò è ancor più vero per l’Umbria. La nostra regione ha infatti bisogno di ripensare a fondo il suo sistema sanitario nei due corni di sistema di prevenzione e di cura, pur partendo da alcuni punti di forza che appunto esistono, come si è visto anche in questa fase di gestione della pandemia. Le domande sono semplici: C’è bisogno di ammodernare la rete ospedaliera? C’è bisogno di adeguare e potenziare la medicina territoriale, le strutture intermedie di cura, le strutture di prossimità e le residenze sanitarie assistite (RSA)? C’è bisogno di monitoraggio sanitario e biosorveglianza, con un coordinamento regionale dei presidi territoriali? C’è bisogno di un potenziamento della rete di diagnostica e assistenza domiciliare e della creazione di una rete per la telemedicina e la teleassistenza? Infine, c’è bisogno di rinnovare le dotazioni tecnologiche sanitarie e di laboratori per lo svolgimento di test diagnostici pronti anche per emergenze pandemiche? Se la risposta è si, come non può che esserlo per tutte le domande, allora anche l’Umbria ha bisogno del Mes. E naturalmente deve progettare rapidamente la riorganizzazione complessiva del suo sistema sanitario prevedendo gli interventi necessari in tutti gli aspetti che lo possono rendere tale. E in modo che sappia rispondere alle esigenze di prevenzione e di cura in tutti i territori che la compongono non perché in ogni parte ci deve essere tutto, ma perché la dislocazione razionale delle funzioni garantisca ad ogni cittadino il migliore esercizio del diritto di tutela della salute come oggi ancora non accade.

Che è facilmente comprensibile che se il nuovo Piano Sanitario Regionale elaborato da questa giunta non dovesse seguire questa logica, non sarà in grado di rispondere né alle criticità evidenti già in fase pre-covid, né ai disequilibri e alle difficoltà di gestione evidenziati in fase pandemica, né alle esigenze di rilancio complessivo della regione che invece un’intelligente operazione di riorganizzazione del sistema sanitario oggettivamente comporta.

Che il Piano Sanitario Regionale dovrà tener conto di due principi fondamentali: 1. Non si potrà tornare ad un governo centralizzato della sanità, sia nazionale che regionale, per sopperire alla frammentazione di poteri e alla confusione dei ruoli. La realtà ormai spinge, come pare evidente da un complesso di considerazioni, verso una riorganizzazione nel medio e lungo periodo del sistema istituzionale per macroregioni funzionali, ed allora nel riorganizzare la sanità bisognerà guardare al superamento funzionale dei confini regionali per ottenere servizi territoriali ottimizzati a favore dei cittadini e non dei sistemi di potere. Questo peraltro per l’Umbria è anche una importante opportunità essendo completamente interclusa tra altre regioni. Le diverse aree cerniera, in una politica di servizi funzionali, sono il luogo naturale di un interscambio progettato e adeguatamente organizzato. 2. Non si potrà ignorare che dove il sistema ha risposto meglio è accaduto perché la medicina territoriale non era stata smobilitata. Per cui è in questa direzione che bisognerà riorientare il sistema nel suo complesso.

Che per ridisegnare il sistema sanitario occorrerà considerare tante cose: il modello AFT e le case della salute, il ruolo dei Comuni, la preparazione dei medici di medicina generale, l’assistenza psicologica di base, la formazione del personale sanitario, il ruolo educativo della scuola per gli stili di vita, il ruolo dei distretti sanitari, da sviluppare nel senso di una gestione molto più autonoma anche in termini di bilancio. La riorganizzazione della rete ospedaliera è essenziale, ma non si può ridurre tutto ad ospedale.

Che sulla medicina territoriale occorre muovere da alcune riflessioni: da una parte i livelli crescenti di diseguaglianza economica e di precarietà, dall’altra l’indebolimento dei sistemi di solidarietà pubblica, portano parti sempre più consistenti di popolazione a vivere in condizioni di disagio. Ad esempio, in Umbria, la povertà relativa è passata dal 12,6% del 2017 al 14,3% del 2018. In questo quadro, mettere al primo posto la persona significa destinare investimenti strutturali alla qualità della vita di anziani, famiglie e persone deboli, con politiche promozionali pubbliche e del Terzo settore. Soprattutto, dopo la Fase 2 e 3 del post-Covid, che ha moltiplicato proprio quelle debolezze.

Nell’ottica MES/Umbria risulta dunque fondamentale investire nei “legami comunitari”, quelle relazioni che fanno delle comunità umbre un elemento fondamentale del tessuto sociale, che va salvaguardato e valorizzato prima che si sfaldi. Le risorse umane e le relazioni di prossimità sono il miglior investimento per le nostre comunità, capaci di scongiurare il degrado e mantenere alto il livello di sicurezza, reale e percepita. In questo senso vanno investite risorse per favorire le associazioni di cittadini e la cura di vicinato, servizi sociali efficienti e forme innovative di animazione e aggregazione sociale.

Che in una Regione come la nostra, in cui peraltro il dato demografico ci restituisce un’Umbria che sta invecchiando, appare fondamentale lo sviluppo della medicina territoriale. In particolare è importante l’estensione capillare del modello AFT (Aggregazione funzionale territoriale). Attualmente, a partire dal 01/07/2018 nei Distretti della USL Umbria 1 sono state attivate 21 AFT e nella USL Umbria 2 16 AFT, strutture capaci di offrire risposte immediate in tutti quei casi in cui non sia necessario rivolgersi al pronto soccorso di un ospedale. Dunque le AFT rappresentano il fondamento della medicina territoriale, oggi tanto invocata e necessaria in situazione di emergenza. Dato che le AFT sono ambulatori integrati di medici di medicina generale, medici di continuità assistenziale (ex guardia medica) e infermieri che collaborano per garantire sul territorio un’assistenza sanitaria primaria diurna h12, con gli investimenti MES si potenziano le figure degli infermieri di famiglia e/o comunità e degli interventi medici personalizzati. Peraltro con il Decreto Rilancio – Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34 recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” – è prevista l’introduzione dell’infermiere di famiglia con arruolamento a regime di 9600 professionisti. L’integrazione della medicina di prossimità e dei suoi aspetti sociali reclama la predisposizione, altresì, di un Piano sistematico per la costituzione in tutti i Distretti sanitari delle R.S.A. (Residenze Sanitarie Assistite) e un Piano territoriale per la diffusione delle R.P. (Residenze protette), in coerenza con le esigenze dei singoli territori;

TUTTO CIO’ PREMESSO E CONSIDERATO IMPEGNA LA GIUNTA REGIONALE:

1) a sollecitare il Governo nazionale perché attivi la richiesta Pandemic Crisis Support (PCS) previsto dal MES;

2) a predisporre il nuovo piano sanitario regionale tenendo conto di quanto indicato nelle premesse del presente atto.

Comunicato stampa