Continuiamo a presentare con “Il Mercato delle Gaite”” di Bevagna, le rievocazioni storiche che saranno presenti il 13 di dicembre alla 1° edizione di “Epoche in Passerella “ l’iniziativa organizzata dal Terziere Castello e dal “Centro Espositivo don Oscar Carbonari”
Il termine “ guaita o gaita” deriva dal longobardo “Watha”, cioè “guardia”. Con questo nome sono indicati i quattro quartieri in cui era suddivisa Bevagna ed il suo territorio.
La divisione è attestata dagli Statuti comunali giunti fino a noi nella redazione del XVI secolo. Sulla base di tale testo si ricreano, durante la festa, i momenti più rappresentativi e suggestivi rappresentanti le antiche magistrature cittadine, la vita sociale e le attività economiche dell’antica Mevania. ( Bevagna).
Sempre dagli statuti si ricavano preziose notizie circa l’economia cittadina, le modalità e le tecniche di produzione dei principali prodotti locali, il funzionamento dei forni, dei mulini, l’organizzazione di alcune botteghe, le modalità di vendita di determinate merci. Dettagliate indicazioni regolano infine i pesi e le misure adottati nel territorio di Bevagna. Privilegiati punti di vendita sono le trasanne poste nella piazza maggiore, nelle quali si potevano vendere pane, frutta, spezie, sale e pesce, seguendo precise norme igieniche. Il vino era venduto in vasi sigillati dal Camerario; secondo la capacità essi si chiamavano pitictum, mezzeto e foglietta.
La macellazione degli animali avveniva in appositi casalini: gli animali venivano scuoiati fino alla testa e appesi; le pelli potevano essere tenute ad asciugare per la strada solo di martedì, giorno del mercato. Il banco di vendita della macelleria non aveva parametri; la bilancia, regolata e sigillata dal Comune, doveva essere posta un palmo al di sopra del banco così da essere bene in vista. Le carni di scrofa, pecore, becchi, capre, castrati, montoni dovevano essere vendute in luoghi distanti dal macello, quelle di animali morti per cause naturali fuori dalle porte cittadine.
I mulini del comune si trovavano nei pressi della porta malvicinorum; la loro organizazione interna, il lavoro del conduttore, i compiti dei garzoni erano minuziosamente regolamentati dallo Statuto. Nei mulini erano conservate le misure del coppulo, che doveva essere legato alla catena del mulino, dei mezzenghi di legno, ferrati ed aggiustati secondo le misure del comune e sigillati con lo stemma di Bevagna, e del quartengo. Lo statuto termina con un elenco dettagliato di merci vendute a Bevagna, tra le quali si riconoscono prodotti locali e d’importazione.
La festa, che si articola nell’ultima settimana di Giugno, vive il suo momento più significativo nei giorni del mercato, che dalla piazza principale si sviluppa lungo i due corsi fino a diramarsi all’interno dei quattro quartieri. Pur nel rispetto sostanziale dei dati offerti dalle conoscenze storiche, ogni gaita ha saputo dare al proprio mercato una fisionomia autonoma e, per certi versi, caratterizzante. Così si va da allestimenti apparentemente poveri nei quali si offrono esclusivamente prodotti locali, a soluzioni più articolate, nelle quali si dà spazio anche all’intervento di artigiani esterni. Le strade si popolano di banchi e si animano del rumore delle botteghe nelle quali il visitatore può trovare stoffe, oggetti in cuoio, vimini, cordami, carta, ferro battuto, rame candele lavorate a mano ed ancora formaggio, pesce, pane appena sfornato, focacce.
Come completamente essenziale del mercato è stata concepita la realizzazione di alcuni mestieri medievali, secondo le antiche tecniche di lavorazione e di produzione. Anche nella scelta dei mestieri le gaite si caratterizzano per interpretazioni autonome, ispirate sia ad una rigorosa fedeltà alla realtà economica della Bevagna medievale (forno, tele, lavorazione del ferro), sia ad una lettura più libera, ma altrettanto fedele nella riproduzione delle tecniche e degli strumenti di produzione. Tali botteghe rimangono aperte per l’intera settimana, contribuendo a creare quel clima di fervore che culminerà nei giorni del mercato.