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A pochi metri dalla riva

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Durante la traversata il mare era stato calmo, con onde piccole e continue che si perdevano in lontananza diventando un insistente luccichio. C’era una certa continuità estetica con l’altrettanto infinito luccichio del deserto. E poi le dune erano a loro volta onde, benché enormi e ferme. Comunque dopo l’inumana traversata del Sahara verso il Mahgreb e la navigazione nel mediterraneo, erano ormai in prossimità delle coste italiane. Il cielo era disseminato di vaghe nubi, immobili, quasi cristallizzate nell’azzurro. Il litorale si intravvedeva appena, era lì a portata di mano.

All’indomani sarebbero stati portati verso la costa da altre imbarcazioni e la nave: un ammasso di ferro rugginoso, avrebbe proseguito nella sua la spola trasportando “materiale umano”. Verso sera il cielo si addensò di nuvoloni e il mare si aprì ad un intenso moto ondoso. Tra i migranti c’era anche un giovane sedicenne del Niger. Durante l’intero viaggio aveva osservato e registrato tutto nella mente. I colori, i disagi, le paure, i sapori, gli odori, i sogni. Aveva ascoltato anche i discorsi dei vari “accompagnatori” e dei suoi compagni di avventura. Il suo sogno era scrivere. Voleva esordire con un lungo resoconto del viaggio che lo aveva portato in Italia, avrebbe trovato un editore e poi avrebbe lavorato presso qualche testata giornalistica dalla parte dei poveri, dei suoi fratelli in fuga dalla propria terra. Sentiva che era il predestinato a perorare la causa di questo enorme flusso di disperati ammassati sui barconi, che nessuno voleva. Additati da tutti come diavoli fuggiti dall’inferno per creare scompiglio nel benessere ovattato dell’occidente opulento. Dopo pensava di dare forma artistica, sempre attraverso la scrittura, a tutta una serie di fantasie che fin da piccolo fluttuavano nella sua mente. Era un esistenza parallela che qualche volta addirittura prendeva il sopravvento sulla realtà. Ma lui non faceva distinzione netta tra i due scenari. Per lui vita e immaginazione si confondevano, per questo doveva fare lo scrittore, per liberare gli scenari che coesistevano nel suo essere. Scenari possibili e impossibili di una fantasia che cavalcava vento, stelle, nuvole, note musicali, arcobaleni, albe e uragani, sorrisi, bronci, lacrime luccicanti come deserti o onde perse nel sole di una traversata mediterranea. E poi ancora danze e canti, gioia e sofferenza.

Durante la notte il mare diventò grosso, l’alba fece capolino timidamente e rivelò un paesaggio grigio come il piombo. Si era fatto anche freddo. E il ragazzo non vedeva l’ora di mettere i piedi sulla terra ferma. Giunsero sotto la nave tre barconi che dovevano permettere ai migranti di trasbordare e raggiungere la riva. Le onde si gonfiavano sempre più ma anche se rappresentavano un pericolo, ormai nulla avrebbe potuto fermare lo sbarco di questa gente. Avevano pagato rastrellando soldi e spiccioli, sperando di avere in cambio una fetta dalla torta del destino, quella fetta che sempre mancava al menù della loro vita. Un pezzo di serenità, un momento per poter sorridere e anche un tozzo di pane.

I tre barconi erano vicini, ma non potevano ulteriormente accostare a causa delle onde. Qualcuno cominciò a tuffarsi raggiungendo una delle barche a nuoto. Un po’ per volta con l’ausilio di salvagenti tutti presero posto sui barconi e dai giubbotti salvagente e lungo la pelle sgrondava l’acqua salata di quel “mare nostrum” sempre protagonista nel bene e nel male della storia di noi mediterranei.

Il ragazzo era spaventato dalle onde che erano ormai diventate gigantesche e numerose. Continui, insistenti spruzzi d’acqua sferzavano le prue e gli occupanti dei barconi rannicchiati su se stessi, come per proteggersi in quel ormai ultimo spazio che li separava dalla meta. Ma i motori, benché spinti al massimo risultavano insufficienti a spingere le imbarcazioni contro la furia del mare. E un coro di incomprensibili imprecazioni si levavano quando scavalcata l’onda la barca sprofondava in una sorta di voragine che in un attimo si gonfiava in un nuovo maroso dando luogo ad uno sconclusionato e pericoloso beccheggio del natante. Ad un certo punto le imprecazioni, i lamenti…cessarono e piombò un silenzio di paura. Si udiva solo la voce rabbiosa del mare e ogni movimento del barcone veniva seguito dall’attenzione muta della paura.

In teoria il viaggio, la traversata poteva dirsi conclusa, ma la riva, benché poco distante, era pressoché impossibile da raggiungere sia con il barcone sia a nuoto. Le onde così caparbie, insistenti, alte, poderose diventavano più serrate e pericolose. Il fondo dei barconi era coperto d’acqua e questo intimoriva ulteriormente i “naufraghi” ma l’arenile sembrava a portata di mano, un altro piccolo sforzo e la nuova vita poteva finalmente cominciare.

Il ragazzo nigeriano tratteneva il fiato dalla paura e dall’emozione. E questi due sentimenti contrastanti si confondevano nella mente. Ma egli era sicuro che anche questa esperienza alla fine sarebbe rivissuta su un foglio e avrebbe acquisito contorni più veri della vita stessa.

Cominciò una sequenza di onde gigantesche. Le barche si innalzavano e sprofondavano in una frazione di secondo e lo stomaco arrivava in gola e la paura faceva quasi scoppiare il cuore. Qualcuno strabuzzava gli occhi in un conato di vomito che veniva ricacciato nelle viscere dal terrore. Arrivò un’onda che aveva inglobato un’altra onda, era una massa d’acqua immane, le prime due barche essendo investite di prua scavalcarono il maroso sprofondando nel vuoto che si aprì sotto la carena. La barca dove c’era il ragazzo nigeriano fu invece investita sulla fiancata e si rovesciò. Grida confuse si levarono nella burrasca, tra le onde, nell’inferno dell’acqua salata come lacrime degli dei. Ma un aiuto non riuscì ad esprimersi, si soffocò perché chi stava per urlare, per il dolore alla testa colpita dal bordo del barcone che si rovesciava, svenne e rimase sotto il pelo dell’acqua. Era il ragazzo nigeriano. Tra coscienza e incoscienza non riuscì a trattenere il fiato. L’acqua salmastra intasò le vie respiratorie e non gli lasciò scampo.

Le vedette della guardia costiera avevano intercettato le imbarcazioni. Immediatamente si portarono nel bel mezzo dei flutti e tutti furono tratti in salvo. Nessuno aveva fatto caso nella confusione che uno mancava. Nemmeno fu cercato e quando riaffiorò, il giorno dopo, a pochi metri dalla riva, sulla superficie ormai placida del mare, sembrava dormisse cullato dalle onde che lo abbracciavano come una grande madre cosmica. E tra quelle braccia sembrava non si fosse reso conto di essere morto proprio come faceva prima di annegare, confondeva realtà…fantasia…vita…morte.

Nunzio Dell’Annunziata