Sempre sul “Messaggero” un articolo di Andrea Fora, Franco Barbabella e Gianni Codovini dell’Esecutivo Regionale di Civici Per l’Umbria, sul futuro dell’Italia Centrale.
“Il sociologo Luca Diotallevi ha avuto il merito di aprire un interessante dibattito su Il Messaggero rispetto alla questione – vecchia e irrisolta – dell’Italia Centrale, nel quale stanno intervenendo molti esponenti delle istituzioni e dei partiti. La domanda di fondo oggi è: “Nella situazione di riprogettazione del Paese post pandemia, quale può essere il destino dell’Italia centrale per non rimanere schiacciata tra Nord e Sud?”. Ci sono alcuni elementi di novità. Da un lato, il Sindaco di Firenze rilancia l’idea di una macroregione Centro Italia come nuovo motore di sviluppo con fuoco sul sistema infrastrutturale e sulle reti di città, dall’altro, con ancora maggiore chiarezza e forza innovativa, Diotallevi dice che “rispetto al Recovery plan la ‘questione Italia Centrale’ va trattata non come una questione settoriale o particolare, ma come una questione strategica, di rilievo nazionale e continentale”.
Il punto cruciale è proprio questo, uscire da schemi di ragionamento consunti: non più macroregione come astratta esigenza e come tema di ingegneria istituzionale, ma visione strategica del futuro. Detto in altri termini, uscire dalla logica residuale della dialettica Nord-Sud, ed assumere la funzione di “cerniera attiva” tra due aree da riorganizzare anch’esse verso l’Europa. L’AUR nei mesi scorsi è stata chiara: se l’Europa non vuole escludere dal suo ambito l’area mediterranea, non può fermarsi al Nord dell’Italia ma deve assumere la questione dell’Italia Centrale come strategia propria. L’AUR non a caso vede l’occasione di crescita in una più avanzata infrastruttura digitale e nell’alta velocità di rete ferroviaria incrociata con le grandi arterie stradali, oltre che nella funzione trainante delle città più che delle regioni, con la necessità di cedere compiti da queste a quelle. Ne derivano conseguenze sia programmatiche che politiche.
Una sfida innanzitutto culturale per le classi dirigenti, che ai nuovi paradigmi dello sviluppo globale e dell’Europa devono aggiungerne almeno due. Il primo lo potremmo definire il “paradigma del non-confine”, secondo il quale l’organizzazione amministrativa deve favorire e non ostacolare le filiere dello sviluppo. Conseguenze: 1) Centrare le politiche regionali sui territori, in particolare quelli di confine da intendersi come ponti interregionali; 2) Sviluppare le filiere legate alle vocazioni territoriali di area vasta; 3) Riorganizzare i servizi con criteri funzionali ai diritti di cittadinanza e non di appartenenza regionale. Il secondo può essere definito come “paradigma delle opportunità civiche”, attraverso il quale il valore delle politiche e delle classi dirigenti si misura sulla capacità di apertura alla collaborazione per creare opportunità e benessere. Conseguenze: 1) Abbandonare la concezione proprietaria del potere pubblico; 2) Semplificare le procedure, promuovere e incentivare partecipazione, aggregazione e cooperazione; 3) Valorizzare con norme di programmazione il ruolo propulsivo delle amministrazioni locali verso politiche territoriali; 4) Sviluppare le interconnessioni di rete, materiali e immateriali, tra città e territori.
Opportunità civiche appunto. Perché queste idee si concretizzino devono tradursi in progetto politico che si incardina in un luogo. L’Umbria può essere questo luogo, per almeno tre ragioni. La prima, perché il modello centralistico ha esaurito ogni ragion d’essere ed ora si deve passare al protagonismo delle realtà territoriali, con quelle di confine a fare da propulsori interregionali. La seconda, perché qui più che altrove sono evidenti le conseguenze (negative) delle politiche da “regione chiusa e autosufficiente”. L’ultima, perché qui si sta sperimentando più che altrove il ruolo aggregativo delle diversità di un forte movimento civico che fa del rovesciamento della piramide, delle politiche di solidarietà e dello sviluppo delle reti, la propria identità fortemente inclusiva.
I principali terreni su cui sollecitare in questa direzione la società e le forze politiche sono la riforma del sistema sanitario, le politiche ambientali incluso il nuovo piano dei rifiuti, un sistema dei trasporti tecnologicamente rivoluzionario, la riforma endoregionale, istituzionale ed elettorale. Occorre poi avere il coraggio e la capacità di reperire e allocare le risorse in un grande e unico Piano Operativo Regionale (POR). Ci sono quelle del Recovery Fund e quelle della programmazione europea 2021/27: sono risorse ingenti, che vanno inquadrate e progettate insieme. Non solo, ma occorre una visione che faccia di queste risorse un moltiplicatore di sviluppo economico e sociale. Questo moltiplicatore può essere appunto “l’Italia mediana”. Si apra dunque il tavolo della modernizzazione infrastrutturale interregionale nei settori maturi: trasporti, interconnessioni urbane, sistemi scolastici e formativi, hub culturali e turistici, politiche ambientali ed energetiche, sistemi coordinati delle filiere produttive. Su questo punto, seppure con minor visione d’insieme, tanto il Presidente Zingaretti che la Presidente Tesei, hanno dato segnali di apertura. La dimensione territoriale di livello macro è diventata criterio selettivo per ogni competizione, tanto che la stessa competizione economica è geo-territoriale. E’ una sfida impegnativa, ma occorre provarci se vogliamo che ci sia “un’Umbria dopo l’Umbria”, e se vogliamo che la stessa “Italia mediana” non sia un’illusione.”