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Barbabella “L’impronta civica rende autentica la politica”

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Prendendo spunto da un mio articolo, pubblicato alcuni giorni fa, interviene Franco Barbabella, già sindaco di Orvieto, storica figura del mondo della scuola, promotore di una lista civica nelle ultimo elezioni e consigliere comunale di minoranza. E stato tra i fondatori di “Umbria dei Territori” e poi di “Civici Per” (g.f)

A mio parere ogni discorso politico deve partire oggi da tre elementi di realtà, che sono poi tre crisi, e una connessa possibile mutazione culturale-antropologica. Le tre crisi: quella dell’ambiente planetario, quella degli equilibri geopolitici multipolari, infine quella delle liberal-democrazie dell’occidente capitalistico. La possibile mutazione culturale-antropologica: la tensione verso un comune destino umano, che non è ancora un dato, ma già si staglia come nuovo necessario paradigma della salvezza del sapiens insieme al suo ambiente.

Su questo scenario di fatto si innestano tutte le discussioni particolari di questo convulso periodo di mutamenti, che appaiono confusi, ma che possono assumere senso se ci sforziamo di vederli in doppia sequenza, dal particolare al generale e dal generale al locale. Tutto ci dice infatti che quella che ormai possiamo chiamare con Urlich Beck “la metamorfosi del mondo” non contempla due possibilità: 1. la “reductio ad unum” della frastagliata pluralità di condizioni, esperienze e convinzioni; 2. la rinuncia al patrimonio storico, politico, intellettuale e morale, delle democrazie liberali, che costituisce il fondamento di un’identità vissuta come irrinunciabile. Ciò che esclude soluzioni di dominio.

Se assumiamo questa impostazione come criterio di analisi e di ricerca di indicazioni strategiche, allora se ne possono trarre alcune conseguenze, sia per un orientamento politico generale, sia per il progetto civico di cambiamento che dal locale si proietti verso il generale e ne agganci responsabilità e conseguenze. Mi pare che siano quattro le questioni conseguenti che premono. In sintesi: ruolo e destino dell’Occidente e dell’Europa; natura e prospettive della crisi italiana; bisogno di senso originario della politica; ruolo del civismo nella dimensione nazionale e in quella regionale.

  1. Occidente ed Europa.

I cigni neri di questi anni (la crisi ambientale, la crisi finanziaria, la crisi pandemica, la crisi degli equilibri mondiali, la guerra e le altre crisi connesse – quella energetica e quella alimentare) ci dicono che, se molti dei problemi che viviamo derivano da interessi, miopie ed errori, sia di lungo che di breve periodo, delle classi dirigenti che si sono succedute in questa parte del mondo, è anche vero che qui sta anche la possibilità di condurre la battaglia per uscirne con speranza di successo. In ogni caso qui sta il patrimonio storico, ideale, civile e istituzionale, cui l’umanità intera può attingere per riconoscere sé stessa come dotata di un destino comune. L’Occidente e l’Europa sono aree strutturalmente universalizzanti, sul piano delle idee e dei valori prima che su quello economico.

Anche per questo la stessa globalizzazione, se è vero che per le nuove condizioni internazionali va in crisi per come l’abbiamo conosciuta, è anche vero che cambia ma non muore. Lo dimostrano d’altronde alcune concretezze: la pandemia con la ricerca di soluzioni globali di prevenzione e cura; il fatto (vedi analisi dell’Economist) che le filiere della produzione e della distribuzione del valore non vengono sconvolte più di tanto dalla logica delle sanzioni; le intersezioni delle fonti energetiche e dei problemi alimentari prima e dopo la guerra di Putin.

Per tutto questo l’invasione russa del’Ucraina ha avuto come effetto immediato, nient’affatto scontato, il rafforzamento del ruolo dell’Europa e della NATO. Di più: la NATO diventa molto più che nel passato lo strumento di difesa delle democrazie, soprattutto se cresce, come sembra che stia avvenendo, il peso politico e il ruolo di difesa dell’Europa. Per l’Europa poi scatta l’ora delle decisioni storicamente decisive: le sue classi dirigenti dovranno stabilire, al di là delle emergenze, se vogliono che l’Europa esista come soggetto politico autonomo e libero o debba accontentarsi di vivere divisa all’ombra e alle condizioni delle autocrazie aggressive impegnate a spartirsi le risorse del globo. Di fatto questa è la grande partita oggi aperta, che, come si vede in questi giorni, è il vero spartiacque degli orientamenti e delle alleanze tra le forze politiche, in Italia e in altri Paesi europei.

  1. Natura e prospettive della crisi italiana.

Quella italiana è certamente crisi di lungo periodo. Penso però che ciò che chiamiamo crisi in realtà sia soprattutto un affastellarsi di problemi non risolti per tempo e incancrenitisi fino ad apparire irrisolvibili. Si pensi al tema dell’istruzione e della formazione, all’uso sfacciato che ne è stato fatto per decenni con le non-riforme della scuola, prima con quel compromesso per cui ti pago poco ma in compenso non ti chiedo niente, e poi con la dequalificazione programmata del personale mediante infornate senza concorso come sanatoria di lunghi periodi di precariato. Con il risultato di una popolazione che nell’epoca della società della conoscenza per un buon terzo non comprende un testo elementare e lascia emigrare all’estero ogni anno migliaia e migliaia di giovani formatisi nelle università. Uno spreco, un danno materiale e spirituale, una imperdonabile sottrazione di futuro.

Si pensi al tema della giustizia, sul cui stato ormai tutto ciò che si può dire suona inevitabilmente come uno spreco di parole. Inutile parlare ancora degli scandali, dei casi infiniti di mala giustizia, del continuo debordare in campi non consentiti dalle regole della democrazia, dell’uso improprio del carcere. Inutile dire della stessa condizione carceraria indicata ormai da più di un soggetto come riproposizione delle logiche seicentesche di tortura. Niente di tutto ciò può essere ritenuto casuale. Il risultato comunque è la paralisi, la sfiducia, il senso di lontananza dallo spirito e dalle regole dello stato di diritto. Un vulnus grave per la democrazia. L’iniziativa, lo svolgimento e l’esito dei recenti referendum è il riassunto della mancanza di lucidità e di coraggio di un frastagliato mondo politico che ha perso da tempo la bussola.

Si pensi infine al tema del sistema istituzionale, il cui affanno è talmente evidente che anche per esso ogni discorso rischia di apparire puro esercizio retorico. Le numerose riforme, sia quelle fatte che quelle mancate, hanno avuto, con poche eccezioni, più il sapore di operazioni strumentali contingenti che di disegno riformatore lungimirante. Certamente hanno tale sapore sia la riforma del Titolo V° del 2001, sia la riforma Renzi-Boschi e relativo referendum del 2016. Ma soprattutto lo ha la riduzione del numero dei parlamentari con legge costituzionale approvata nell’ottobre 2020, questa davvero riassuntiva dello stato comatoso del sistema politico.

Una riforma di pura demagogia voluta da M5s e arrivata in porto per le logiche di potere senza visione proprie sia della coalizione giallo-verde che di quella giallo-rossa. Una bandierina, analoga alle altre bandierine (reddito di cittadinanza, quota 100, superbonus 110 %), ma molto più grave per la sua portata sia rispetto alla rappresentanza sia rispetto al funzionamento del Parlamento e probabilmente anche rispetto alla stabilità democratica se nel contempo non verrà cambiata la legge elettorale, quella stessa che era stato promesso di voler cambiare subito, contestualmente alla legge costituzionale.

Ecco, tutto questo mi pare che dimostri che la crisi italiana, questo affastellarsi di problemi non affrontati per tempo o affrontati per interessi di parte e contingenti, sia essenzialmente crisi di classi dirigenti. In sostanza, il sistema nel tempo si è avvitato su sé stesso e rischia il collasso in un mondo in rapida trasformazione che richiederebbe lungimiranza, lucidità, fermezza e capacità di tenere insieme le diversità trasformandole in risorsa. Lo sconquasso del mondo politico, che in questi mesi e poi in questi giorni si sta svolgendo sotto i nostri occhi attoniti, non a caso è stato accelerato dalle scelte rese necessarie dalla guerra di Putin. Forze politiche nate per speculare su debolezze ed errori dei partiti tradizionali, e cresciute poi a dismisura sull’onda di un movimentismo protestatario figlio di crisi e anche di avventurismo organizzato, non possono reggere all’urto delle metamorfosi della storia. Speculano, ma non costruiscono, non hanno gli strumenti intellettuali e la struttura etica per poterlo fare. Le ragioni profonde della crisi del sovranismo e del populismo stanno tutte qui.

  1. Bisogno di senso originario della politica.

C’è dunque un enorme problema di cultura politica della modernizzazione, la necessità di attivare competenze coordinate su progetti di trasformazione dentro una visione che spazi e navighi, cioè sappia concepire e promuovere processi settoriali e generali. Per descrivere il momento storico che viviamo possiamo prendere in prestito l’espressione che dà il titolo al fitto programma di iniziative dell’edizione n.2 di Sud&Nord che la Fondazione Francesco Saverio Nitti organizza a Maratea proprio in questi giorni. Il titolo è “Fase di passaggio”, che così viene spiegato: “Una fase che contiene cinque crisi (migrazioni, pandemia, guerra, economia, lavoro). I media le trattano una per una. Seguendo la notizia del giorno. Lo si capisce. Ma sono le interdipendenze di queste crisi e creare i ‘problemi nuovi’ e a rendere ‘vecchie’ le soluzioni di una volta”. Meglio di così non si poteva dire in che senso la fase che viviamo è da intendere di passaggio.

Si tratta di ripensare la politica rispetto al suo stesso fondamento, cioè come governo della polis, la comunità organizzata in interrelazioni e interdipendenze. Il mondo è interrelato. Il locale non può fare a meno del globale, ma nemmeno il globale funziona senza tradursi in un locale che partecipa e a sua volta funziona. Come tradurre dunque la ricchezza di esperienze che maturano nelle dimensioni locali e regionali in qualcosa che sia utile per la più ampia comunità nazionale senza perdere in radicamento e originalità? Sono le riflessioni e le domande che si stanno facendo strada nel mondo variegato e ricchissimo di esperienze innovative del civismo.

Di qui la proposta di aprire la “fase transterritoriale del civismo” mediante la costituzione di una “Federazione Civica Nazionale” come luogo di confronto organizzato delle esperienze civiche di Nord, Centro e Sud, e punto di aggregazione di forze riformatrici. È la sfida al rinnovamento della politica che abbina pensiero e concretezza, sapienza strategica e capacità operativa, saldezza di principi, chiarezza di obiettivi e flessibilità operativa. Postula coerenza e credibilità. È appunto il senso originario della politica: governare al meglio la comunità qualunque essa sia, per dimensione, storia, composizione o localizzazione.

  1. Ruolo del civismo nella dimensione nazionale e in quella regionale

Le liste e le concrete esperienze civiche, come dimostra anche la nostra vicenda qui in Umbria, possono diventare civismo, ossia soggetto e progetto politico transterritoriale di ordine e dimensione regionale e/o nazionale, solo se effettuano una serie di passaggi di tipo sia formale che sostanziale rispetto ai valori, alle scelte di contenuto e all’organizzazione. Sulla strada del soggetto politico regionale ci siamo avviati ormai da due anni. Su quella nazionale ci siamo avviati da circa un anno. Su quella di un soggetto politico che da regionale può diventare macroregionale abbiamo da poco, ma in modo molto promettente, avviato il percorso.

Dunque c’è un processo di costruzione in atto, complesso, graduale e molto interessante. Un aspetto va subito evidenziato: la scelta di assumere la funzione di soggetto politico a più livelli non solo senza perdere radicamento ma anzi facendo del radicamento di territorio la vera valenza politica del civismo, la sua forza di rinnovamento e la sua capacità di apporto di odine generale, può essere la carta vincente. Si dimostra infatti non solo che le differenze fanno ricchezza ma che solo così si supera un dei limiti più seri della vecchia politica, il fatto che essa isola, esclude, assoggetta, deprime, persone e territori. La politica del civismo al contrario sceglie il “rovesciamento della piramide” e diventa credibile se rispetta la sua natura, che tende ad unire e includere, a superare schematismi, lotte di fazione e consorterie, a trasformare l’idea del rovesciamento in progetti che la rendono carne viva e vita vissuta. È la sua battaglia.

Ci siamo già? No, siamo solo in cammino. Ma è una scommessa realistica, un percorso possibile. Dei due scenari indicati da Gianni Fanfano con tutta evidenza è coerente con questa impostazione solo il secondo, “lo scenario di chi sceglie di rifondare la politica”. Lo si è fatto in quasi tutte le occasioni. A Todi no, ci si è illusi che potesse essere, se non vincente, comunque utile la vecchia politica. Ne dobbiamo trarre insegnamento, perché in questi casi anche la sorte diventa avversa. Al civismo evidentemente non si chiede azzardo o avventura, ma coraggio sì.

Il civismo diventa soggetto politico se non si allinea alla politica delle beghe, delle furbizie, degli interessi contingenti. Il che non significa certo politica dell’ingenuità quanto piuttosto politica dell’autenticità, quella che ragiona in termini progettuali, affronta i problemi con competenza e cerca le soluzioni possibili guardando all’interesse comunitario oltre le pulsioni del momento. Ma lo diventa anche e soprattutto se esplicita gli orientamenti valoriali fondamentali, la libertà, la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto delle regole dell’ordine internazionale.

Oggi perciò non possiamo non sentirci parte in causa con l’Occidente e l’Europa nel sostegno alla lotta dell’Ucraina contro la feroce aggressione russa. Non possiamo non essere ambientalisti, ma non ambientalisti ideologici, che negano le interconnessioni e i problemi sociali. Non possiamo non valutare come strategica l’opera del governo Draghi e non vedere come risorsa preziosa la linea teorico-pratica che tale opera indica alle forze responsabili del Paese e alle cancellerie europee. Non possiamo infine non vedere qui come essenziale tutto ciò che rappresenta contrasto e alternativa al sovranismo e al populismo di ogni tendenza.

Su queste basi si può lavorare ad un programma ambizioso di rinnovamento e modernizzazione che, dal livello locale a quello regionale e nazionale, pur rispettando differenze territoriali nei diversi livelli in cui si svolge la politica, nella società e nelle istituzioni, tuttavia sia riconoscibile come apporto del civismo per il superamento di arretratezze e ingiustizie, strozzature di sviluppo e di lavoro, insicurezze e paure del futuro.

In questa prospettiva rientra la battaglia culturale e politica della riforma istituzionale. Per noi sono sicuramente essenziali tre questioni: il superamento delle frammentazioni territoriali e le politiche di area interregionale; la riforma elettorale su base territoriale; il progetto politico di macroregione dell’Italia Mediana da maturare sia all’interno della Federazione Civica Nazionale sia nella cultura politica regionale. Ma su questo, che è problema di per sé molto complesso e pieno di variabili, mi riservo di intervenire con altra riflessione.

Franco Raimondo Barbabella