Un sogno la vita

by redazione

“Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo,  non è che un sogno dentro un sogno?” ( E. A. Poe)

E’ sempre un mistero la vita in tutte le sue fasi e quando ci sembra di aver afferrato una presunta verità, quando una convinzione appare alla fine fondata e l’esperienza, la maturità ci fanno quasi presagire qualche oggettiva realtà, tutto di nuovo si riconfonde come in un sogno. E sì perchè intanto la vita che ci sembra scorrere nella lenta monotonia di giornate uguali, passa senza farsi notare negli interstizi degli eventi e quando infine la scorgiamo è già scappata. Infatti i vecchi affermano sempre che la vita è passata in un attimo, erano fanciulli e poi… E poi anche se la vita non avesse fine lo stesso non saremmo in grado, col nostro “sentire” attuale, di capire gli infiniti ghirigori che paiono senza senso e forse lo sono. E insignificanti eventi che sembrano semplici giochi del fato, si rivelano poi col tempo magari, intersezioni cruciali del nostro esistere.

Eppure in alcuni periodi della mia vita ebbi la sensazione di aver afferrato il senso del nostro partecipare al pulsare del grande battito dell’universo. E fu quando la prima volta sentii nel profondo di me il tepore avvolgente dell’amore. Fu una scoperta fondamentale ma in seguito mi resi conto che non poteva l’amore dare tutte le risposte della vita. A quel punto appurai che la nostra ciclicità biologica, il formarci e poi disfarci nell’universo, diventando parte di tutto all’infinito, era una risposta affascinante e appagava l’intreccio della speculazione filosofica che rincorreva se stessa. Ma passato un po’ di tempo, come al solito, tutto era di nuovo fumoso e inesplicabile. Poi quando non fui più un giovanotto avvertii nelle cellule il bisogno fisico, psicologico, sociale, naturale, animale, di diventare padre. E il fato volle soddisfare la mia esigenza ineluttabile. Questa mi convinsi, sarebbe stata la risposta alle mie domande: in definitiva, la gallina, non era forse l’espediente dell’uovo per produrre un altro uovo? La nostra vita disciolta nella storia del mondo non sarà forse l’illusione che la natura primigenia ha instillato nel nostro spirito per costringerci a procreare? Poi disteso nel letto col bimbo al mio fianco dimenticai tutto: tutto nel senso delle domande irrisolte dell’esistenza.

Nel primo periodo dopo la nascita il bimbo era stato quasi esclusivamente della mamma. Poi sempre più spesso iniziai a tenerlo in braccio e ad accudirlo, gli cambiavo il pannolino, lo lavavo accuratamente. Certo quando si diventa padre si scopre un mondo, di emozioni e di gesti quotidiani. E poi le sensazioni tattili, olfattive, visive. E la curiosità, studiando ad esempio le infinite smorfiette che accompagnano lo sbadiglio. E lo stupore per il timbro dei vagiti, e delle ciglia corrugate, per il nasino che si arriccia e le manine che si stendono caparbie ad afferrare l’aria mentre cercano la bocca o il seno materno.

I babbi sono meno apprensivi delle mamme, tra una premura e una perplessità un dubbio materno, si contrappone la solita sdrammatizzazione paterna. E così giorno per giorno si tira su questo esserino…

Un giorno mia moglie propose: “Perchè non provi a farlo dormire tu, il bimbo? Vedo che ormai andate d’accordo, portalo a letto, sussurragli parole dolci. Se non si addormenta dopo ci penso io.”

Nell’aria la primavera si fceva largo spazzando via nubi e bruma mattutina e nel pomeriggio il tepore giungeva al culmine. E in questa dolce e mite aria pomeridiana che sapeva vagamente di mare anche se il mare era lontano adagiai il mio bimbo tra le lenzuole e mi accoccolai accanto a lui. Giocammo. Beh, in effetti io giocavo e lui si divertiva con sorrisi, risate più forti e sonore e anche con una sorta di vocalizzi che allineava nella sconclusionata fantasia dell’infanzia. Man mano si attenuò l’ilarità e ben presto il bimbo cominciò a socchiudere gli occhi e pareva che una nuvola delicata e rosea si stendesse come una coltre di dolcezza a coprire il sonno puro e angelico proprio dell’infanzia. Questa calma e beatitudine cominciò a contagiarmi e mollemente le palpebre mi si socchiudevano invitandomi ad entrare in quel dormiveglia rilassante che sconfina spesso nel mistero… Mistero di idee, sensazioni, immagini… E dormivo anche, a sprazzi e il sonno veniva infranto dal sonoro del televisore in sordina, da stralci di conversazioni, slogan pubblicitari estrapolati dalla bizzarria del fato dal volo nella stanza di una smpiterna trasmissione… Brr, Brancamenta! Coca cola! Per l’uomo che non deve chiedere, mai! Poi il sonno rimboccava la coltre alle immagini oniriche che si dipanavano placide insieme al riposo del bimbo che con teneri sussulti faceva sentire la sua presenza senza mai interrompere il contatto fisico.

Poi ancora dal televisore o dal sogno chissà: “Marinai! Date il vostro sangue per forgiare l’arpione che aprirà la strada fin nel cuore di Moby Dick.”

Dopo nel grande “schermo” (della mente, del sogno, della vita, del televisore?) apparve un dipinto enorme e meraviglioso, splendente: grandi valli, monti, laghi e fiumi. Uno scenario di incontaminata natura. Un paradiso terrestre immerso dentro una luce irreale. Tutto fermo, non un alito di vento, nessun segno di vita animale. L’acqua era immota, cristallina e ferma, di diamante. Poi d’improvviso la scena diventava reale e si poteva entrare nel quadro, pescare nel immobile lago. Lanciare l’amo con l’esca e attendere, attendere: un’attesa che somigliava alla vita, come attendere anni e anni senza che nulla succedesse…poi ecco il filo di nylon tendersi. Ecco concretizzarsi l’aspettativa di tutta l’esistenza. Gira il mulinello, gira in fretta che il tempo stringe. Gira, gira come le lancette dell’orologio. Gira, la lenza si recupera con il premio dell’immane fatica di attendere. Eccolo il gran pesce si vede nell’acqua bassa. C’è solo da prenderlo…ma fuori dall’acqua non è un pesce all’amo, è un leone. Un leone che attraverso le fauci spalancate lascia uscire: lucertole, rospi, iguane, camaleonti, draghi, idra. Sentii in seguito ( ma era sogno o realtà?) alcune automobili che si inseguivano. Il rombo dei motori era assordante e i pneumatici che slittavano sull’asfalto, fischiavano e sibilavano come feroci animali d’acciaio. E udii un concitato vociare: “Si salvi chi può! Le schiere di alieni si avvicinano alla città.” Dopo questo grido regnò il silenzio e solo si avvertiva il pulsare dell’anima mia e di mio figlio che si scambiavano sensazioni come carezze che si perdevano nell’eco dell’infinito e ritornavano sfiorando le labbra nostre che accennavano al sorriso.

Ritornai a vagabondare nel sogno chissà, o nella vita reale…e avevo intorno le nubi e mi sorreggevano in un equilibrio precario, infatti precipitai. E scendevo a gran velocità tagliando l’aria, e i vestiti e i capelli quasi mi si strappavano di dosso per l’attrito dell’aria. Ormai era la fine: chiusi gli occhi e attesi che si compisse il fato. Al momento dell’impatto invece della morte uno splash fece schizzare l’acqua intorno ad una vasca enorme. Che piacere, che sensazione corroborante e che fortuna! Al posto della morte un bagno caldo. Ritornavo nel liquido amniotico e nuotavo in apnea come un nascituro. La vasca si svuotava e venivo risucchiato verso una fessura e alla fine fuoriuscii in una sorta di rinascita nel nulla. Tutto fu tenebra di nuovo. Nel buio si accese lo sguardo chiaro di mio figlio e il suo sorriso candido e luminoso rischiarava anche il mio volto.

Ma era un sogno o un viaggio attraverso la vita quello che scorreva dietro i nostri occhi? Però a guardare le espressioni beate, poteva essere solo un sogno… e forse il sogno è l’unica realtà più vera della vita alla quale non vogliamo credere, un po’ per paura, un po’ per vergogna di mostrare a noi stessi nudi la fragilità delle nostre più intime aspirazioni. Ma nel sonno-sogno io e mio figlio non comunicavamo attraverso i cnque sensi. Viaggiavamo avvinghiati a sensazioni che si propagavano cuore a cuore mentre diventavano sentimento. E vivevamo una realtà fatta di vento che soffiava da verità a verità. Una verità che non poteva essere intaccata nemmeno dal dolore che un figlio potrebbe dare al genitore. Così cervello cuore fantasia e anima, sotto la sapiente regia della natura si ergevano sul più alto picco dell’essere animalesco e umano fino alla coscienza, alla consapevolezza di essere uomini.

Ma di chi era quella voce che giungeva? E da dove veniva, dal passato o dal futuro? Era una voce familiare e sconosciuta allo stesso tempo: “Svegliati, svegliati” diceva “ è tardi, tra poco ritorna nostro figlio”.

Tra le lenzuola non c’era un babbo con il figlioletto, c’era soltanto un vecchio canuto e scarno. Quello che era stato il bambino era un uomo che stava per ritornare a casa da un viaggio di lavoro a Londra. Il vecchio sorrideva, non aveva perso il buon umore e nemmeno l’ironia. Solo che, pochi minuti, e decine e decine di anni si erano confusi e non valeva la pena di cercare un capo e una coda tra sogno e realtà.

Ma poi qual’era il sogno? E qual’era la realtà?

Nunzio Dell’Annunziata

 

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