Sabato scorso, “Castiglione Futura”, l’associazione che vede presenti Civici per, Italia Viva e Azione a Castiglione del Lago, ha tenuto un incontro pubblico sui temi della crescita delle aree del Trasimeno e della Valdichiana. Erano presenti anche i consiglieri regionali Stefano Scaramelli e Andrea Fora. La relazione introduttiva è stata tenuta da Sara Tintilla, ricercatrice e Presidente provinciale perugina di Italia Viva. Questo che segue è il testo inviatoci, della relazione, che pubblichiamo volentieri. (ndr)
Dalla sanità di confine alla viabilità condivisa passando per turismo, agroalimentare e fondi comunitari
Da anni si parla di macro-regioni e di un diverso regionalismo per avere più peso in Europa “temperando il pendolo dell’autonomia con quello dell’interesse nazionale”. Negli anni scorsi in diversi momenti Toscana, Umbria e Marche hanno promosso riflessioni comuni sull’integrazione dei servizi e la riforma dell’assetto regionalista dello Stato.
In Europa la Francia ha ridotto nel 2014 da 22 a 13 le proprie regioni, in Germania i Laender più piccoli stanno chiedendo di unirsi, per ridurre costi e sprechi, e anche nel Parlamento italiano, dopo le Province, si torna a discutere di una possibile modifica ai confini delle Regioni, nate quarantacinque anni fa, ora più che mai anche rispetto alla eventuale riforma del regionalismo differenziato.
Gli economisti, quando si accingono ad esaminare la situazione economica del centro Italia, non possono fare a meno di lamentare che da anni è in atto un fenomeno molto chiaro: il nord del paese si sta allontanando dalle regioni centrali, le quali invece si stanno sempre più avvicinando alle regioni del sud. D’altra parte gli ultimi dati forniti dalla Svimez sono molto chiari. Nella crisi, avvenuta tra il 2008 e il 2011, Umbria e Marche hanno perso tra il 7% e l’8% del loro Pil. Dal 2012 al 2014 la situazione è ancora peggiorata. Basti rilevare che tra il 2008 e il 2020 l’Umbria ha perso un quarto del suo Pil e le Marche quasi 18 punti. In pratica le Marche in un ventennio sono crollate da quota 124 a quota 80. Sono cifre che per gli economisti significano come l’Italia centrale si stia avviando al sottosviluppo. Le difficoltà economiche provocano due fenomeni: la diminuzione delle nascite e l’allontanamento dei giovani (negli ultimi anni 27.000 giovani marchigiani hanno lasciato i nostri territori) verso le regioni più ricche o l’estero. E questo si verifica in tutte le regioni centrali. La popolazione nelle Marche si è ridotta del 5,3% e l’Umbria del 4%. Non va meglio la Toscana che in sei anni ha perso 57.000 abitanti; le Marche 40.000 abitanti come l’Abruzzo, mentre l’Umbria ne ha persi 26.000.
Quello che fino ad una trentina di anni fa era un ponte tra il nord e il sud d’Italia, nel corso degli ultimi venti anni, è stato danneggiato in maniera quasi irreversibile sul piano economico e demografico ma anche civico e culturale mentre al contrario l’area padana è diventata, di fatto, contigua alla Germania e agli altri paesi europei più progrediti. Si è creato quindi un fenomeno che gli economisti chiamano “risucchiamento verso il sud”. E che le prospettive non siano rosee è dimostrato dal fatto che l’Italia centrale non ha saputo approfittare neppure dei “fondi salva imprese” messi in campo con i decreti del governo Conte. Peraltro non va dimenticato che Carlo Cottarelli già alcuni anni fa aveva sottolineato che la carenza di infrastrutture verificatasi negli ultimi venti anni nelle regioni del centro Italia (in particolare Umbria e Marche) era la causa di una perdita di 15 punti di Pil. Più recentemente ha parlato anche del danno provocato dal malfunzionamento del settore pubblico e ha detto tra l’altro: «Si parla di riduzione di burocrazia ma non di far funzionare i ministeri e altre amministrazioni come aziende che devono produrre atti e garantire procedimenti in tempi rapidi». Nell’ultima relazione della Banca d’Italia si sottolinea come uno degli elementi che ha danneggiato il centro Italia è la bassa produttività oraria del lavoro. Ed infatti se prendiamo ad esempio due settori non secondari della nostra economia, e cioè il turismo e l’agricoltura, ci rendiamo subito conto che sono tra i settori economici con la più bassa produttività, e di conseguenza con le più basse retribuzioni medie.
Erano ben altri tempi quelli in cui si parlava di “Terza Italia” e quindi dell’utopia di agganciare le tre/quattro regioni dell’Italia centrale, non per entrare in competizioni ma per “imitare” i grandi progressi che stavano facendo le regioni del Nord.
Ora, a prescindere del tema “macro regione” e regionalismo differenziato, il tema dell’esigenza di integrare verso una progettazione interregionale i grandi assi dello sviluppo territoriale è sempre più urgente.
I temi che affronteremo oggi, dalle infrastrutture allo sviluppo economico, turistico e agroalimentare non possono che recuperare una dimensione di “area vasta” dove i territori di confine, superando i limiti delle articolazioni amministrative, lavoriamo a sviluppare una identità diffusa e un progetto complessivo di territorio.
Gli obiettivi su cui puntare immediatamente sarebbero l’alta velocità e gli aeroporti di Roma, Firenze e Perugia ma si pensa anche alla Ancona-Roma e alle infrastrutture per la Maremma, il Senese, Assisi, il lago Trasimeno, la Tuscia. Altro progetto è per il turismo religioso della Toscana centrale, di Roma, Assisi, l’Aretino e Firenze.
Si pensi alla Orte – Civitavecchia, che interessa moltissimo anche le Marche per il collegamento tra Orte, autostrada A1 e l’Adriatico. Un patto strategico tra le regioni del Centro Italia per le infrastrutture è strategico, e dobbiamo superare i localismi legati alle singole esigenze territoriali (vedasi tutto il dibattito relativo alla localizzazione della stazione dell’alta velocità Medioetruria). Si pensi anche al potenziamento della Roma-Pescara per collegare Civitavecchia ad Ortona, ma anche al raddoppio della Avezzano-Sora, alla pedemontana Ascoli-Teramo e alla ultimazione della Amatrice-L’Aquila.
Tutti temi che richiedono oggi uno sforzo ad andare oltre i territori e i confini amministrativi e pensarsi in una logica di sviluppo d’area vasta. L’auspicio è che, a partire da oggi, si possa riaprire una discussione seria che coinvolga le amministrazioni locali, le associazioni di categoria, le forze sociali dei territori di confine, e che porti i territori di confine a pensarsi in una logica integrata a progettare piani di sviluppo d’area complessi, con il coinvolgimento delle due rispettive regioni.
Per favorire questo processi di integrazione, che non può essere solo un fatto amministrativo, sarebbe opportuno favorire l’integrazione economica dell’area Trasimeno-Valdichiana legiferando l’utilizzo dei fondi europei con bandi integrati.
Sara Tintilla