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No a McDonald e kebab in centro. Una legge per salvare la grande bellezza

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Un provvedimento importante da parte del governo per ostacolare l’invasione dei nostri centri storici. Ora la parola ai comuni. (N.d.R)

Rassegna stampa. da Repubblica di Giovanna Vitale

Contrordine, compagni. Va bene liberalizzare, ma con giudizio: certo non a scapito della grande bellezza italiana, che va preservata dall’invasione di fast food, minimarket, negozi di paccottiglia destinata a turisti mordi e fuggi, friggitorie che appestano l’aria per centinaia di metri, ipermercati spuntati come funghi negli angoli più suggestivi delle città d’arte. A quasi vent’anni dalla prima deregulation bersaniana, la libera concorrenza deve cedere il passo alla tutela dell’inestimabile patrimonio tricolore. A deciderlo è stato giovedì sera il Consiglio dei ministri, che ha inserito la “norma salva centri storici” nel decreto legislativo Scia 2 attuativo della legge delega di riforma della pubblica amministrazione presentata dal ministro Madia. Una disposizione sollecitata con forza dal sindaco di Firenze Dario Nardella, che la scorsa estate aveva ingaggiato una durissima battaglia — approdata nelle aule di giustizia — contro l’inaugurazione di un McDonald’s in piazza Duomo. Dove il colosso americano simbolo del consumismo globalizzato, dopo aver espugnato ormai trent’anni orsono piazza di Spagna a Roma, intende adesso servire hamburger con vista sul Brunelleschi. Una crociata, quella di Nardella, condivisa da molti colleghi in giro per l’Italia. Già a gennaio il primo cittadino di Firenze aveva vietato nuove aperture m centro di ristoranti etnici, paninerie, pizzerie al taglio, money transfer, compro-oro e phone center: forte di un pronunciamento dell’Unesco a difesa di botteghe artigiane, antichi ritrovi, usi e costumi delle tradizioni locali ormai in via d’estinzione quasi ovunque.

Un “tesoro immateriale” che l’organismo delle Nazioni Unite riconobbe nel 2003 proprio per tentare di frenare l’invasione delle piccole e grandi attività commerciali a bassa qualità, ma altissima attrazione. Un argine tuttavia troppo debole per resistere all’assalto al cuore del Belpaese, specie se a lanciarlo sono le multinazionali. Per rafforzarlo, interviene ora il governo, dando facoltà ai comuni, d’intesa con le regioni e sentite le soprintendenze, di adottare un regolamento per salvaguardare le zone di «particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico». Come? D’ora in avanti i sindaci potranno vietare o contingentare l’esercizio di una o più attività commerciali «in quanto non compatibili con le esigenze di tutela e di valorizzazione del patrimonio culturale», recita la norma. Offrendo ai primi cittadini il potere di dire no al dilagare di kebabbari e rivenditori di souvenir, che alla lunga rischiano di danneggiare il decoro delle aree monumentali. In sostanza viene esteso quel che già il Codice dei Beni culturali prevedeva per gli ambulanti: ovvero lo stop alla vendita su suolo pubblico nelle piazze storiche; dispositivo utilizzato un paio d’anni fa a Roma dalla giunta di Ignazio Marino per liberare l’area archeologica centrale e un paio di scorci fra i più prestigiosi dalla morsa di bancarelle e camion bar.

Allontanati — a suon di proteste, incatenamenti e ricorsi (tutti però vinti) al Òàã — dal Colosseo, da piazza di Spagna e da piazza del Popolo. Per essere confinati sui Lungotevere o comunque ai margini dei resti imperiali. Un fenomeno che interessa pure i piccoli borghi, non solo le grandi città d’arte. Anche se poi a suscitare maggiore clamore sono le guerre combattute all’ombra dei monumenti più celebri. Come l’area intorno alla basilica di San Pietro, dove il mese scorso l’apertura dell’ennesimo McDonald’s in un palazzo di proprietà vaticana ha scatenato la rivolta non solo degli abitanti di Borgo Pio, che hanno scritto anche al Papa, ma ad dirittura dei cardinali. Ovviamente, la norma del governo non impedirà le inaugurazioni già programmate, ma quelle

future. Con i ministeri della Cultura e dello Sviluppo impegnati a vigilare sui regolamenti adottati dai comuni. Per evitare pasticci. Sempre dietro l’angolo. Ora i sindaci avranno il potere di vietare l’apertura di attività non compatibili con il patrimonio culturale