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L’Italia dei Piccoli Centri. Ripartiamo da qui. Da dove il virus non ha vinto.

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La pandemia ormai battezzata “coronavirus”, non ancora conclusa, può essere classificata come la vera terza guerra mondiale, dopo le prime due del novecento. Una guerra “anomala” rispetto alle altre, perché combattuta contro un nemico sconosciuto ed invisibile, e combattuta dagli eserciti di tutto il mondo, più o meno uniti.

Terza guerra mondiale che ancora non ha trovato le cause scientifiche, che tra l’altro sono necessarie per costruire l’arma vincente, cioè il vaccino, arma vincente, come fu nella seconda, la bomba atomica.

Non sono note ancora le cause scientifiche, ma sono note quelle politiche ed economiche. La causa politica di questa pandemia è una globalizzazione sbagliata e senza regole. Una globalizzazione famelica dal punto di vista della ricerca dello sviluppo e del profitto. Cominciata agli inizi degli anni Ottanta, consolidatasi dopo il crollo del muro di Berlino e radicalizzatasi dopo l’ingresso della Cina e degli altri paesi asiatici nel commercio internazionale, all’inizio di questo secolo.

Un modello di globalizzazione che è arrivata ad un punto drammatico di crisi sul piano ambientale prima e su quello sanitario oggi. Una globalizzazione che sta talmente distruggendo, in questi giorni, le basi normali e fondamentali della vita sociale ed economica, che giustamente si parla, appena fermata l’epidemia, della necessità di una vera e propria “ricostruzione”.

“Quale ricostruzione ? ” quindi. “Quale diversa, quale altra ricostruzione”. Questo è e sarà sempre più, il tema dei temi che avranno di fronte la politica , l’economia, la cultura dei prossimi mesi e dei prossimi anni. O meglio la politica, l’economia e la cultura responsabili. Intese come strumenti dell’interesse comune. Partendo da dove? Partendo da dove, a quanto pare, nonostante le vittime che pure ci sono state, l’esercito del virus, per cause economiche, di organizzazione sanitaria o altro che dovrà essere studiato, non ha vinto, non è passato facendo stragi in altri luoghi, in altre zone.

“Quale ricostruzione”. Sicuramente non tornando semplicemente al modello precedente, magari con la mascherine e un metro in mano per calcolare la distanza. Sicuramente non alzando muri e barriere fuori dal tempo. Ma alzando regole forti e rispettate, organismi e poteri internazionali controllati democraticamente e non in mano ai potentati finanziari. Modelli di vita e di civiltà radicalmente rivisti. Modelli e controlli che ripartano dalla base, mettendo i problemi e le scelte con i piedi per terra. Cioè nei territori. Cioè nei paesi nelle città. Nei pezzi di stato che paesi e città vorranno costruire per tutelare i propri interessi. Perché tra l’altro se c’è una risposta chiara in questi giorni drammatici è quella di chi è il primo stato per il cittadino comune. Lo stato, come del resto si sapeva, ha un solo nome, prima di tutto il resto. Lo stato è il Comune. E’ il Sindaco. Sono i servizi di base, istituzionali e volontari, a primo contatto con il cittadino.
Uno dei modelli da rivedere, quindi, dovrà sicuramente essere quelle delle grandi concentrazioni urbane, delle metropoli sterminate, delle dimensioni non sostenibili.

Uno dei modelli da recuperare e da rivitalizzare dovrà essere quelle della aree non metropolitane, delle dimensioni sostenibili e vivibili, di un ruolo rinnovato dei piccoli centri, ovviamente con una “rete” di relazioni associative. Di quei piccoli centri di cui è fatta la nostra terra, questa “terra di mezzo”, la cui vita, la cui storia, il cui futuro è la “mission” dei nostri giornali, il Corriere Pievese e l’Ora del Trasimeno.

Perché uno dei modelli da rivedere è anche quello che le risposte ai problemi possano essere ricercate all’interno delle ideologie politiche che si sono confrontare nel secolo scorso. Liberalismo, tramutatosi poi in liberismo da una parte e socialismo dall’altra. Entrambe fallite in epoche diverse nelle loro concrete realizzazioni storiche. Portando così il confronto attuale sui sentieri inesplorati della ricerca del bene comune nel ventunesimo secolo.

Per rilanciare ed aggiornare questa “mission”, ma soprattutto per contribuire all’indifferibile confronto su “quale ricostruzione”, abbiamo voluto ripartire da un numero unico, di cui pubblicheremo qualche saggio, di qualche anno fa, ma appunto ancora più attuale oggi, di una rivista storica del cattolicesimo conciliare e da sempre attento alla valorizzazione dei patrimoni territoriali, cioè “Testimonianze” fondata da Padre Ernesto Balducci, pubblicata a Firenze. Per continuare a tracciare un filo rosso nel nostro cammino fisico ed intellettuale, aggiungo che ho scoperto questo numero nel corso di una iniziativa sul tema organizzata a Monticchiello, dal Teatro Povero. Iniziamo con questo saggio di Pietro Clemente dal titolo emblematico “Il centro in periferia”

Gianni Fanfano