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La sanità e i nodi nel Partito Democratico

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 Nel Pd il terreno della disfida è ormai la sanità. Anzi, i Direttori Generali della sanità. Non mi pare che per il guanto della sfida sia stato scelto il migliore argomento ma semmai quello che non interessa alla gente e che appartiene ad uno strumentario della vecchia politica: il manuale Cencelli delle spartizioni.

Eppure proprio la sanità regionale potrebbe, per i cittadini diventare proficua palestra di confronto di idee e per i politici misura di impegno serio. In molti ormai convengono che l’organizzazione sanitaria regionale necessiti di una rivisitatina, che non è più il caso di celebrarne continuamente le meraviglie ma semmai di trattare le criticità che non sono poche e neppure irrilevanti. Se nel Pd si scegliesse per esempio di affrontare finalmente e definitivamente la questione delle liste d’attesa che sono ormai inaccettabili e mettono a serio rischio non solo l’attività di prevenzione ma perfino quella della cura soprattutto dei cittadini umbri meno abbienti, quelli che non possono permettersi cure private, se si affrontasse l’ormai inestricabile intreccio tra sanità pubblica e privata non per avvantaggiarne una rispetto l’altra ma per distinguerle e separarle, anche normativamente, eliminando quell’intreccio di interessi che incartano la sanità pubblica con quella privata, si compierebbe uno straordinario passo avanti nell’imporre la modernità nella politica.

Affrontare questi argomenti, potrebbe essere più credibile e vantaggioso per una sinistra che voglia esserlo davvero perché incidono molto di più sulla quotidianità degli umbri rispetto alla scelta dei direttori generali o dei dati anagrafici degli stessi riportando la politica alla concretezza delle questioni. Un dibattito tra le parti del Pd che affrontasse l’irrisolta questione della razionalizzazione degli ospedali che nella nostra regione continuano ad essere troppi con una dannosa e dispendiosa sovrapposizione di servizi, un confronto che senza calcoli ne peli sulla lingua incominciasse ad elencare davvero gli ospedali da riconvertire immediatamente perché le cure debbono, essenzialmente per la sicurezza dei malati, essere effettuate in ospedali altamente specializzati con a disposizione sanitari e tecnologie adeguati.

Invece di generiche dichiarazioni di intenti tese essenzialmente a rassicurare l’elettorato, si inizi a dire che il tempo dei municipalismi a difesa degli ospedaletti, delle alchimie per fare di due ospedali uno solo, della loro sopravvivenza, sono finiti non solo perché non ce lo possiamo più permettere ma soprattutto per la sicurezza dei cittadini malati; che si dovranno finalmente offrire ai ricoverati servizi di tipo alberghiero decenti e non obbligarli invece per le assistenze e per i pasti a sopportare spese suppletive; che vanno definitivamente chiusi senza se e senza ma i punti nascita sotto la soglia raccomandata dalla Organizzazione mondiale della sanità; che bisognerà d’ora in avanti evitare campagne elettorali sulla pelle dei malati. Una riflessione, anche politica, sul servizio di medicina generale, sui medici di famiglia, bisognerà prima o poi favorirla impedendo di rinviarla ad una riforma nazionale che fm d’ora manifesta tante criticità.

La medicina generale, quella dei medid di famiglia, non da oggi rappresenta il fulcro del servizio sanitario regionale e non si può attendere una riforma, che non si sa quando arriverà, per riorganizzarla e rendere il servizio più rispondente ai tempi, alle nuove esigenze, per raccordalo positivamente con i servizi ospedalieri ed anche con i sempre più intasati pronti soccorsi. Scegliere argomenti veri, concreti, il proposito di affrontare e risolvere le questioni del servizio sanitario, dividersi anche politicamente su questi, offrirne le riflessioni in dibattiti, significherebbe farlo di fronte a pareti di vetro, pubblicamente, offrirebbe la possibilità di misurare le capacità, non manovriere ma reali, dei politici, aiuterebbe tutti a ricomprendere l’esercizio della politica tra quelli virtuosi e non oziosi.

Maurizio Ronconi