Nel proseguire la nostra campagna di documentazione e conoscenza dei nostri problemi, dopo avere iniziato il cammino sui trasporti iniziamo anche quello sulla sanità. Con uno dei padri della sanità universale contenuta nella riforma del 19798 e poi massacrata da Governi e Regioni.
Da Micropolis del 27 Aprile 2025 . Articolo di Lamberto Briziarelli.
Introduzione
“La storia non finisce mai”[1], è un continuum di nuovi fatti, ricorrenti o spaventosamente nuovi. Ma è indispensabile poiché ci aiuta a capire quasi sempre le ragioni degli eventi che racconta. Oggi purtroppo, non solo le giovani generazioni, i più sembrano non conoscerla affatto o comunque si comportano come se non la conoscessero.
E quindi spero che i colleghi storici, che illustrano da par loro le pagine di questo giornale, non me ne vogliano se entro nel loro campo, per la mia storia di protagonista a due livelli, fino dagli anni “60, come parte dei movimenti -attivista, sindacalista- e professionista, nel gruppo di Alessandro Seppilli, direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università di Perugia, che dette il maggior contributo alla costruzione del SSN in Italia.
In ragione di ciò, mi occuperò di un periodo fondamentale nella storia del nostro Paese dopo la seconda grande guerra, che è contraddistinto da due fasi, diversamente motivate e di indirizzo assolutamente contrario, una di crescita e sviluppo, un’altra in continuo discendere a livelli considerevolmente più bassi, molto negativi per l’intera collettività nazionale.
Un nuovo risorgimento
Un improvviso risveglio si verifica nella prima parte (ad iniziare dagli ultimi due-tre anni dopo il 1945), un popolo di formiche imbesuite da un tronfio dittatore, capo banda di manipoli di delinquenti, violenti ed anche assassini[2], “intende l’orecchio, solleva la testa”, per dirlo con Manzoni[3]; il sonno del ventennio fascista è bruscamente interrotto dalle bombe degli aerei alleati che radono al suolo molte delle principali città e dalle rappresaglie dei tedeschi in ritirata, assecondati dagli irriducibili fascisti (“giovani idealisti” li chiamarono poi) diventati “repubblichini”[4]. I reduci ed i sopravvissuti danno inizio alacremente a venti anni di rinascita e riscatto, ricostruendo rapidamente rovine materiali e morali, producendo atti di grandissimo valore civile: Cacciata della monarchia imbelle e succube, vigliaccamente scappata dalle proprie responsabilità; Costituzione repubblicana, scudo della democrazia, uno dei migliori Statuti nell’intero mondo; Voto alle donne; Creazione delle Regioni a Statuto ordinario; Divorzio; Interruzione volontaria della gravidanza e, nel campo sanitario, Statuto dei diritti dei lavoratori, Apertura dei manicomi, Chiusura delle Enti di assistenza e beneficenza; un insieme di provvedimenti che certificano un passaggio epocale, dall’Assicurazione alla Sicurezza sociale; culminato con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, senza dubbio migliore anche di quello inglese, poiché trasferiva alla sanità anche il controllo sulla sicurezza e la salute dei lavoratori.
Un nuovo Paese, mai visto prima, prodotto dell’applicazione dei valori sostenuti dagli antifascisti di ogni ceto, credo e ideologia, esuli o incarcerati, mandati al confino, unitariamente coinvolti anche con le armi, durante la Resistenza. Ma questo periodo assolutamente positivo non dura molto, eventi e poteri forti, sovranazionali, determinano in Italia il lento inizio di un nuovo Evo che inesorabilmente si distenderà sino a questi ultimi tempi.
E’ opportuno ricordare, per quelli che non c’erano e la grande massa degli ignoranti della storia, come fossero assistiti gli Italiani nei primi venticinque anni del dopoguerra. La sanità era divisa in tre pezzi, cure ambulatoriali, sanità pubblica e ospedali, gestiti da tre diversi soggetti: Casse mutue, Enti locali (province e comuni), enti di Assistenza e Beneficenza. Vigeva il sistema di Assicurazione obbligatoria[5] e tutti i lavoratori e le loro famiglie erano iscritti ad una propria Mutua; i disoccupati e i lavoratori occasionali erano iscritti nella lista degli “Aventi diritto all’assistenza sanitaria pubblica”, comunemente chiamata la Lista dei poveri”, assistiti dai medici e dalle ostetriche condotti dei Comuni. Tutti i cittadini avevano diritto di accedere agli ospedali, pagando una retta mentre gli incapienti erano coperti dal cosiddetto Domicilio di soccorso, il Comune di residenza. Dal ventennio fascista erano stati ereditati l’INAM[6], che assicurava tutti i dipendenti delle aziende private e l’INAIL[7], ente assicuratore dei datori di lavoro per i danni (malattia, invalidità, morte) riportati dai lavoratori nell’esercizio delle proprie funzioni. In breve tempo erano state create altre mutue per le categorie di lavoratori pubblici e privati ed in teoria tutti coloro che avevano un’occupazione potevano ricevere assistenza sanitaria in caso di malattia. Tuttavia il sistema era profondamente iniquo, in quanto ogni cassa mutua erogava servizi in un regime diverso dalle altre, in rapporto ai contributi versati ed in modo difforme: assistenza diretta gratuita con propri servizi, indiretta a pagamento con rimborso totale o parziale; assistenza globale, come l’INAM, oppure solo medicina generica o specialistica, solo ricoveri ospedalieri. Non bastava, in quanto tutte le Casse erano gestite in modo assai disordinato ed avevano contratto con le banche un monte di debiti; si era anche sviluppato un sistema di corruttela e di indebito guadagno da parte dei medici generici e specialisti, liberi professionisti tanto da fare oggetto di pellicole cinematografiche[8]. Tutti gli enti mutualistici vennero sciolti e riuniti in una Struttura Amministrativa Unificata di Base (SAUB) che avrebbe dovuto passare nelle future Unità Sanitarie Locali (USL). A tutto questo poneva fine la L. 833/78, che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale, universale (per tutti gli individui presenti sul territorio nazionale), unitario (stessi servizi e prestazioni in ogni parte del territorio), ugualitario (identiche prestazioni per ogni individuo).
Il passo del gambero
E’ opinione condivisa che, a cominciare dai primi anni “80, e ancora più marcatamente negli anni “90, sull’intera società della terra prende il via un nuovo Evo, parte del più grande periodo dell’Antropocene ma ancora più preoccupante, che penetra ogni settore del vivere sociale, del quale ci limitiamo a descrivere solo gli effetti sulla sanità. Questo periodo, che ho intitolato “fallimento” (delle speranze e delle grandi attese suscitate con le lotte degli anni “60), si divide in due ere: una di resistenza passiva e la seguente di interventi attivi, con numerosi tentativi di smantellamento di quanto fatto.
La prima inizia poco dopo il 1978, nel passaggio del Ministero della Sanità dalla Anselmi[9] ad Altissimo, venditore di fanali e accendini, futuro segretario del Partito liberale che aveva votato contro la legge 833/78. La realizzazione dei dettati della legge di riforma procedono con grande lentezza e in modo inadeguato rispetto ai contenuti della stessa, del tutto necessari per il corretto funzionamento del SSN; in primo luogo la mancata realizzazione nell’intero Paese delle nuove strutture organizzative del Servizio sanitario, le USL; le SAUB permangono in buona parte delle regioni del Mezzogiorno, solo poche regioni del Nord e Centro Italia elaborano i propri piani sanitari ed i consecutivi programmi, secondo la nuova filosofia della Programmazione, elaborata in seno all’ISPE[10]; il personale delle nuove strutture è quello delle Mutue disciolte e dei piccoli enti del sottobosco governativo trasferito alle Regioni, del tutto ignaro del nuovo ed impreparato, senza un adeguato intervento di riqualificazione professionale. Anche i dirigenti degli EELL che avrebbero dovuto organizzare il nuovo non avevano ricevuto un’adeguata preparazione e si muovono “alla bell’e meglio”, come possono[11]. Molti soggetti si muovono contro il nuovo, la FNOM[12], l’industria del farmaco, i poteri finanziari cui è stato sottratto il mercato delle Mutue e degli Enti di beneficenza, alcuni partiti politici, i vecchi dirigenti mandati a casa, ecc.
Nel corso degli anni “80 l’intero Pianeta è investito da un terremoto globale, che sintetizzo in pochi significativi fatti: Reagan e Thatcher, neoliberismo; Scricchiolii profondi e fine dell’URSS; Capitalismo come unica dottrina del mondo; inizi della globalizzazione; rovesciamento globale nei rapporti fra economia e politica, dominio incontrastato di un libero mercato governato da multinazionali, al di sopra dei Governi e del Diritto internazionale[13], momenti descritti in modo molto interessante anche da una pellicola derivata da un libro di J. Grisham. In Italia si aggiungono fatti interni altrettanto significativi, morte di Enrico Berlinguer e fine dell’auspicato tentativo di creare nuovo blocco storico[14]; Licio Gelli e la loggia P2; gravi attentati da parte del terrorismo Nero e Rosso; Craxi primo ministro; avvio dell’informatizzazione. Fenomeni che rendono burrascosa la vita politica e le scelte dei Governi, ponendo fine al felice periodo delle riforme che abbiamo prima visto. E si dà la stura agli Interventi attivi.
Una serie di provvedimenti del Governo centrale producono quelle che saranno chiamate, a buon diritto seconda e terza riforma della sanità, recanti provvedimenti che riducevano la portata di parte di quanto contenuto nella legge 833, in particolare la riduzione del numero delle prestazioni gratuite, l’introduzione di ticket che allontanavano dalle cure i meno abbienti, la scomparsa della voce uguaglianza; niente veniva fatto per correggere alla radice le disfunzioni del sistema. Più volte si sono levate voci allarmistiche di esperti di discipline proprie della sanità e di economisti, di politologi, rimaste sempre inascoltate; ad esse rinviamo segnalando una nota che contiene un’esaustiva elencazione delle stesse[15].
Rammentiamo solo gli atti più significativi, a loro volta accompagnati da politiche ad essi confacenti. Il primo atto il Dlgs 502/1992, (Ministro della Sanità Di Lorenzo Presidente del Consiglio dei Ministri Amato) detto “Riforma sanitaria bis” che ha introdotto un netto cambiamento nei principi, nella struttura e nel funzionamento del SSN, spingendo il SSN in tre direzioni, regionalizzazione, aziendalizzazione, privatizzazione: ha introdotto il principio della gestione manageriale della sanità trasformando la salute da “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività[16]” a bene commerciale; ha cambiato le Unità Sanitarie Locali in Aziende Sanitarie Locali, dirette da una Triade autocratica, di nomina partitica.
Tutto ciò è ulteriormente aggravato da un secondo intervento, la cosiddetta “Riforma Bindi ter”, dal nome della Ministra della Sanità (Presidente del Consiglio dei Ministri, D’Alema), con il Dlgs 229/1999, che ha ridefinito i principi di tutela del diritto alla salute e della programmazione sanitaria; ha stabilito i livelli essenziali di assistenza (LEA), provvedimento problematico, stanti le enormi differenze nel Paese; ha istituito la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, sopprimendo il Consiglio Sanitario Nazionale; ha ridefinito i principi guida in materia di sostenibilità finanziaria del sistema. Le due riforme erano interessate soprattutto dal momento economico e dal contenimento della spesa che non dalla salute degli italiani e delle profonde disuguaglianze nel Paese tra aree geografiche e individui. Questa terza riforma aveva operato una corposa revisione della 833, cambiando sicuramente il quadro complessivo della stessa, con alcuni elementi di particolare valore discriminativo della popolazione; per brevità riporto solo un esempio, che considero personalmente “vergognoso” per i due personaggi che ho ricordato: il famigerato “Intramoenia”, ovvero la possibilità (per i medici ospedalieri che sceglievano il tempo pieno) di praticare la libera professione all’interno delle strutture pubbliche, utilizzando strumenti e personale dei nosocomi. Cosicché, nel medesimo tempo, nelle sale di attesa dei poliambulatori, fin dalle prime ore di apertura, c’erano numerose persone in attesa della comparsa del loro numero sui display mentre altri, signore e signori, entravano ordinatamente all’ora convenuta in un altro ambulatorio dove li aspettava il medico prescelto. Non male per un Presidente del Consiglio proveniente dal maggior partito della Sinistra ed una cristiana (sia pure demo-). Avevano perso una campagna lancia in resta per mettere a tempo pieno tutti i dipendenti degli ospedali pubblici, (scriteriatamente e presuntuosamente rispetto ai nemici che avevano di fronte) e ripiegarono su una cosa tristemente avvilente per le persone che non potevano permettersi di pagare la visita, introducendo uno dei primi passi verso la futura privatizzazione del servizio sanitario.
Ma il colpo definitivo allo smantellamento del SSN unitario, ugualitario, universale fui assestato nel 2001[17], con la riforma del Titolo quinto della Costituzione, un provvedimento corretto nei principi, in applicazione dell’art.117 della Costituzione ma assolutamente inadeguato nella formulazione adottata. Un provvedimento da definire a dir poco “avventato”, a seguito del quale il SSN fu disarticolato in 19 Servizi sanitari regionali e due servizi di Province autonome della stessa regione.
Oltre a quanto sopra, altri provvedimenti ricacciano indietro gli avanzamenti ottenuti per il mondo del lavoro; il Dlgs 226, applicazione all’italiana di una giusta direttiva europea, riporta nelle mani delle aziende la responsabilità dei controlli sull’ambiente e sulla salute dei lavoratori, sottraendole ai servizi delle USL che avevano cominciato a lavorare bene, anche se , come sempre, a macchia di leopardo; ma a parte ciò la legge risultava applicabile solo nelle grandi imprese, escludendo tutte le aziende con meno di quindici dipendenti, ovverossia il 90 % del totale; il provvedimento fu definito “un ritorno al modello padronale”[18] ma ritenuto valido anche dai sindacati in quanto prevedeva la figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (Rls), un operaio indicato dalle rappresentanze sindacali o dai lavoratori ma solo nelle aziende con più di quindici dipendenti. Il Dlgs fu poi assorbito nel Testo unico della sicurezza sul lavoro[19], che completò l’opera di arretramento: l’ISPESL fu soppresso il 31 maggio 2010 (istituito nel 1980) e trasferito all’INAIL, nella speranza che un Ente assicurativo potesse svolgere le funzioni di ricerca, studio, indirizzo di un Istituto Tecnico Scientifico del Ministero della Sanità, simile all‘Istituto Superiore di Sanità. Senza dubbio qui si possono ricercare anche radici della continua ad ininterrotta sequela di infortuni sul lavoro, una striscia rossa punteggiata da tre croci al giorno per l’intero anno, che dura sino ad oggi, inesorabile. Altro che maggior numero di Ispettori, che non potranno mai sostituire i Tecnici dell’ambiente di vita e di lavoro dei Dipartimenti di prevenzione delle USL/ASL presenti in ogni parte del territorio nazionale[20].
Il capitombolo all’indietro si completa con l’introduzione dell’Assicurazione integrativa in sanità, il cosiddetto Secondo pilastro, che incontra l’adesione dei sindacati che la introducono nei contratti aziendali e addirittura, secondo un sospetto su cui si sta indagando, con qualche cointeressenza con le grandi compagnie[21]. Dal sistema di Sicurezza sociale introdotto dalla 833/78, siamo tornati al tempo delle mutue, con la differenza che allora, all’interno di una stessa mutua, i cittadini erano tutti uguali, adesso non più.
Ma intanto, in una con i cambiamenti politico-economici che abbiamo appena sorvolato, si verifica un cataclisma che rivoluziona l’intero aspetto socio-politico del Paese: i partiti tradizionali perdono molto del loro ruolo e vengono abbandonati dagli elettori, il cambiamento della rappresentanza e l’impoverimento di valore dei corpi intermedi discreditano la democrazia, si verifica una forte perdita di fiducia e l’allontanamento dalle istituzioni.
Una mutazione antropologica
Sono segnali che evidenziano anche una mutazione antropologica della popolazione. Una comunità di soggetti senzienti e partecipanti si trasforma in un insieme di individui dispersi ed impauriti, incavolati, impoveriti, privi di coscienza politica e senso civico; seguaci di negazionisti, populisti, venditori di illusioni, alla ricerca di un capo; un nuovo corpo sociale dove riemergono elementi che si credevano scomparsi, negazionismo, terrapiattismo, suprematismo, razzismo, ricerca di un nemico, quale che sia, di razza, di religione, di colore della pelle. Non si si può dire se causa od effetto di una quasi nuova società, in cui la politica dà luogo ad altro mondo, con rappresentazioni che qualche volta assumono – mi sia consentito un dispregiativo, altezzoso o aristocratico- toni da avanspettacolo. Elementi di post-fascismo sono sempre presenti, ancora sottotraccia.
Un ruolo importante deve essere attribuito ai mezzi di comunicazione di massa che hanno subito una trasformazione di grande rilievo, in particolare nel nostro Paese cambiando volto; da strumento di informazione diviene mezzo di propaganda in quasi tutti i veicoli, stampati, radio-visivi, elettronici. Salvando qualche nome (entro le dita di una sola mano? due al massimo?) la maggior parte degli iscritti all’albo dei giornalisti dovrebbe cambiare nome; fanno parte di un corpo di seguaci del “servo encomio” di manzoniana memoria[22], embedded per usare un termine efficacissimo dell’inglese[23], che in italiano potremmo tradurre con “scendiletto”[24], portatori solo di messaggi della loro parte per influenzare l’opinione pubblica, con verità inesistenti, create artatamente e spacciate per tali[25].
Una nuova politica
Attorno a nuovi attori si formano tre nuovi aggregamenti che rimpiazzano i partiti classici, quasi scomparsi dal vocabolario, assumendo nomi fantasiosi nelle cronache giornalistiche: Nani e Ballerine (Ghe pensi mi[26] e odore di mafia), Uno vale uno (apriscatole alla mano), Seguaci del dio Eridano (di un’area geografica inventata, separatista). Danno luogo a nuovi governi durati anche a lungo, cadranno per gli effetti delle loro incapacità e avventurismo, faranno parte di aggregazioni arcobaleno dirette da Tecnici di valore chiamati a riparare i loro danni e rimpannucciare il Paese; crolleranno poi, caduti da cavallo o puniti per la loro albagia, stappando champagne sulla terrazza di Palazzo Chigi al grido “abbiamo abolito la povertà”, sconfitti da spocchia e improvvisazione.
La loro sconfitta improvvisa produce un ulteriore cambiamento, una sorta di ritorno al passato nel quale lo slogan del capo comico, grande nuotatore, “uno vale uno”, viene rovesciato in “Uno per tutti, tutti per uno” dagli elettori scesi attorno al cinquanta per cento degli aventi diritto; quindi, con appena il 26 percento dei votanti, meno del quindici degli aventi diritto, sale al Governo un partito di estrema destra, con dentro rigurgiti di post fascisti inneggianti ad Hitler, supportato dai resti del Cavaliere disarcionato e dei Seguaci di Eridano.
Tutti quelli menzionati hanno però una cosa in comune: la sanità – ed altri campi del vivere sociale- è stata considerata una specie di sinecura ed il fondo nazionale spolpato all’incirca di 30 miliardi di Euro, come denunciano molti in Italia e ce ne dà conferma l’Unione Europea che, nel MES ( cosiddetto Salva Stati) offre per la sanità un aiuto della stessa cifra; ma viene spavaldamente rifiutato, con maggior forza proprio dai grillini.
Lo stato di sofferenza del nostro sistema sanitario, rispetto a quanto scritto anche su questo stesso giornale, è mostrato in questi giorni in cui scrivo queste da due giornali non certo estremisti.
Il Sole 24 Ore il giorno 16 aprile 2025, in Redazione Salute titola “Gimbe: evitati tagli ma il rapporto spesa sanitaria -PIL resta inchiodato al 6,4 % fino al 2028. La quota destinata alla sanità, già insufficiente, resta invariata nei prossimi anni, confermando il cronico sottofinanziamento del Servizio sanitario nazionale” e poi prosegue, “Si intravede una lieve crescita della spesa sanitaria, ma si tratta di stime previsionali che non modificano la sostanza: la quota di ricchezza nazionale destinata alla sanità, già insufficiente, resta invariata nei prossimi anni, confermando il cronico sottofinanziamento del Servizio sanitario nazionale”. “Alla luce delle stime al ribasso del Pil e del quadro macroeconomico – aggiunge – va riconosciuto all’Esecutivo il merito di aver scongiurato ulteriori e drammatici tagli alla spesa sanitaria. Tuttavia, nonostante l’incremento previsto in valore assoluto, il peso della sanità sul Pil resta inchiodato al 6,4% fino al 2028, lasciando il Ssn largamente sottofinanziato”, così Nino Cartabellotta.
E conclude il quotidiano: Cosa ci dicono i dati? Nel 2025 si prevede una spesa sanitaria di 143 miliardi di euro, +3,6% rispetto al 2024. Tuttavia, più della metà dell’aumento sarà assorbito dai rinnovi contrattuali del personale sanitario. Il rapporto spesa/PIL resterà invariato nei prossimi anni, segno di una sanità che cresce meno del necessario. Le conseguenze? La sanità pubblica “corre sul posto”. Non migliora l’accesso ai servizi, non si rafforza il territorio e non si risolve la carenza cronica di personale. Senza investimenti più ambiziosi, il rischio è il progressivo indebolimento del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Le riforme annunciate – dal riordino dell’assistenza territoriale a quello delle professioni sanitarie – sono importanti, ma insufficienti se non accompagnate da risorse adeguate”.
Il 18 aprile 2025 la Repubblica titola “Liste d’attesa, governo bocciato. Regioni pronte al ricorso al Tar”. A giugno del 2024 il Governo ha approvato un decreto con l’obiettivo di ridurre le liste di attesa per le prestazioni sanitarie. Il testo prevede anche una struttura del ministero in grado di esercitare “poteri sostitutivi” quando le regioni siano inadempienti. Il 6 novembre il decreto è stato trasmesso alle Regioni ed è intercorsa un’interlocuzione ma i Presidenti delle Giunte unanimemente si sono opposti duramente, accampando due motivazioni, in primo luogo il mancato stanziamento di fondi a ciò specificamente destinati e in secondo luogo per quello che non hanno esitato a definire un “commissariamento”, richiedendo anche una definizione dei criteri dei poteri sostitutivi. Gli autonominati Governatori non vogliono rinunciare ai loro piccoli regni. Lo Stato centrale si è accorto che non si possono lasciare le redini sciolte a cavalli spesso imbizzarriti
Il conflitto tra i due poteri pubblici dello Stato rappresenta un fatto salutare, di particolare importanza in quanto solleva il grosso argomento dei reciproci limiti nella gestione delle materie concorrenti ma soprattutto rimette al centro dell’attenzione generale il problema dei pesi e contrappesi che costituiscono la base (pane e sale) della democrazia come l’abbiamo conosciuta negli ultimi ottanta anni dal secondo conflitto mondiale, vissuti in pace, con enormi progressi di conoscenza, di saperi e di benessere; messa in discussione in un momento delicatissimo, da nazionalismi sovranistici di staterelli che aspirano a mettersi al servizio di un sovrano dispotico e imprevedibile, che promette sfracelli dei nemici e fine delle guerre, mentre siamo in presenza di sessanta conflitti guerreggiati nel mondo [27], dei quali nemmeno si parla. Rallentando o cercando di impedire l’unica via possibile per il cosiddetto “occidente libero”, la creazione di una Confederazione europea che sola potrà riproporre i veri valori della democrazia, libertà di espressione e di stampa, libera circolazione di persone e cose, libertà della ricerca e della cultura, diritti di contestazione e scelte individuali, di cultura, di credo e così via. E contenere anche gli effetti negativi della globalizzazione e del potere delle tecnocrazie. Nel suo incerto equilibrio tra USA ed Europa, la nostra Presidente del Consiglio ha proposto, accanto a Maga un altro acronimo che ha un grandissimo valore, MEGA, contrapposto a quello di Trump e seguaci; inconsciamente o in perfetta buona fede, sapendo indubbiamente che questo vocabolo in greco significa GRANDE.
Chiudiamo il discorso tornando a casa nostra dove le cose non vanno affatto bene, anche se le apparenze ingannano. Nell’ultimo rapporto Gimbe sull’ applicazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) l’Umbria si colloca al sesto posto nella graduatoria delle Regioni, prima del centro sud e della stessa Lombardia ma nella graduatoria richiamata dal Ministero nella contesa con le Regioni, di cui abbiamo parlato subito prima, l’Umbria non è considerata tra le “virtuose”. In effetti, guardando i numeri, non siamo noi molto bravi, ma siamo ancora fra le prime dieci regioni solo in rapporto alle condizioni del tutto insoddisfacenti di quelle che ci seguono.
Basta ricordare, per la nostra Regione, un solo dato, il saldo negativo fra gli ingressi e le uscite per ragioni sanitarie, 36,6 milioni di € spesi dai nostri concittadini per curarsi in altre regioni. Scusate se è poco!
Serva anche ciò di monito per i nostri nuovi amministratori, in aggiunta alle note che abbiamo già scritto di recente, invitandoli di nuovo a battere qualche colpo, in fretta.
Lamberto Briziarelli
[1] Come dice Fubini sul Corriere della sera il 25 febbraio 2925
[2] Il titolo se lo era autoattribuito il dittatore, come ben descritto nel volume di A.Cazzullo “Mussolini il capobanda”. Mondadori, 2024
[3] Adelchi coro del terzo Atto.
[4] Così vennero chiamati, sudditi della Repubblica di Salò, realizzata per ordine del Fuehrer
[5] Un momento importante, iniziato ai tempi di Bismark ma che non era più all’altezza della nostra situazione
[6] Istituto Nazionale di Assicurazione contro le Malattie
[7] Istituto Nazionale di Assicurazione dei Lavoratori Italiani
[8] Il medico della mutua (1968), Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionato con la mutua (1969), regia di Luigi Zampa
[9] Tina Anselmi, democristiana, è stata una figura importante per il Paese, come staffetta nella Resistenza e poi come parlamentare per molti anni, distintasi per la sua grande attività e autonomia di giudizio, fedele osservatrice dei valori e dei principi della Carta costituzionale.
[10] Istituto Superiore della Programmazione Economica
[11] Solo in qualche regione geografica erano stati predisposti accorgimenti e condotti studi per preparare la strada al nuovo servizio sanitario che, occorre ricordarlo, era stato auspicato e previsto sin dall’immediato dopoguerra; il CLN aveva preparato un documento sul rinnovamento del SSN, in un Convegno a San Pellegrino si era parlato di Servizio sanitario nazionale; le Province ed i Comuni di Perugia e Terni avevano creato l’Irres , Istituto Regionale di Ricerche Economiche e Sociali, in vista della futura programmazione delle Regioni a statuto ordinario ; simili strutture erano state create in Emilia e Toscana.
[12] Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici
[13] Le decisioni del WTO (Organizzazione Internazionale del Commercio prevalgono molto spesso sugli indirizzi dell’ONU/UNO (Organizzazione delle Nazioni Unite) e dell’OMS/WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità)
[14] Il tempo delle riforme era finito di fatto con l’assassinio di Aldo Moro (1978), deciso da potenze straniere e parte di politici italiani, per impedire la salita al governo del PCI, come descritto in modo molto preciso e non smentito nel volume di G. Fasanella Il puzzle Moro, Chiarelettere 2018
[15] L. Briziarelli, L’evoluzione del sistema sanitario italiano. Sistema salute, La rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, 2012 56, 48-61, Relazione presentata al Convegno La sanità pubblica in Umbria a 150 anni dall’Unità. Perugia, 16 dicembre 2011
[16] Art 32 della Costituzione della Repubblica
[17] Legge costituzionale n.3/2001, Presidente del Consiglio Amato, Ministro della funzione pubblica Bassanini, due uomini di grande ingegno (il primo definito “dottor sottile”, il secondo rinomato Professore di Diritto costituzionale prestato alla politica) entrambi poco affini – evidentemente- alla parte pratica degli effetti delle leggi sulla realtà. L’Articolo contiene un elenco di materie oggetto di potestà legislativa concorrente Stato-Regioni, rispetto alle quali lo Stato mantiene solo il potere di determinare i principi fondamentali cui deve improntarsi l’attività normativa: “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” (art. 117 quarto comma Cost.). Punto e basta, non si dice niente sui limiti, potremmo dire i paletti, imposti alle regioni nella legiferazione propria, né si parla di quali poteri di vigilanza, controllo e correzione possa/debba adottare lo Stato nei confronti di provvedimenti esorbitanti, nel caso della sanità, dai principi fondamentali della legge istitutiva del SSN. Che le Giunte regionali, presiedute dagli autonominati Governatori, adottarono in larga misura, ad libitum.
[18] Romagnoli C.,Briziarelli L. Il Dl.Lgs, 626/ 94.Dal modello operaio al modello padronale. Un’altra ideologia, Medicina dei lavoratori 1996, n.39, p. 93. Una disamina molto ben fatta di questa legge può essere letta in un capitolo “Saluteremo il signor padrone”, a pag 47 del volume M. Mori “La coerenza dell’intransigenza”, IL Formichiere, Perugia 2021
[19] Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, aggiornato poi con le modifiche apportate dal D.L. 27 dicembre 2024, n. 202, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2025, n. 15.
[20] Nel 1960, ero al quinto anno di medicina, per l’intero mese di agosto condussi un’indagine per conto dell’IRRES nelle fabbriche di ceramiche a Deruta a mezzo di un questionario molto oneroso che in ogni azienda, a seconda delle dimensioni, richiedeva anche più di un’ora. In diverse aziende, appena giunto, trovai numerosi operai ed operaie intenti in operazioni di pulizia e lustratura di macchine ed impianti; chiesi ai dirigenti dell’ufficio in cui ero stato accolto la ragione della cosa e non ebbi mai una precisa risposta. Durante una pausa per un caffè, quattro chiacchiere, qualche segretaria fu più gentile e mi spiegò in gran segreto che gli Ispettorati del lavoro comunicavano alle aziende quando, giorno più giorno meno, avrebbero inviato gli Ispettori.
[21] Questo provvedimento fu contestato duramente da esperti qualificati, dei quali riportiamo un testo fondamentale M. Geddes da Filicaia, La salute sostenibile. Perché possiamo permetterci un sistema sanitario equo ed efficace. Il Pensiero scientifico, 2018
[22] Cinque maggio
[23] Embedded (da bed=letto) “giornalista che lavora in una zona di guerra al seguito di un esercito, accettandone la protezione ma anche le limitazioni imposte alla propria libertà di movimento e di espressione” (google)
[24] Felice espressione usata da Formigli, nella trasmissione Piazza pulita
[25] Maestro in ciò Trump che, in una conferenza stampa ad un giornalista che gli aveva fatto rilevare una sua bugia, rispose candidamente: Lei ha ragione ma è la “mia verità” e per me vale questa
[26] Il classico detto meneghino qui significa esattamente solo “per me stesso, per i miei affari”
[27] Lo dice l’ex Ministro della difesa Cingolani, uno che se ne intende essendo a capo di Leonardo, la maggiore industria produttrice di armi in Italia, fra le prime del mondo, già Ministro della Transizione ecologica nel Governo Draghi e Consigliere della Presidente del Consiglio Meloni