Home Argomenti Politica Fanfano. “Un contributo per un Movimento Civico Federato”

Fanfano. “Un contributo per un Movimento Civico Federato”

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L’orizzonte civico è stato quello, sul piano politico,  che ho frequentato e promosso con più attenzione dal 1999. Ora che tutti a vario titolo ne parlano, anche stimolato da un imminente appuntamento ho provato a buttare giù qualche ragionamento a riguardo. (g.f)

1.Pandemia come guerra.

Non eravamo e non siamo ancora usciti dalla pandemia che ha travolto il mondo a fine 2019. Colpendo l’Italia in modo particolare, sia dal punto di vista sanitario che da quello economico. Forse perché l’Italia è uno dei paesi con la popolazione più vecchia, sicuramente perché l’Italia pur essendo ancora uno dei maggiori paesi sviluppati, è tra questi quello con maggiori problemi nella struttura industriale, in quella statale e nella dimensione del debito pubblico.

Pandemia che ha costretto alle dimissioni un governo politico improvvisato e l’avvento di un governo tecnico sostenuto da gran parte delle forze politiche presenti in Parlamento. Governo guidato da Mario Draghi, ex Governatore della BCE, uomo di finanza, con un buon prestigio negli ambienti europei ed atlantici. Pandemia che ha mosso l’Unione Europea a realizzare uno dei piani più significativi di intervento economico finanziario comune, con il New Generation ed il PNRR a livello nazionale. Occasione irripetibile per molto tempo di crescita ma anche di spreco di risorse, se gestita male e che necessita di una rigida politica di bilancio.

Il governo Draghi stava affrontando la parte finale della legislatura quando all’inizio di questo anno, la Russia ha invaso alcune parti confinanti dell’Ucraina, scatenando una reazione da parte degli Usa e dell’Europa fatta di sanzioni e aiuti militari concreti che hanno aggravato fino alle estreme conseguenze una economia europea, già molto provata e non ancora tornata ai livelli pre pandemia.  Soprattutto la partecipazione alla guerra dell’Italia ha spinto il M5Stelle ha togliere la fiducia al governo Draghi che insieme al fastidio che ormai lo stesso provava per chi si era opposto alla sua candidatura alla Presidenza della Repubblica, ha portato alle sue dimissioni.

2.Guerra permanente.

Dopo la caduta del Muro di Berlino e gli incerti  equilibri creatisi nell’Est Europeo, mai definiti con accordi di pace internazionali, gli Stati Uniti hanno individuato nell’Ucraina uno degli avamposti di sorveglianza, ma soprattutto di attacco alla Russia come prima tappa di un confronto a tutto campa con la Cina.

La portata della guerra in Ucraina che vede coinvolta anche l’Europa oltre agli Stati Uniti è stata chiaramente definita nell’ultimo vertice Nato di Madrid. Nel vertice la Nato, viene fatta diventare la sede internazionale più operativa e più lontana dallo strumento difensivo per cui era nata.

C’è una ridefinizione dei suoi nemici e delle sue minacce di gran lunga superiore a quella che ha portato alla sua nascita nel 1949 o a quella che è stata definita la “seconda guerra fredda” negli anni Ottanta.

La Russia viene nuovamente presentata come “la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza“. La Cina è considerata un “concorrente strategico” in tutti i settori nel medio e lungo termine (in quanto rappresenta “sfide sistemiche” alla “nostra sicurezza, ai nostri interessi e ai nostri valori“). Si parla di una crescita delle forze di reazione rapida fin000 soldati, il 2% del PIL che appare solo come “un punto di partenza, non un tetto massimo”,

Ma soprattutto è vanificato, quello che per noi è l’aspetto più grave ed importante,  cioè ogni accenno di autonomia dell’Europa e dell’Unione Europea con le sue traballanti e paralizzanti istituzioni e sotto attacco proprio da parte non solo della Russia ma anche degli Usa. Attacco che in questo caso vede come obbiettivo principale la politica estera della Germania.  L’Ucraina non fa parte dell’Unione Europea, l’Ucraina non fa parte della Nato. Le scelte fatte dal governo Draghi prima e dal governo Meloni oggi, si configurano non solo come contrarie alla nostra costituzione tanto sbandierata in altre occasioni ed ai trattati internazionali cui aderiamo,  ma una grave ferita agli interessi nazionali.

Il pacifismo non è putiniano o trumpiano o bideniano. Il pacifismo è la “prima arma” di difesa dei cittadini e dei popoli più bisognosi, è uno dei valori fondamentali della civiltà occidentale europea, che ne ha pagato gli scostamenti in modo drammatico nel secolo scorso. Non a caso viene richiamato con forza da una delle figure più lungimiranti protagoniste di questa drammatica fase, Papa Bergoglio. Il pacifismo è il presupposto fondamentale per qualsiasi ragionamento sul futuro delle prossime generazioni, ancora prima dell’ambientalismo.

3.Ruolo dell’Europa. Atlantica o Autonoma?

A questo punto dei processi internazionali su rende necessario un chiarimento decisivo. Quando parliamo del nostro futuro come Paese, strutturalmente inserito nel futuro dell’Europa, di quale Europa parliamo? Di una Europa che lavora per la sua autonomia nello scacchiere internazionale, convinta di portare un contributo decisivo al multilateralismo equilibrato e pacifico, sola via per la pace e la prosperità nel mondo o si vuol lavorare per una Europa subalterna agli interessi dei potentati militari e finanziari degli Usa? Io credo che la scelta sia, vitalmente, la prima.

4.L’Italia del secondo quarto di secolo e dopo le elezioni.

Le recenti elezioni politiche hanno confermato un trend ormai consolidato in questo primo quarto di ventunesimo secolo. C’è una profonda ed estesa parte del popolo italiano che non crede nella politica e negli attuali partiti come strumento di tutela e di perseguimento dei propri valori e dei propri interessi. Una grande sfiducia è presente anche all’interno dell’elettorato attivo (votano turandosi il naso).Una parte di questo elettorato di volta in volta torna a votare e lo fa  quando sembra presentarsi nella scena qualche elemento di profonda e radicale novità.

E’ stato così, esiti a parte,  con Berlusconi e la Lega di Bossi negli anni novanta del 900. E’ stato così con Renzi, Grillo e Salvini, in questo primo quarto di secolo. Elettoralmente quella politica tradizionale che nel 900 veniva chiamata destra e quella che nel 900 veniva chiamata sinistra oggi sostanzialmente si equivalgono. Il risultato del voto spesso è determinato dal raggiungimento dell’unità elettorale o dalla divisone fra queste forze. Come è successo anche di recente. Oltretutto questi risultati sono fortemente influenzati dalle leggi elettorali che di volta in volta i diversi schieramenti provano a confezionarsi su misura sia a livello nazionale che regionale.

Una forte maggioranza di italiani, soprattutto le nuove generazioni, soprattutto quelle fasce meno protette per le prospettive future, perché in preda ai vorticosi processi economici e di mercato, perché non coinvolti nell’ampio ombrello della spesa pubblica diretta ed indiretta, chiedono un grande salto di qualità nell’offerta politica, Chiedono un cambio non solo di pagina , ma di libro, ma di analisi, di progetto, di linguaggio, di parametri rispetto alla politica del 900. Basta pensare alla ormai consolidata rappresentanza delle classi sociali di riferimento del 900. Le fasce più povere e meno acculturate  o non votano o votano a destra, quelle più benestanti e protette e più acculturate votano a sinistra.

Francamente in questa situazione e secondo questa mia ottica parlare di riformismo,  di liberalismo o di terzo polo, mi sembra una sorta di accademia scaduta della crusca politica, del tutto fuori tempo. E comunque una risposta del tutto inadeguata ai tempi ed alla crisi.

5.Nuovo regionalismo funzionale. Oltre l’Umbria. Per la Regione  dell’Italia Centrale.

Uno  dei cardini fondamentali di questa nuova offerta politica da costruire è sicuramente uno stato profondamente cambiato. Per costruire una democrazia utile, efficace, che governi il paese, non che gestisca il potere residuo che vien oggi dato alla politica a livello centrale e locale dai grandi agglomerati economici e dai grandi processi che una globalizzazione distorta ha creato. La domanda sempre più frequente e sempre più corposa che ci si fa oggi è infatti , ma quanto potere resta oggi in mano alle istituzioni dello stato e quindi della politica a livello locale nazionale e sovranazionale? Quali margini di autonomia effettiva ci sono a disposizione dei diversi governi?

Strumento fondamentale per una riforma dello stato da sempre è quello non solo della sua funzionalità amica del cittadino, ma della sua vicinanza e della sua rispondenza ai bisogni del cittadino, ai bisogni dei nuovi territori, nuovi, quelli che i tempi e la storia hanno riconfigurato, non quelli sabaudi, delle città a rete, delle città e delle aree metropolitane, che tanto, per esempio interessano l’Umbria.  L’esperienza regionalista cominciata negli anno settanta, non ha dato i frutti sperati in questo senso. Per diversi motivi, ma soprattutto per questa dinamica nella collocazione dei poteri che citavamo.

E’ urgente uno stato realmente federalista, ma con Macroregioni e Comuni come perno. Comuni con forme di aggregazione intermedie funzionali, per servizi e per progetti di sistema territoriale.

L’Umbria è ormai una entità oltre che geografica, anche politicamente ed istituzionalmente superata. Dalle sue contraddizioni storiche e dai tempi. E’ come una Topolino con cui il ceto politico dominante, con il suo indotto, di sinistra e di destra, voglia fare un campionato di Formula Uno.

L’Italia Centrale è la nostra dimensione, ed è una dimensione che va costruita prima ancora che con le riforme istituzionali appropriate con una legislazione interregionale ed interprovinciale su quasi tutti i problemi. Soprattutto per l’Umbria Occidentale e quella Orientale. L’Umbria regionalista è fallita sul suo attestarsi nemmeno tanto sufficientemente sulla Valle Umbra. Lo stesso piano sanitario regionale recentemente presentato ne è  una puntuale testimonianza. In questa dimensione interregionale, potrebbe esser costruito anche un proficuo rapporto con le due aree metropolitane che ci interessano Roma e Firenze, già molto presenti nelle interrelazioni di diverse aree.

6.Che fare?

Una risposta a questa domanda potrebbe essere che facciamo semplicemente quello che abbiamo fatto sino a qualche mese fa, e da cui siamo nati. Anzi proviamo a farlo meglio. Facciamo cioè le rappresentanze più fedeli agli interessi dei nostri territori, delle nostre città dei nostri paesi. Facciamo una aggregazione di liste e movimenti civici.

Io provo a farlo dal 1999, quando i segni della crisi della politica erano già evidenti nonostante al governo ci fosse Massimo D’Alema e prima avesse  governato Romano Prodi. Dopo la prima repubblica era evidente che le repubbliche che si succedevano facevano sempre ulteriori danni alla Repubblica, quella senza numero quella dei cittadini, soprattutto dei cittadini futuri. Ma la strada su cui stiamo ragionando è una strada ancora da Prima repubblica. E so anche per esperienze analoghe precedenti, quanto sia difficile fare questa alleanza e questa aggregazione civica. Perché significa dover costruire quel progetto, innovativo,  equilibrato ed aperto per l’ Umbria su cui la cosiddetta sinistra ha fallito e su cui sta fallendo la cosiddetta destra. E non è cosa semplice.

Perché si tratta di pensare e realizzare un progetto per i collegamenti veloci interni e insieme alle regioni confinanti per tutta l’Umbria, si tratta appunto di fare di costruire politiche di distretti specializzati a cominciare dal turismo per tutta l’Umbria insieme alle regioni confinanti. Si tratta di costruire reti di servizi nella scuola e nella sanità a prova di funzionalità non di clientela territoriale. Sarebbe, è , un lavoro immane, ma è quello necessario, è, non “un” lavoro, ma è “il” lavoro che serve oggi.

Per concludere, anche alla politica più generale serve un movimento civico, più che un partito o un polo che sia, interno all’attuale scenario politico.   Un movimento civico federato alla sua base. Ed un movimento civico che si federi di volta in volta al suo esterno. Che si federi a trecento sessanta gradi, mettendo in soffitta le classificazioni del 900. Guardando a quello che succede certamente nell’evoluzione del sistema politico italiano ed europeo. Che si spenda anche nelle diverse occasioni elettorali. Ma non mi sembra detto brutalmente che ci siano le condizioni per aderire ad un nuovo partito. Credo che non ci siano al nostro interno perché non siamo ancora sufficientemente strutturati organizzativamente e democraticamente,  nei territori che intendiamo rappresentare. E le ultime elezioni lo hanno anche quantitativamente dimostrato. Non ci sono al nostro esterno a meno che non vogliamo ritagliarci uno strapuntino regionale, regionale, perché non mi sembra che i nostri interlocutori civici nazionali, siano sulla lunghezza d’onda di cui stiamo parlando.  Interlocutori regionali, di una piccola regione in un processo fondativo che è nazionale e che si attesterà accanto ed in competizione con il Pd.  Ma se fosse così direi che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Lo hanno già fatto, senza esiti rilevabili, in molti.

Gianni Fanfano