Home Argomenti Politica Fanfano “Il Civismo al posto della “Non Politica””

Fanfano “Il Civismo al posto della “Non Politica””

Condividi

Questo è l’intervento che avrei fatto nel corso del Direttivo Regionale di “Civici Per l’Umbria” tenutosi qualche giorno fa, cui non ho potuto partecipare. Mi farebbe piacere se stimolasse qualche discussione. 

Elezioni parziali. Da valutare con prudenza. Ma che confermano tendenze ormai abbastanza consolidate. Siamo ormai in presenza di un cambiamento della natura del sistema politico che abbiamo conosciuto e che abbiamo chiamato della prima e poi della seconda repubblica.

Non è esagerato dire che questo ha comportato un cambiamento della stessa natura democratica delle nostre istituzioni. Istituzioni che hanno conosciuto, in passato, momenti di grande partecipazione, anche se indiretta, tramite i cosiddetti corpi intermedi ed anche di grande rappresentanza politica e sociale.

Oggi quel momento storico e quella natura del sistema politico sono da considerarsi alle nostre spalle e definitivamente superati. Va detto in un quadro  abbastanza generalizzato anche nelle democrazie occidentali europee, che è lo scenario di nostro riferimento.

La metà dei cittadini italiani non si riconosce più, da anni, nel nostro sistema politico. Per sistema politico intendo contenuti, metodi e protagonisti. Possiamo dire qualcosa sulle caratteristiche d questa metà? Si e sono caratteristiche importanti per trarne poi delle conseguenze non solo di analisi ma anche di proposta.

La metà dei cittadini che hanno rinunciato all’uso ed anche alle responsabilità della democrazia sono in larga parte quelli più disagiati, meno rappresentati socialmente, meno acculturati.  Quella parte più esposta alle disuguaglianze, al rischio, alla mancanza di certezze. Ed anche una piccola  parte di quella più capace di analisi. Ma ormai disamorata e delusa. Come è abbastanza comprovato che quella che resta fedele alla democrazia , pur in mezzo a insoddisfazioni e denunce, è quella parte più tutelata, oltre che più ricca ed in gran parte legata direttamente o indirettamente agli effetti della spesa pubblica allargata, nelle sue diverse ramificazioni, ma soprattutto, al momento,  nelle sue sicurezze. Tutti quelli per intenderci che hanno un reddito fisso.

Questo per dire che c’è tanto bisogno di nuova politica e che la domanda di nuova politica è enorme. Purchè sia nuova. E’ la domanda che hanno intercettato, in modo illusorio, negli anni e nelle fasi trascorse prima Berlusconi, poi la Lega di Bossi, al nord, poi Grillo, poi ancora la Lega di Salvini. Nella sinistra in modo più limitato interlocutori di questa domanda di cambiamento forte sono stati per una breve fase ed in dimensione minore,  prima Veltroni poi Renzi. La politica per molti ormai non serve più non è più utile, non rappresenta più quel patto sociale grande che fu fatto in forme del tutto particolari nella fase della nascita della repubblica e del suo primo trentennio.

Ci sono due strade davanti a noi. Davanti a chi intende continuare a credere nel patto comunitario che sta alla base delle istituzioni e delle forme associative che le fanno vivere. Una è la strada di calarsi ancora di più dentro quella mezza Itala della politica che sopravvive e che in via del tutto subalterna ai grandi processi internazionali, fa scelte conseguenti. Come nel caso della guerra fra Usa e Russia in Ucraina. Contendendosi quel 50% di consensi alzando le vecchie bandiere della politica novecentesca, quelle della cosiddetta destra e quelle della cosiddetta sinistra, strapparsi qualche punto percentuale qui e la, strapparsi qualche carica e fare qualche passettino in avanti o indietro, secondo la contingenza economica o politica.  Con in più l’aggravante che dal punto di vista delle categorie sociali tradizionali novecentesche oggi gli operai votano a destra e la borghesia diciamo vota a sinistra. Ma in questo primo scenario la cosiddetta destra resta comunque in Italia ed i Umbria chiaramente maggioritaria. Come le elezioni più recenti dimostrano. Anche queste. E che il Pd sia il maggiore partito dello schieramento opposto è come dire la perfetta controfigura dell’immobilismo che regna da decenni.

Poi vedo un secondo scenario quello che dovrebbe interessarci. Lo scenario di chi sceglie di provare rifondare la politica. In una prospettiva che non può guardare alle prossime elezioni soltanto, ma come dice qualcuno ad “attraversare il deserto”.  Che sceglie di stare fuori, come identità, dal passato e dal presente del 50%. Il che non significa, strumentalmente non ricercare punti di incontro o alleanze, contingenti, ma dichiarando la diversità e praticando la diversità. In modo forte, identitario. Rovesciare la piramide e applicare fino in fondo una “rivoluzione copernicana” della politica oggi data. Vietato parlare di schieramenti precostituiti. Vietato parlare di schieramenti ideologici.  Vietato parlare di destra e di sinistra. Si parli di valori, si parli di progetti, si parli di scelte, ma si parli soprattutto dei territori, dei paesi, delle città, del loro presente e del loro futuro,  delle reti di interessi, di integrazioni e da lì si definiscano progetti di area “sovversivi”.Progetti “antiquestaglobalizzazione”. Coniugare i valori di giustizia e di libertà fra le nostre strade, le nostre terre, i nostri lavori, le nostre scuole, le nostre chiese, le nostre nuove campagne, fatte di olio, vino e nuovi casolari del benessere.  Guai a dichiarare morta la politica, ma guai a dichiarare che la politica è questa che viviamo e che abbiamo vissuto dalla fine della guerra fredda ad oggi.  Naturalmente ci sono delle eccezioni. Ma queste vanno dichiarate come tali e vanno etichettate con cura per non fare confusione.

Il “Fenomeno Civico” come dicono alcuni, il “Movimento Civico” come dico io, si sta allargando. In molti casi correttamente, come alternativa alla Mala Politica o alla Non Politica, in altri casi lo si fa strumentalmente.

Qui dobbiamo fare grande attenzione. Non escludo che si possa avviare una vera e propria campagna per “depurare” il civismo dal fasullo. C’è un problema però se decidiamo di andare su questa strada. I primi a non entrare nell’aria di rischio del civismo fasullo dobbiamo essere noi. Tra una alleanza con una esperienza civica e partiti della vecchia politica non possiamo scegliere la vecchia politica altrimenti non siamo credibili.

Che è un po’ quello che mi è sembrato succedere a Todi. Al di là del risultato tranciante ottenuto.

Fin qui metodo, procedure e scenari. Poi e insieme ci sarebbero i contenuti. Ma ci vorrebbe tutta una sessione di confronto da dedicargli.

Mi limito a segnalarne uno.

La “Questione dell’Italia Centrale”. Dovrebbe essere il nostro orizzonte obbligato ed irrinunciabile.

Il quadro di riferimento di tutto il nostro lavoro e soprattutto dei nostri progetti locali. Un lavoro improbo, ma affascinante. Un lavoro di cesello e di cacciavite, come diceva qualcuno. Ma soprattutto un grande lavoro di rete e di innovazione, partendo da un patrimonio inestimabile di risorse storiche, artistiche ed ambientali. Partendo anche da una discreta e strategica collocazione infrastrutturale almeno per la parte occidentale della nostra regione.

Confrontandoci così anche con alcune linee strategiche che emergono all’interno dell’area “intellettuale” della attuale maggioranza regionale. Mi riferisco all’ Aur, con la direzione di Campi. Vedi le posizioni di Diotallevi e Croce. Posizioni che a mio avviso vanno combattute. Non tanto per il quadrilatero o per il rombo territoriale che individuano. Quanto piuttosto per una riproposizione vecchia ed improduttiva del ruolo delle “città”. Non solo e non tanto perché questo significa riportare sul palcoscenico il ruolo di Perugia e di Terni soltanto. Ma proprio perché l’Umbria non ha “Città” vere, città che possano definirsi tali come poli di attrazione, aggregazione e sviluppo. Ma qui per ragionarci al meglio avremmo bisogno di un po’ di storia, anche del nostro “regionalismo” trascorso quasi invano.  E anche di tornare a leggere qualche buon maestro. Come ad esempio l’indimenticato Lello Rossi.

Gianni Fanfano